Mario Pomilio č nato ad Orsogna (Chieti), il 14 gennaio 1921, da Tommaso, insegnante, di fede socialista, originario di Archi (nella stessa provincia), e da Emma Di Lorenzo, di fede cattolica, nativa di Magliano dei Marsi (LAquila). Trascorse la sua prima infanzia, esattamente fino alletą cinque anni, ad Orsogna; poi la famiglia, anni dopo, si stabilģ definitivamente ad Avezzano, Dove il futuro scrittore prosegui le scuole elementari e intraprese gli studi classici, conseguendo la licenza liceale con ottima votazione. Ad Avezzano, tuttavia, egli si sentiva come spaesato, tanto che preferģ sempre passare le vacanze estive ad Archi, presso la nonna paterna, lieto di poter li disporre di un appartamentino di due stanze e un ballatoio, che era stato abitato da uno zio prete che si chiamava come lui, e lieto ancor pił di poter liberamente rovistare in una vecchia biblioteca, fornita soprattutto di pubblicazioni riguardanti la storia e la dottrina della Chiesa. Le sue letture pił appassionanti, pero, non furono di storia, bensģ di meditazione religiosa (S. Agostino e Pascal); tra i narratori, fin da allora lo attrassero maggiormente alcuni maestri russi, tra cui Tolstoj e Dostoevskij. Solo pił tardi si accosterą agli italiani e, per ragioni diverse, sinteresserą di pił a Moravia e ad Alvaro.
Compģ gli studi universitari alla Scuola Normale di Pisa, durante la seconda guerra mondiale. Fu un periodo assai intenso di laboriose e feconde riflessioni, sia in sede filosofico – letteraria che in quella ideologico-politica: Croce e Marx furono i due poli di maggior attrazione che favorirono in lui la presa di coscienza del reale storico in direzione decisamente laicistica e antifascista. Nel 45, conseguita la laurea in Lettere con una tesi su Pirandello narratore, torno a vivere ad Avezzano, dove si dedico allinsegnamento nelle scuole superiori e si diede, con entusiasmo, alla milizia politica, prima nelle file del Partito dAzione e poi del Partito Socialista Italiano. Nelle elezioni del 46 e del 48 si dichiaro, anche con pubblici interventi, per lavvento della Repubblica e per una svolta a sinistra dellindirizzo del Governo nazionale. Ma la sconfitta del Fronte Popolare segno per lui il punto di rottura con tutto un mondo di valori, in cui aveva creduto fervidamente col candore della sua giovinezza: subģ una crisi profonda, da cui si libero faticosamente riaccostandosi alla fede religiosa, senza peraltro rinnegare alcune vitali radici dellumanesimo socialista.
Nel biennio 1950-52 frequento le universitą di Bruxelles e di Parigi, per seguire dei corsi di specializzazione: fu una esperienza utilissima sia sul piano degli studi che su quello dei rapporti umani, in quanto valse a liberarlo dalla visione troppo provinciale di tanti scrittori italiani ed a proiettarlo nel pił vasto mondo europeo. Tornato in Italia, si fermo dapprima a Teramo per circa due mesi e poi si stabili a Napoli, dove si era trasferito gią nel 49. Da Napoli, dove insegna letteratura italiana al Conservatorio, non si e pił mosso se non per brevissimi periodi. Da questi cenni biografici si puņ agevolmente comprendere perché Mario Pomilio si senta, geograficamente, uno « sradicato » e, culturalmente, un « isolato ». Una tale persuasione gli discende fin dalla remota infanzia, allorquando il suo animo era come diviso tra i compagni di scuola, per lo pił di famiglie benestanti, e i compagni di quartiere, figli di operai e contadini, gią costretti al lavoro. La sua, comunque, fu uninfanzia abbastanza serena, e questo e forse il motivo per cui finora essa non e divenuta materia della sua ispirazione artistica, la quale e sempre stata notoriamente di origine drammatica. Altrettanto potrebbe dirsi anche della sua adolescenza trascorsa, come si e detto, ad Avezzano fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, e vissuta tutta sui libri, ma con lanima proiettata verso il Fucino (allora feudo del principe Torlonia), sentito unicamente e perfino goduto come « un paesaggio e una favola ».
Ma pił tardi le cose per lui cambiarono, a mano a mano che locchio gli si faceva pił sottilmente scrutatore e riusciva a disvelare le pieghe ruvide della realtą che lo circondava. Leggiamo a proposito una sua confessione ancora poco conosciuta: « pił tardi, dopo luniversitą e la guerra mise occhi su altro, sulla fame di terra dei contadini che vivevano nei paesi torno torno al comprensorio, sul loro istinto sociale, sui loro bisogni, e la loro storia di quegli anni e entrata a far parte della mia storia personale. E spesso dopo dallora ho pensato al Fucino come a una specie di scuola, per quel che mi ha insegnato, per come mi ha rovesciato problematiche e prospettive: una scuola nel senso del sociale, ma anche nel senso dellumiltą. Vi ho appreso un linguaggio, vi ho capito sentimenti, ho potuto spogliarmi di almeno una parte della mia crosta di giovane intellettuale. » (cfr. Trilogia del Fucino, Serigrafie di Marcello Ercole con testimonianze di Romolo Liberale, Mario Pomilio e Ignazio Silone Introduzione di V. Esposito Galleria darte Ponterosso, Pescara, 1976). Sono parole che hanno tutto il sapore di un privato esame di coscienza e che gettano, pertanto, viva e abbondante luce sul processo pił segreto della formazione umana e artistica di Mario Pomilio.
Pomilio e giunto al romanzo relativamente tardi, sui trentanni. Piuttosto precoce, invece, la sua passione per lindagine critica. gią nel 43 aveva pubblicato, sulla rivista romana Lettere doggi, due saggi interessantissimi: Il mondo morale di Italo Svevo e Letture di Pirandello. Poi, nel 51, uno studio sul Ceini, ritenuto ormai fondamentale: Gusto episodico e coscienza letteraria nella vita di B. Cellini, in Conuivium, Bologna. Nel frattempo sera scoperto anche poeta: al 48, infatti, risalgono i suoi primi versi e intorno al 50, se non andiamo errati, fu preannunciata la pubblicazione della raccolta Gli emblemi, rimasta poi inedita. Alcune poesie sparse apparvero nel 53 (La lucerna, premiata alla Settimana Marsicana sul quindicinale il Fucino di Avezzano), nel 54 (cfr. La Fiera Letteraria, nn. 32 e 45) e nel 57 (cfr. Il secondo 900 di C. Bettelli, Padova). Invitato nel 59 a partecipare ad unantologia di Poesia abruzzese del 900 che stava curando G. Sgattoni, Pomilio si rifiutņ adducendo a motivo che la sua vena si era « talmente raffreddata », che gli era impossibile procedere ad una oculata e pur necessaria revisione dei suoi versi. Identico rifiuto, dieci anni dopo, avemmo anche noi che avevamo caldeggiato la sua collaborazione ad una nostra storia antologica di Poeti marsicani.
Eppure da pił parti sera creduto, e non senza ragione, che egli avesse qualcosa da dire nel campo della poesia lirica. La veritą e che, poco dopo il 50, glinteressi artistici di Mario Pomilio serano rivolti verso la narrativa, spintovi anche dalla frequentazione del gruppo degli scrittori napoletani (Incoronato, Pacini, Rea, Vene e Pullini), con i quali pił tardi (1960) fonderą e dirigerą la rivista Le Ragioni Narrative; e ad uno scrittore napoletano, Michele Prisco, volle dedicare il suo primo romanzo, Luccello nella cupola (Bompiani, 1954), con cui ottenne il Premio « Marzotto », un riconoscimento che consacro giustamente quella che era stata salutata come la maggiore rivelazione letteraria dellanno. Il romanzo, a dir vero, tutto incentrato su un conflitto di anime, veniva a contrapporsi al filone del neorealismo post-bellico, e i critici pił attenti lo avvertirono subito: il Vigorelli parlo infatti di personaggi che finalmente disponevano di unanima, a differenza di quelli moraviani che lavevano come « prosciugata », e definģ lautore un « coraggioso romanziere cristiano »; il Tian, fatta qualche riserva per certa prolissita dellanalisi psicologica, ne apprezzo la struttura vigorosa del mondo spirituale; il Bruno ne esalto il fondo fortemente drammatico e il nitore stilistico, anche se talora sovraccarichi dun certo intellettualismo.
Non mancarono voci decisamente discordi: il Tenderini, ad esempio, vide nel protagonista, don Giacomo, una figura assurda di sacerdote, poiché gli mancherebbe « il senso di Dio, il senso della carita, il senso soprannaturale della propria missione salvatrice »; il Richelmy, al contrario, gli riconobbe « una statura pił vicina a quella normale » rispetto ai personaggi di altri scrittori cristiani, ma in tutto il libro rilevo un « ragionare talvolta eccessivo e pesante, adatto pił a un trattato di considerazioni morali che ad un romanzo ». Molti altri intervennero nel dibattito sul romanzo, con recensioni ampie e approfondite: O. Sobrero, N. Gallo, M. Boccassini, F. Foelkel, R. Bertacchini, G. Vallese, E. Battistini, G. Nogara, P. De Benedetti, ecc. e a tutti, pił o meno, esso apparve legato per un lato alla tradizione italiana del Manzoni e del Fogazzaro, per laltro alla lezione pił recente di Bernanos, Mauriac e Greene, e in ogni caso, una « opera prima » davvero straordinaria, che attestava in Pomilio un narratore destinato a grande avvenire. Due anni dopo, con Il testimone (Massimo Editore, Milano), si ebbe la conferma di questa generale impressione. Parve subito che il giovane scrittore avesse tratto buon frutto dai rilievi che la critica aveva mosso al primo lavoro: si trattava finalmente dun romanzo-romanzo e non di un rom anzo-saggio, che pur avventurandosi nel tema intricato della giustizia umana e divina, non soffocava con elucubrazioni dottrinali la forza lirico-drammatica delle figure e degli avvenimenti. La stessa ambientazione a Parigi fu giudicata care un atto di coraggio riuscito, quasi a dispetto di tutta una tradizione di analoghi tentativi che « mancavano in modo anche troppo scoperto di autenticitą e risultavano, di conseguenza, artificiosi » . Porzio). Il romanzo fu recensito favorevolmente su decine di giornali e riviste, da critici militanti abbastanza noti: V. Volpini, L. Piccioni, G.B. Vicari, A. Sala, C. Bo, F. Virdia, C. Betocc i, M. Stefanile, G. Pullini, E. Fabiani, G.Nascimbeni e molti altri Scritti « un arte incisiva e patetica » (Betocchi), « autentica moralitą » (Bertacchini), di « cristianesimo di natura esistenzialistica » (Belluscio), di netto ripudio dogni « ealligrafismo » (Volpini). Accanto ai i maestri ideali se ne posero altri con cui Pomilio avrebbe una qualche affinitą: Flaubert, Kierkegaard, Claudel, Camus, istituendo raffronti illuminanti, anche se discutibili.
Altri accostamenti si fecero a proposito del terzo romanzo, Il nuovo corso (Bompiani, 1959, Premio « Napoli »), ispirato al motivo della liberta: si citarono Silone, Orwel, Kafka, nei quali sempre il valore assoluto di urgenza e con
quinta interiore. Cerano stati da poco i « fatti dUngheria » ed il richiamo ad essi, sia pure in forma velata e indiretta, divenne inevitabile; ma alcuni critici, da Volpini a Fabiani, Virdia, Vigorelli, Camerino, Nogara, Vicari, Grillandi, Cimatti, Simongini, Porzio, Rupolo, Gigli, Cristini, Camilucci ed altri ancora, compresero bene che i limiti della cronaca erano stati trascesi in tutto e per tutto. Il suicidio del protagonista, il giornalaio Basilio, apparve allocchio dellattento lettore come un gesto disperato di ribellione, pił che al regime totalitario, alle deficienze morali dei propri concittadini e, pertanto, teso a scuoterne la coscienza. Giustamente il Palanza scrisse che, percepita per un istante la luce della liberta, i sudditi del regime diventano come dei sonnambuli, ritratti magistralmente dallo scrittore con una « ironia sottile » che spira dal profondo, generata da un incolmabile iato « tra simbolo e realtą »; e lo Spagnoletti, osservato che Il nuovo corsa ci poneva « a confronto con la semplice psicologia della povera gente, messa in causa dagli stessi problemi » utopistici o umanitąri che affliggono la borghesia intellettuale in Orwel e Silone, asseriva che certamente Pomilio non avrebbe trascurato « altri sondaggi, non meno drammatici, nellanima della societą doggi ». E sondaggio, davvero non meno drammatico, dellanima contemporanea, sia a livello individuale che sociale, fu La compromissione (Vallecchi, 1965, Premio « Campiello »), con cui Pomilio riuscģ a raggiungere una prova ancora pił alta e pił ardua poiché, sul filo del fallimento ideologico-sentimentale di un intellettuale di sinistra dopo la crisi politica del 1948, finģ per disegnare emblematicamente lo scacco di tutta una generazione.
Questa volta, la stessa critica dispirazione marxista che in passato aveva quasi finto dignorare il caso Pomilio, in un certo senso si sentģ costretta a scendere in campo, se non altro per difendere quei valori che nel romanzo sembravano essere messi sotto accusa. Salinari, Pedulla, Dallamano fornirono appunto lesempio di una lettura deterministica, intesa a scoprire nel compromesso coscienziale del prof. Berardi la sconfitta della borghesia decadente, anziché il fallimento dei partiti marxisti nel loro impatto con la realta. Si distinse un po lAntonicelli, il quale, pur dissentendo dalle conclusioni pessimistiche dellautore, ne apprezzo limpegno etico-sociale che, finalmente libero dalle sovrastrutture allegoriche dei primi romanzi, appariva ormai pienamente « dimensionato nel reale, nellatmosfera della storia ». La critica dispirazione cattolica, daltro canto, sembro interessata unicamente o prevalentemente allimpegno etico-religioso dello scrittore: per il Bruno, le scelte di Franco Berardi sono dettate solo dalla sua « pigrizia morale »; per il Bo, si assiste al penoso « sgretolamento di una coscienza che arriva a sentire il compromesso come legge di sopravvivenza »; per il Mazzoleni, il romanzo ci richiama « ad un esame di coscienza, alla valutazione delle nostre responsabilitą, ad una vita pił autenticamente ispirata ai principi che diciamo e crediamo di professare ».
Altri studiosi colsero nella crisi del protagonista del romanzo i segni della crisi morale, politica, civile del nostro tempo: il Gramigna, ad esempio, vi scopri un dramma di coscienza legato a problemi esistenziali; il Mauro ne rilevo la complessitą psicologica, per cui Pomilio sfugge ad una qualsiasi collocazione nella letteratura meridionale; il Battaglia ne mise in luce la dilatazione progressiva dei motivi politici nella sfera spirituale, fino ad investire le stesse finalita della vita. Puntuali interventi, talvolta riguardanti tutto il suo iter artistico, fecero alcuni tra i pił fedeli recensori di Pomilio: Volpini, Fabiani, Vigorelli, Spagnoletti, Nogara, Cimatti, De Boccard, Marabini, Camerino, Rupolo, Bertacchini, Grisi, Sobrero, Virdia, Nascimbeni; ai quali se ne aggiunsero numerosi altri, tra cui segnaliamo qualche nome di maggiore notorietą: Baldacci, Prezzolini, Scrivano, Cattaneo, Recupito e Calcagno. Il rilievo pił ricorrente in tanti studi e recensioni fu che La compromissione costituisse un nuovo genere di narrativa, nato da uno strano connubio tra il romanzo e il saggio, genere cui Pomilio sembro avviarsi fin dai suoi esordi: la grazia, la giustizia, la liberta, la soffocazione dellio profondo, sarebbero delle tesi proposte di volta in volta, nel tentativo di far luce nei meandri pił riposti delluomo, visto nei difficili rapporti con i suoi simili, con la storia e con Dio.
Queste tesi, pero, non verrebbero prospettate didascalicamente, bensģ disciolte nellinsieme del racconto, poiché lo scrittore ha sollevato dei problemi senza indicare soluzioni, ha denunciato o constatato intricate situazioni senza fornire i relativi rimedi, tanto che lo si potrebbe anche accusare di un troppo amaro scetticismo. Queste, in sostanza, le risultanze maggiori cui la critica pervenne anche dopo la pubblicazione de Il cimitero cinese (Rizzoli, 1969), che, riproponendo i primi tre romanzi stilisticamente ritoccati e un lungo racconto dallo stesso titolo, consenti un riesame complessivo dellopera pomiliana a lettori vecchi e nuovi, tra cui ricordiamo per un pił incisivo impegno nei loro scandagli: Nardi, Manacorda, Sala, Vigorelli, Solari, Bevilacqua, Bo, Mele, Orsini, Mazzoleni, Stefanile, Casoli, Volpini e Manna. Per quanto concerne pił direttamente il lungo racconto che prestava il titolo alla intera raccolta, concepito nel 51 e apparso per la prima volta solo nel 58 in una antologia curata da Spagnoletti (La nuova narratioa, Guanda ed.), fu ritenuto concordemente dai critici un pezzo impeccabile di stile, oltre che un documento dinconsueta umanitą. Ci piace di segnalare il giudizio del Manacorda, secondo cui Il cimitero cinese « mostra come in realtą la prima spinta che mosse Pomilio verso la produzione narrativa fosse non gią di natura religiosa, e tanto meno cattolica, ma piuttosto morale e di una moralitą che era poi una sola cosa con la socialitą, intesa come necessita di convivenza tra gli uomini; in una parola, di natura politica, come poi riveleranno Il nuovo corso e La compromissione ».
Siamo daccordo, almeno su un punto essenziale: che la prima spinta fu profondamente etico-politica, ma essa gią nascondeva, a nostro parere, ben salde motivazioni etico-religiose; e bisogna aggiungere, a scanso dogni equivoco, che le due componenti non vanno ricondotte necessariamente ad un preciso credo ideologico e confessionale, anche se nel mondo spirituale e artistico di Pomilio permangono sempre, e anzi spesso coesistono, istanze dispirazione vagamente sociale e istanze sicuramente cristiane. Questa convinzione viene confermata, secondo noi, anche dallultimo lavoro, Il quinto eoangelio (Rusconi, 1975), con cui Pomilio ha ottenuto per la seconda volta il Premio « Napoli » e, ultimamente, il premio internazionale « R. Queneau ».
Si tratta indubbiamente di un romanzo eccezionale, non fossaltro che per la novitą della sua struttura volutamente eterogenea e per la complessa problematica che lo alimenta dalla prima allultima pagina. E tuttavia la critica, benché sia stata concorde nel riconoscere la straordinaria bravura del narratore (non e mancato, in effetti, qualche dissenso e riserva: ad es. Cantini, Betocchi, Corsini, Spinazzola, Sbragi, Altichieri), nellemetggge il giudizio complessivo si e come al solito divisa: mentre i qattolici e loro simpatizzanti (ad es. Cipriani, Rotondi, Todrani, Crivelli, Di Biase, Grassi, Bo, Bianucci, Volpini, Pandini, Altomonte, Mondo, Palanza, Camilucci e moltissimi altri) hanno accettato, apportandovi diverse sfumature sul tema dellortodossia e delleterodossia religiosa, la valutazione fondamentale del Vigorelli che ha parlato di « romanzo cristiano quale, da noi, con lunica eccezione del Manzoni, non si era mai fatto »; daltro canto, i marxisti e laici di varia provenienza (ad es. Bevilacqua, Miccinesi, Manacorda, Castelli, Virdia, Orsini, Pampaloni ed altri) hanno sostenuto, in diverso modo, che si tratta di un romanzo indefinibile nelle sue valenze dottrinali e comunque non privo di forti agganci con la realtą socio-politica dei nostri tempi, portatore di un messaggio « ambiguo », di fronte al quale il lettore deve « spesso armarsi di una mite pazienza » (Dallamano) . Esatta, dunque, la definizione oggi pił che mai corrente di un Pomilio « scrittore cattolico »?
A parte le riserve che legittimamente si avanzano per ogni tipo di rigida schedatura in sede estetica, i critici da ventanni ormai, e in gran maggioranza, sembra non riescano a trovare una connotazione pił adatta, confortati in ciņ da certe dichiarazioni dello stesso scrittore che ammette di essersi mosso, gią col suo primo lavoro, sulla « linea del romanzo cattolico europeo del Novecento » (cfr. Il tempo, 8 dicembre 1975); e che ha assunto via via atteggiamenti sempre pił barricadieri contro il neorealismo e lo sperimentalismo in letteratura e contro il marxismo e il neopositivismo in filosofia, fino a voler uscire completamente allo scoperto fondando di recente, con alcuni amici, un gruppo attivo di scrittori denominato Presenza Culturale, gruppo che sono parole sue « si riconosce nel cattolicesimo » e si propone « il dialogo con il mondo cattolico, che ha tanto bisogno dellapporto laico » (cfr. Il Popolo, 29 ottobre 1975). Eppure, a nostro giudizio, una definizione di Pomilio in senso cosi univoco, non solo rischia di delimitare in modo troppo specifico la risonanza del suo messaggio che, come si e accennato, si presta a varie e finanche opposte interpretazioni, ma risulta addirittura arbitraria, ed e ciņ che pił conta, alla luce di altre recenti dichiarazioni dello stesso scrittore, le quali meritano di essere prese ugualmente in attenta considerazione. In una intervista rilasciata a Maria Rivieccio Zaniboni, richiesto di esporre levoluzione della sua tematica e della sua poetica dal primo allultimo romanzo, Pomilio affermava tra laltro: « Penso che per capire la varieta del mio itinerario occorra tener conto della varietą della mia esperienza, unesperienza dilacerata pił di quanto non emerga dagli scarni dati noti della mia biografia.
Del resto non traspare dai miei libri? Scrittore cattolico e la qualifica che maccompagna dal tempo del mio primo libro. Ma chi di mio avesse letto la sola Compromissione come dovrebbe qualificarmi? Scrittore socialista? E Il nuovo corso non e forse il prodotto duna intelligenza laica, si, ma non marxista? E Il quinto evangelio non mi riporta in pieno nellalveo cattolico, ma con varie punte ereticali? Cose tutte che convivono in me in una sorta di pluralismo (ma sorvegliato in maniera piuttosto rigorosa, badi), senza che io possa o voglia respingerne neppure una. E qui si ritorna alla mia biografia: formazione cattolica, ma sui ventanni sterzata verso il laicismo, milizia politica nel Partito dAzione e poi nel Partito Socialista […]. Ed e appena uno dei versanti della mia vita ». Subito dopo insiste sullo stesso punto: « … se qualcosa mi caratterizza, e il fatto dindossare le varie contraddizioni del nostro tempo fino allestremo, fino ad assumerle nel tessuto stesso della mia personalitą: se preferisce, il fatto dessere, piuttosto consapevolmente, lo scrittore pluralista dunetą di pluralismo » (cfr. Tribuna Politica Letteraria, 24 febbraio 75.
Le sottolineature sono nostre). In unaltra intervista, rilasciata nello stesso periodo a M. Bonanate, tornando sullargomento dei rapporti tra luomo e lo scrittore, Pomilio giunge a dire di se: « Non so quale dei miei genitori abbia avuto maggior influenza su di me. La religlositą di mia madre mi Si č trasmessa Sotto forma di esigenza assai Sofferta, benché repressa ed apparentemente cancellata durante gli anni degli studi universitari. La vicinanza di mio padre mi rese familiare e caro il termine socialismo in unepoca in cui era vietato proferirlo altrimenti che per alludere a qualcosa di tenebroso e di colpevole. E queste due radici le sento in me anche oggi » (cfr. Madre, n. 5, marzo 1975. La sottolineatura e nostra). Se si tiene debitamente conto di queste confessioni, ci sembra di poter concludere tranquillamente, ribadendo una nostra vecchia tesi gią espressa in pił occasioni, che Mario Pomilio e uno scrittore di ispirazione autenticamente cristiano-sociale, la quale, secondo noi, e ben altra cosa dallispirazione meramente cattolica, sia pure di marca conciliare. Sciolto, in questo modo, quello che era il nodo centrale inerente alla interpretazione del mondo spirituale e artistico di Pomilio, ci resta solo da aggiungere, per completarne succintamente il profilo bio-bibliografico, che la critica ha mostrato molto interesse non soltanto alla catalogazione dei contenuti del nostro scrittore, ma anche alla decifrazione dei moduli della sua scrittura, la quale, per comune convinzione, e sempre rimasta ancorata ad un principio di purezza linguistica che non ha avuto smagliature o cedimenti di sorta ne di fronte alle aperture cronachistiche del dopoguerra, ne di fronte alle sperimentazioni formalistiche delle cosiddette neoavanguardie fiorite negli ultimi anni.
Per comprendere le pił vere motivazioni di questo tenace attaccamento di Pomilio allo stile limpido ed elegante, ma privo di lenocini, sempre misuratamente raffinato senza essere vuoto e ampolloso, Walter Mauro suggeriva opportunamente, qualche anno fa, di risalire all« entroterra poetico » e alla « preistoria saggistica » dello stesso autore. Che lesercizio poetico, svolto tra il 48 e il 53, abbia lasciato un segno profondo nella ricerca espressiva dei romanzi, e indubitabile; addirittura Pomilio ci ha dichiarato, in colloqui confidenziali, che Il cimitero cinese e Luccello nella cupola trassero lo spunto tematico da due liriche de Gli emblemi, la raccolta di poesie progettata e mai pubblicata. Quanto alla saggistica, a nostro avviso, non basta fermarsi alla sua « preistoria », poiché ormai essa ha, nel processo formativo di Pomilio, tutta una lunga « storia » che ha camminato di pari passo con la sua narrativa. Per convincercene, basterą badare alle date dei suoi studi pił impegnativi: del 63 e La fortuna del Verga, del 66 Dal naturalismo al verismo e La formazione critico-estetica di Pirandello, del 67 e il volume Contestazioni, unampia silloge di saggi su questioni di poetica, estetica e linguistica, del 74 infine e Natura umana e stato sociale nella visione del Manzoni, uno studio di piccola mole, ma denso di originali riflessioni.
Dalla lettura di queste opere si puņ arguire con estrema facilita che ciņ che pił strettamente congiunge il saggista al narratore, e la ferma persuasione che larte deve concorrere a fare delluomo il centro e la misura delle cose che lo circondano. Tutto questo non significa che Mario Pomilio finisca per confondere, come oggi spesso accade, la letteratura con la sociologia e perfino con lantropologia: larte e per lui storicitą e insieme bellezza. Egli rifiuta ad un tempo sia limpegno ideologico che il disimpegno qualunquistico, nellassoluta certezza che il vero artista resta, ancora oggi, quello che sempre e stato: un maestro di umanitą,
N.B. Per approfondimenti visitare la sezione personaggi del Comune di Avezzano>>
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