Arte e cultura della Marsica

«Addģ 13 luglio 1597. Mutio figliolo di messer Titta Febonio e di Madonna Clelia sua moglie, battezzato da me don Giovanni Lepore, tenuto al fonte [battesimale] da me Giovanni Battista d’Orlando ». E’ quanto risulta dal registro dei battesimi conservato nell’archivio della Cattedrale di Avezzano.

La famiglia Febonio, quando nacque Muzio (secondo di sei figli, nati nell’arco di dodici anni, nel seguente ordine: Giulia nel 1596, Muzio nel 1597, Porzia nel 1598, Sulpizia nel 1601, Armilla nel 1605 e Asdrubale nel 1607), poteva vantare gią un lungo servizio e molta fedeltą all’illustre casato dei Colonna, potenti signori di Roma e feudatari della Marsica: servizio e fedeltą dimostrati con la spada e con la penna. Tra gli avi pił prossimi del Nostro c’era stato anche un Matteo Febonio, il quale verso il 1560 fu Vicario Generale di Anagni e nel 1564 venne nominato alla Cattedra di Celano. Ma il parente pił noto, e anche pił importante per la diretta influenza che ebbe ad esercitare sulla vita e sull’educazione del piccolo Muzio, fu il Cardinale e storico Cesare Baronio, suo zio in linea materna, essendo nato da una Porzia Febonio e da Camillo Baronio, nobiluomo di Sora. Muzio Febonio si dovette recare per tempo a Roma,
dove fu avviato dal Baronio agli studi e poi alla carriera ecclesiastica. della sua giovinezza e del suo tirocinio letterario non si sa nulla di rilevante. La prima data notevole della sua vita č quella del 1631, anno in cui fu chiamato all’Abazia di S. Cesidio in Trasacco per interessamento di Marcantonio Colonna, Gran Contestabile del Regno di Napoli. Rimase a Trasacco fino ai primi del 1648, con qualche breve interruzione per viaggi a Roma, Assisi e Pistoia, compiuti per motivi di ricerche o affari connessi ai suoi uffici di Ahate e «servitore» dei Colonna.

Nel 1643 pubblico, con dedica al Cardinale Mazzarino, la Vita delli gloriosi Martiri 5. Cesidio Prete e S. Rufino suo padre primo Vescovo de’ Marsi. L’opera era frutto di appassionate indagini e preludeva ad un «pił lungo discorso» che egli intendeva fare in una Storia dei Marsi, in lingua latina, cui stava lavorando. Si legge infatti nel Proemio: « … dopo aver cercato molte antiche scritture e memorie, sono stato anco in persona in quei luoghi dove la necessita dell’opera mi astringeva, e con pił lungo discorso, nell’annotationi alla latina, che nella descrittione de’ Popoli de’ Marsi, che sta ora sotto la mia penna (piacendo a Iddio) si vedra approvato in tutto. Le quali annotationi con il compendio della vita medesima e altri antichi documenti, ha avuto da me il Sig. Francesco Brunetto di Campoli, che scrive le antichitą del Regno di Napoli, e per le mani d’un mio amico, con un breve discorso volgare di questi paesi, fatto anco da me, sono pervenuti in Napoli in potere di altro scrittore, che e per darle alle stampe. Il che mi ha aHrettato a dar fuora la presente giudicando non poter cosģ presto complire l’opera incominciata, la quale ancor per esser latina, non potrą soddisfare alla divotione de’ molti, che non sono intendenti di quella lingua ».

Le cose, poi, andarono diversamente da come egli si era proposto: lo studio pił ampio e organico su S. Cesidio e S. Rufino non si trova infatti nella Historia Afarsoram (la quale pero, come si vedrą tra poco, non corrisponde all’originale, andato perduto per una ingarbugliata vicenda toccata ai manoscritti feboniani), ma costituirą l’oggetto di un altro lavoro, anch’esso in italiano, rimasto inedito e rinvenuto recentemente dal Morelli. Nel 1648 il Febonio rinuncio all’Abazia di Trasacco «per liberarsi dalla cura dell’anime», come scriverą pił tardi a Lukas Holstenius (2), in una lettera del 9 febbraio 1652, e ottenne l’incarico di Vicario Generale presso la Cattedrale di Sulmona. Con la stessa nomina passo, ai primi del 1651, nella Cittą dell’Aquila e subito l’entusiasmo l’idea di poter «vedere all’intorno gran memorie antiche e vestigi di pił lochi» (lett. allo Holstenius del 21 febbraio 1651). Il soggiorno aquilano duro appena tre anni e rappresenta quasi una parentesi di creativitą letteraria nella persistente vocazione storiografica del Febonio: in quel periodo, infatti, apparvero un dramma sacro dal titolo S. Bartolomeo Apost. Martirizzato (1651) e gli idilli de L’Amor divino due volte bendato (1653). Due opere abbastanza singolari e rimaste sconosciute agli stessi studiosi del Febonio, a partire dal Corsignani: della prima, secondo il Morelli, non esisterebbero copie «in nessuna biblioteca» e sarebbe ricordata solo dal Pansa in un saggio del 1900 (3); della seconda, esiste una sola copia nella Biblioteca Nazionale di Napoli, che noi abbiamo potuto controllare di persona.

Un po’ curiosa la sorte capitata a L’Amor divino due volte bendato, il cui testo fu, con la complicitą degli amici dell’autore, trafugato dal tipografo Gregorio Gobbi. Ce ne informa una simpatica noterella dello stesso editore premessa all’opuscolo e lo conferma il Febonio in una lettera allo Holstenius del 19 luglio 1653, in cui scrive: « Questi signori aquilani amici, che per curiositą leggettero duo idilli sacri, che dettai un tempo fa, gli hanno dati alle stampe, et con rossore li mando a V.S .Ill.ma pił in ossequio della mia servitł che perché meritino essere letti per il stile, se ben per il soggetto erano di altro canto; la mia rozzezza sarą scusata dall’affetto della devotione che li ha dettati ». Sull’importanza dei due idilli ci soffermeremo pił avanti. La permanenza a L’Aquila non fu sempre serena per il Febonio, dapprima per delle gravi accuse di simonia e di omicidio mossegli dall’Arcidiacono Angelini, succedutogli nell’Abazia di Trasacco, e poi per dissapori col nuovo Vescovo Francesco Tellio de Leon, eletto da Filippo IV il l’ luglio 1654 alla Cattedra aquilana, su designazione della nobiltą locale, che da tre anni insisteva per la nomina d’un Vescovo spagnolo, contro il Capitolo e lo stesso popolo, i quali invece preferivano un italiano.

Ci restano due interessanti lettere, dirette a L. Holstenius, a documentare questi difficili momenti della sua vita: nella prima, datata 9 febbraio 1652, sostiene che l’Angelini, «escluso dalla nuova pretenzione» di esser Vicario nella Cattedra di S. Cesidio, vuol vendicarsi procurando «una fede falsa che io havessi armato con li miei fratelli et incorso in colpa d’omicidio per non poter ritenere l’Abazia, l’habbia rinunciata per pigliarmene ccntinaia di ducati ». La veritą, invece, e che l’Angelini e « solito di delinquere in simili materie », e un «chierico ignorante» e incapace «di delegatione», ordinariamente «persona rilassata», «pubblico concubinario» e «per molti eccessi fu carcerato di mio ordine» ed attualmente «si trova nominato col Capitolo>>.

Se egli ha rinunciato all’Abazia di Trasacco,e stato per ben altri motivi: « io non conosco altre armi dice che la mia penna e qualche straccio di libro per passare l’otio et esercitare la mia professione ». L’altra lettera, scritta da Avezzano il 20 agosto 1654 dopo l’abbandono del vicariato della Cattedra aquilana, contiene una pressante richiesta d’intercessione per ottenere un nuovo incarico: «Non e stato possibile cosģ comincia continuare col nuovo Vescovo, che mostrandomesi contrario, sono stato costretto lasciare, et ritirarmi alla casa e patria, dove mi trovo, e per non ammarcire nell’otio, vado pensando con la gratia di V. S .Ill.ma havere qualche occupatione di trattenimento. Mi si dice che vachi l’uffcio del secretariato della fabrica di S. Pietro in Napoli, che spetta all’Em.mo Barberino conferirla, se a V. S. Ill.ma paresse a proposito e giudicare che facesse per me, et volesse interponerci la sua intercessione, ardisco di supplicarla o se giudicasse altra occupazione di vescovato o carica che facesse per le mie forze; mi rimetto alle sue gratie preponermi per procurarla ». E conclude: « Se la mutatione dell’aria in questi tempi non fosse pericolosa, mi saria trasferito a Roma come spero alla rinfrescata (…) ».

L’aspirazione principale del Febonio rimase delusa, non si sa se per mancata intercessione dello Holstenius, nominato da circa un anno bibliotecario della Vaticana, o per difficoltą insormontabili. Dall’epistolario, recuperato solo parzialmente, si puņ desumere che un nuovo incarico gli fu affidato tra il 1656 e il 1660 poichč l’ultima lettera spedita da Avezzano e appunto del 4 marzo 1656 e la prima da Pescina, sua nuova destinazione, e del 27 febbraio 1660. Quale fosse il nuovo incarico non risulta ben chiaro, ma č certo che inizialmente fu a fianco del Vicario di quel vescovado D. Pietro Francesco Cestone di Veroli, « la cui scarsissima istruzione era di danno alla Sede » (4). (ili anni trascorsi in ozio, cioč senza un ufficio particolare, dovettero essere i pił fruttuosi per i suoi studi storici e giografici. Potč affrontare senz’altro con maggiore impegno la stesura della Historiu Marsorum, che gli era stata suggerita anni prima da una certo Padre Cesare Preccilli e che, come si č visto, era stata iniziata gią nel 1643. Probabilmente la prima stesura era giunta a buon punto proprio intorno al 1660, se l’8 gennaio del ’61 l’autore potč scrivere all’Ughelli in questi termini: « II P.re Cesare Preccilli (che sia in gloria) mi costrinse a imbrattare le carte in materie le quali ne era digiuno, e per animarmi mi diete le diretioni e l’orditura; scrissi per obedire et esso a pena ne vidde alcuni chinternetti.

So che ho errato in metter mano a cose non conosciute da me, et havendo caminato tentoni in materie antiche, merito biasimo; ma se per sorte fussero li errori in qualche parte compatibili, non vorria perdere la carta. La confidenza che ho con V.S. Ill.ma mi astringe a sottoporla prima al suo giudizio, acciņ con la ingenuith solita, mi favorisca dirmene quello ne sente, so che li e incommodo, e come la lettura sia dissagiata le serra tediosa, ma il compatire l’imperfetioni e proprio delli amici e padroni; ce ne mando alcuni chinternetti copiati con fatica et le chiedo darmene saggio, mentre con ricordarle la mia osservanza, le bagio cordialmente le mani ». Ferdinando Ughelli (Firenze 1595Roma 1670), Abate cistercense, autore dell’Italia Sacra, colossale opera in nove volumi ancor oggi fondamentale per la nostra storia ecclesiastica, era ritenuto un insigne maestro di erudizione. qui l’eccessiva modestia con cui il Febonio si rivolge a lui, per averne un giudizio spassionato e confortante. Il giudizio dovette essere sostanzialmente severo, qualche mese dopo il Febonio gli scrisse ancora per dire: « Mi sono cosģ fatto animo del sprone che con la sua, V. Rev.ma mi ha dato che ho ripercorsa l’opera et andando emendando i defetti che ci conosco, di breve compliro quanto ci manca per condurla alla fine ». Gli chiede, anzi, di presentarla al Cardinale Colonna, affinché « si compiaccia comparisca al mondo con il suo nome ».

E conclude: « … so che V. P. Rev.ma m’ama et credo l’affetto che porta a questa fatica; et mi comprometto honorerą la mia temita di questo appoggio et aspettando intendere, ne accetta ’attestato; le fo riverenza e bagio le mani ».
L’opera fu terminata tra il ’61 e il ’62. Infatti, un’altra brevissima lettera all’Ughelli, inviatagli da Pescina il 22 marzo 1662, accenna ad una revisione di quella che doveva essere la copia definitiva. Dice testualmente: « Havendo fatto esemplare la copia della descrizione de Marsi e stando rivedendola per seguitare l’indirizzo di V. P. Rev.ma mi saria caro sapere se havesse havuto occasione di preponerla all’Em.mo Colonna accio possa pensare d’indirizzarcela con la scorta et protetione de’ favori di V. Rev.ma con supplicarla a darmene parte, riverendo a e bagio le care mani ». Nel marzo del 1662, dunque, il Febonio stava rivedendo la sua opera maggiore secondo « l’indirizzo » suggeritogli dall’Ughelli. Si puņ quindi credere che tra quella data e il giorno della sua morte, avvenuta a Pescina il 3 gennaio 1663, egli riuscisse a portare a termine anche la revisione del suo lavoro.

E’ legittimo avere qualche dubbio, ma per certo sappiamo che una copia del lavoro fu preventivamente spedita a Roma All’Ughelli, o direttamente al tipografo, e ciņ spiega perché il fratello Asdrubale Febonio non la rinvenisse tra le carte lasciate dal congiunto; trovņ solo appunti sparsi, per cui pensņ bene di farli ordinare: con quale profitto gli studiosi gią sanno, per aver essi con frequenza rilevato in quella edizione strane fantasticherie. Purtroppo nel fondo Barberiniano presso la Biblioteca Vaticana, dove sono conservate tutte le carte ughelliane, della storia feboniana non vi č traccia ». (La sottolineatura e nostra). L’opera sarą pubblicata, a cura del nuovo vescovo dei Marsi Diego Petra, cinque anni dopo la morte dell’autore. Pur non essendo nella forma originale data dall’autore, i tre libri della Historia Marsorum incontrarono subito il favore degli studiosi e pił tardi, nel 1723-25, furono inclusi dal Burman nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae (vol. IX, parte IV). Altra opera postuma del Febonio, apparsa in Roma nel 1663 per i tipi della tipografia di Nicolņ Angelo Tinassi, s’intitola: Vita di S. Berardo Cardinale del titolo di S. Grisogono e di altri Santi della Diocesi de’ Marsi raccolte dal Dottor Mutio Febonio Abate di Trasacco.

L’opera, e data al « Monsignor Diego Petra Vescovo dell’istessa Diocesi », contiene le vite dei seguenti altri Santi: Beato Tommaso da Celano, S. Orante della Terra di Ortucchio, Beato Oddo (monaco certosino), S. Gemma della Terra i an Sebastiano, S. Pietro eremita di Rocca di Botte e i Santi Martiri Simplicio, Costanzo e Vittoriano venerati a e ano. Della sola Vita di S. Berardo Cardinale si fece una nuova edizione nel 1678, presso la stamperia Barberina del Ruzzo i in Palestrina, a spese del sig. Costantino Grossi da Pescina e dedicata « al Rev.mo Capitolo, Signori Arcidiacono e Canonici della Cittą di Pescina ». Che il Febonio avesse lasciato altro materiale inedito, si sapeva gią da molto tempo anche se non se ne conosceva la reale consistenza: il Corsignani prima (5) e il Soria poi (6), avevano molto genericamente parlato di opere in prosa e in versi. Ma solo di recente, per merito del Morelli, si sono rinvenute ben otto biografie di Santi marsicani, contenute tutte nel codice 2375 della Biblioteca Casanatense di Roma, nell’ordine che segue:

1) Vita di S. Rujino Afartire Vescovo de’ Marsi e di 5. Cesidio Prete suo jiglio et Compagni tratta dagli Atti della Chiesa di Trasacco, Assisi e Pistoia (cc. 77-114 v.);
2) Dell’inoentione de’ Corpi de’ SS. Martiri Costantio, Simplicio e Vittoriamo, Stefano, Giovanni e Vittore; Fondatione della Chiesa di Celano e Vita del Beato Giovanei da Fuligno (cc. 117-1303) Vita di S. Giusto Martire E)iacono della Chiesa de’ Afarsi (cc. 131-32);
4) Di due monaci martiri di Vuleria, la festu dei quali si celebra li 15 febbraio (cc. 133-134);
5) Vila di Santa Gemma Vergine della Terra di S. Sebastiaeo, il cui corpo riposa in Goriano Sicoli (cc. 135-143);
6) Vita di S. Pietro Eremita della Rocca di Botte il cui corpo si conserva nella Terra di Trevi e la festa celebrasi il giorno trigesimo di agosto (cc. 144-154 v.);
7) Vita de’ Santi Afartiri Giooanni, Vittore et Stefano, scritta dal Dr. Mutio Febbonio di Trasacco (cc. 155-160 v.);
8) Vita di Bonifacio Papa Quarto (cc. 161-167).

Si tratta di un ritrovamento cospicuo, come ognuno puņ constatare, ma che non manca di qualche piccola ombra, poiché il codice non reca il nome dell’autore, che compare solo nel penultimo manoscritto e risulta, per giunta, annotato da mano posteriore. II Morelli e sicuro, tuttavia, di poterli attribuire al Febonio per varie ragioni, la principale delle quali consiste nel fatto che il codice contiene « numerose note e pentimenti», che sono «inequivocabilmente» della stessa mano degli autografi feboniani esistenti nella Biblioteca Vaticana. La questione, cosģ pare almeno, puņ considerarsi chiusa. Non altrettanto, a nostro parere, si puņ dire dell’altra questione, assai pił delicata, che il Morelli solleva circa i rapporti tra il Febonio e il Corsignani a proposito del De viris illustribus Marsorum. gią il Soria aveva sostenuto che questa opera e del Febonio e che il Corsignani se ne approprio quando era ancora inedita e poi la pubblico come sua. Ora il Morelli, riprendendo questa tesi, crede di poterla corroborare con le seguenti « circostanze »:

1) tra i molti manoscritti lasciati dal Febonio, uno doveva sicuramente riguardare gli uomini illustri marsicani, come lascia pensare un passo dell’Appendice alla sua Historia, la dove, parlando del Vescovo Alessandro De Ponte di Corcumello, dice: « Est familia praefata De Pontibus ex nostratibus insignis
procerum et ecclesiarum de viris illustribus agemus dice
mus » (citiamo dall’opera del Morelli);
2) tutti i manoscritti del Febonio finirono nelle mani di un certo I. di Collelongo, presso il quale potč consultarli personalmente il Corsignani, come si ricava da una pagina della Reggia
3) il fatto che il Corsignani « abbia tralasciato, di quei manoscritti di darci un elenco ed una descrizione completa » pur riconoscendone l’importanza, e piuttosto strano e autorizza a credere che volesse appunto manometterli e appropriarsene. A noi sembra francamente che, pur con queste « circostanze », non si riesca affatto a dimostrare la grave accusa di manomissione e appropriazione rivolta al Corsignani si resta invischiati tra la supposizione e il sospetto; null’altro. In casi del genere, mancando decisive prove esterne, occorrerebbe procedere ad un rigoroso vaglio delle cosiddette prove interne, ossia grafiche stilistiche ecc., cosa che non convinti che uno studioso serio e probo come il Corsignani, assolutamente macchiarsi di una cosģ grave colpa.
E torniamo, per un momento, al Febonio poeta. Non potendo dir nella sul dramma sacro dedicato al martirio di S. Bartolomeo, opera posseduta un tempo da Giovanni Pansa e andata poi smarrita – e una nostra ipotesi – con
la parziale dispersione della sua ricchissima biblioteca, dobbiamo dedicarci alla sola lettura degli Idilli sacri.

Quando il Febonio era Vicario Generale « della fedelissima Cittą dell’Aquila ». Dedicandoli a Donna Isabella Gioemi Colonna, Principessa di Castiglione e Duchessa di Tagliacozzo, l’autore dichiarava testualmente: « Gli affetti di divotione vengono eccitati dalle tribolationi, ne cetra e sonora, se le corde non sono percosse. Nel rammarico d’una lunga infermitą R. agitatione d’avversa fortuna ho accoppiate le voci al canto in queste note, che rappresento a V. E. come pegno delal mia servitł. La rozzezza del canto sara compatito dal gusto, che ella ha nelle cose di spirito, e non isdegnera, che un vassallo le porga quelli frutti tali, quali il suo intelletto produce in atto di riverenza, che con questa humilmente le fo. Aquila 25 marzo 1653 ». Le « tribolazioni », cui si accenna all’inizio della delica, sono le stesse di cui si e gią parlato a proposito del soggiorno aquilano del Nostro. La lettera a Lukas Holstenius del 9 febbraio 1652, pił volte citata, cominciava appunto cosi: « In tutti gli stati bisogna tribolare; io che ho rinuntiato all’Abbadia di Trasacco per liberarmi dalla cura dell’anime, mi si va cercando d’inquisirmi di simonia, quale che avessi voluto evitare un pericolo per pencolare nell’altro; sia lode del Signore che lo permette ».

Il dolore, e risaputo, emerge tra tutti i motivi perennemente umani della poesia; e la poesia, per chi sappia intenderla e gustarla, e tra i farmaci pił efficaci per lenire il dolore. Oggi, e vero, non si e in molti a credere nel potere catartico e consolatore dei poeti, eppure una tradizione risalente fino ad Omero afferma chiaramente che l’armonia del loro canto non solo « vince di mille secoli il silenzio », come ben disse il Foscolo, ma ripaga addirittura delle amarezze e, a volta a volta, addita la veritą, sferza il vizio, discopre le brutture, accende passioni salutari, penetra il mistero della vita e della morte, si fa fede che sposta – evangelicamente – perfino le montagne. Taluni pensano che queste siano credenze ormai trapassate di fronte ad alchimie del ’900, e invece sono state e sono tuttora la linfa vera della storia, e tramonteranno solo con l’uomo. Ebbene, se ci si accosta agli Idilli del Febonio con queste convinzioni, se ci si disporrą ad avere gusto « nelle cose di spirito », allora si potrą compatirne anche la « rozzezza del canto », poiché la si vedrą giustamente bilanciata dalla purezza del sentimento.

Quantunque il Febonio poeta sia indubbiamente meno interessante del Febonio storico, noi crediamo tuttavia che la scoperta dei suoi Idilli sacri costituisca un grosso avvenimento per la letteratura d’Abruzzo; non solo, ma puņ avere perfino un certo valore e significato per chi voglia riprendere eventualmente la polemica, sorta pochi decenni or sono, intorno al barocco letterario italiano. C’e ancora infatti, da noi, chi si chiede se il Seicento sia stato un secolo di decadenza o di rinnovamento e si mostra piuttosto propenso ad accettare la prima ipotesi, a ciņ indotto dalle fondamentali osservazioni del De Sanctis e del Croce sul falso o sul vuoto interiore predominante nei pił vari aspetti di quella civiltą, non escluso l’aspetto religioso. Eppure e da credere, col Belloni, che « lo spirito religioso dell’Italia secentesca fu messo alla gogna sotto l’accusa di ipocrisia senza attenuanti » con un giudizio sommario, « fondato forse pił su idee tradizionali o anche tendenziose, che non su indagini larghe e profonde », giudizio in gran parte determinato o favorito dalle « zelanti e interessate censure dei protestanti stranieri » (7).

Da indagini pił attente risulta, ad esempio, che l’oratoria sacra, benché sotto l’influsso del barocchismo deteriore, fu anche capace di tradursi in azione stimolando numerosi casi « di esaltazione ascetica di fervore mistico, di fanatismo religioso individuale e collettivo », di cui c’informano le cronache del tempo. Ma che dire della poesia religiosa C’e in essa qualche cosa che la riscatti dai rischi della retorica imperante? Nasce, almeno qualche volta, da una reale esigenza dello spirito? L’impressione generale che se ne riceve, e che si tratti di un’esercitazione artificiosa, col netto contrassegno di una cupa tristezza nascente dai « temi tetri » imposti dalle necessita controriformistiche. La mancanza di « serenitą », a dire del Momigliano, sarebbe appunto la nota pił caratteristica della dimenticata lirica sacra del ’600, da cui si i levano solo pochi « accenti di schietta poesia » (8).

Ebbene come e dove va collocato, nel quadro di questa lirica “L’Amor divino due volte bendato” del Febonio? Sotto un certo rispetto, di carattere contenutistico, esso costituisce un caso un po’ a se. gią l’uso, nel sottotitolo, del termine « idillio », e abbastanza strano: esso, infatti, solitamente indicava un componimento poetico d’ispirazione pastorale e campestre; ben altro, e noto, sarą per il Leopardi, assai pił tardi; ma per un poeta del ’600, qual senso mai puņ avere? Noi pensiamo che il Febonio, richiamandosi all’etimo greco-latino, lo adotti nel puro e semplice significato di « poemetto », cioč breve componimento, aperto a tutti i contenuti e capace di tutte le intonazioni. L’attributo « sacro », pertanto, ne e come il peso specifico e la denotazione qualificante.

Anche l’argomento dei due Idilli esula dalla moda corrente in quegli anni, poiché non rientra affatto nei motivi « tragici e tristi » di cui parlano il Momigliano e altri studiosi: infatti il primo, che s’intitola esattamente Gesł smarrito, tratta del divino fanciullo che, all’insaputa dei genitori, s’intrattiene per tre giorni al Tempio, impegnando dei vecchi dottori in un colloquio per loro sconcertante; il secondo, che s’intitola Gesł nell’eucarestia, ci parla della reale e pur misteriosa trasfigurazione del Cristo nel pane eucaristico. Di triste, in tutto questo, non v’e altro che l’ansiosa ricerca del figliuolo da parte della madre, tema divenuto di cosģ scottante attualitą nei nostri tempi. Entrambi i componimenti esaltano, in effetti, la figura dell’Uomo-Dio e il suo amore per l’umanitą peccatrice, amore che appare « bendato », ossia velato ma sicuro, primieramente nella veste di Gesł ancora bambino e poi, definitivamente, nel sacramento dell’Eucaristia. Quanto alla forma espressiva, non si puņ veramente dire che sia « rozza », come umilmente la definisce l’autore.

Anzi, il Febonio si mostra addirittura in grado di essere, quando vuole, al passo con la tendenza contemporanea dei marinisti, rifiutandone pero le punte pił stravaganti: li ricorre infatti sia pur raramente, a metafore ardite, quali « sponde d’argento », « valli di cristallo » e simili; qualche volta si avvale anche di antitesi concettuali e formali (es. « ferisce l’occhio e rasserena il cuore »), di allitterazioni un po’ ingegnose (es. Gesł e « Il sol di questo sole, la luce vera », oppure « Parto di questo sen, parte del cuore »), di arguzie verbali e giochi fonetici (es. « Sospirava ai sospir, piangeva al pianto », « vacillando discorra, / discorrendo vacilli »), riesce perfino a stabilire dei rapporti analogici e allusivi d’un qualche effetto (es. la riapparizione improvvisa di Gesu e come un « chiaro lampo de I”eterna luce / … ne la notte del duol torbida, oscura »). Ma c’e da osservare che, nel suo fondo pił vero, il Febonio resta ancorato alla tradizione classica in quanto attribuisce alla poesia dei fini pratici e morali, spogliando cosģ il barocco di quella « poetica del diletto e della meraviglia » che, se ha il merito di aver aperto la strada alla moderna concezione autonomistica dell’arte, ha tuttavia il torto di aver troppo spesso eccessivamente distratto il linguaggio e l’immagine dalla semplicitą e dalla naturalezza (9).

NOTE

(1) Questo profilo bio-bibliografico e stato ricostruito in larga parte sulla base dalle 15 lettere inedite ritrovate da Giorgio Morelli e pubblicate in appendice alle sue Notizie storiche su Muzio Febonio, Roma 1965.
(2) Lukas Eiolstenius, nato ad Amburgo nel 1596 e moxto a Roma nel 1661. Fu canonico e bibliotecario della Vaticana. Si occupo anche di filologia classica e curo l’edizione del Liber diureus Pontijr”cum Romanorum e del Codex regularum.
(3) G. Pansa, Osservazioni e aggiante al saggio critico-bibliografico sulla tipografia abruzzese dal sec. XV al sec. XVIIl (in «Rassegna Abruzzese di Storia e Arte», Casalbordino, 1900, n. 11-12).
(4) G. Morelli op. citata nella nota numero uno
(5) P. A. Corsignani, Reggia Marsicaea, vv. II, N p oli Parrino 1738 (passim).
(6) F, A. Soria, Memorie storiche-critiche degli storici napo etani, Napoli, Stamp-ria Simoniana, 1781-82 (pp, 251-53).
(7) A. Belloni, Il Seicento, Milano. l’ ed. 1929, 5” ed. 1958.
(8) A. Momigliano, Storia della lett. ital., AfilanoMessina, l’ ed. 1936.
(9) Sulla natura e i limiti della cultura classica del Febonio si legga l’interessante « comunicazione » di Giulio Butticci annessa agli At ti del IV Convegno nazionale della cultura abruzzese, editi recentemente dall’I,S.A., Pescara.

N.B. Per approfondimenti visitare la sezione personaggi del Comune di Avezzano>>

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