Il Maestro di Farfa nell’Abruzzo carseolano ha dipinto anche i pannelli ex-voto a grandezza naturale sulle riseghe murarie della fronte presbiteriale della chiesa di S. Maria della Febbre a Rocca di Botte (1), non lontana dal santuario della Madonna dei Bisognosi. Raffigurano Agata con la palma del martirio, la cui bellezza e oltraggiata nel seno da un netto taglio di spada (2), ed eretto su un prato Antonio da Padova, alla cui intercessione si rivolge un privato nella sottostante epigrafe, datata all’anno 1500 (3).
Le immagini, riquadrate da cornici a intreccio e traforo e da un nastro tassellato di tipo cosmatesco, hanno aureole dal contorno perlinato, simile a quelle impresse nel presbiterio interno del vicino santuario della Madonna dei Bisognosi. Analogo e anche l’uso delle tinte calde (benché in qualche zona ridipinte e grossolanamente tamponate a cemento): il carminio del sangue dalla ferita di Agata e vivo come quello del Crocefisso di Farfa; la struttura ovale del volto riprende quella di s. Oliva nella lunetta di Cori e dell’Immacolata sabina; le ciocche sfilacciate dei capelli sono come quelle dei santi nella lunetta sabina e nel Giudizio di Sermoneta, ove basta ricordare il Risorto; sigla nota e anche il manto dal risvolto a esse, ravvivato da punti di luce dorata.
Lo stesso giglio che premia le virtù di Antonio ricorda la palma del martirio nel piccolo ex-voto sermonetano; uguale e anche il pollice gonfio, ben staccato dal restante corpo allungato della mano, che tiene il Sacramento con impressa la Crocifissione; infine i radi capelli sulla fronte del predicatore sono segnati uno ad uno come la fitta vegetazione dipinta nella scarsella del vicino santuario, o nell’Adorazione della croce a Farfa, o nel castello di Sermoneta. Da ultimo la soda monumentalità dei santi, che non soffoca il consueto sguardo affettuoso, e cosa gia presente nella Vergine dell’abbazia sabina, e documenta a inizio Cinquecento un rinnovato contatto con le opere della media e tarda attività di Antoniazzo.
Citiamo per Agata la s. Lucia affrescata dall’Aquili circa nell’ ’82 nella cosiddetta cappella di S. Caterina alla Minerva, e la Caterina d’Alessandria nella tavola dipinta tra l’ ’82 e l’ ’85 per la cappella Costa, poi della Rovere in S. Maria del Popolo, da cui e possibile estrarre anche il tipo di Antonio, poi camuffato in Nicola da Tolentino, santo più idoneo per la sede agostiniana di Roma. Ricordiamo che i nostri dipinti hanno poco attratto gli studiosi. Calvani li attribuiva a quello che credeva fosse l’unico autore del ciclo della Madonna dei Bisognosi, e li associava ad altre pitture nella chiesa (4) datate agli anni Settanta-Ottanta del Quattrocento dallo Zeri, che vi univa un gruppo poco omogeneo di opere (5), assegnabili invece a diverse mani (6).
Noi, pur senza approfondire, crediamo che il restante ciclo quattrocentesco sia di un artista di dolce vena gozzolesca, non ignaro dei prototipi iconografici e stilistici umbri (7), segno del discreto ruolo culturale svolto fin da allora dalle nostre zone, prima in mano Orsini e poi Colonna (8).
Note
(1) La chiesetta e nota anche come Madonna del Pianto, perché l’altare e ornato da una minuta Vesperbild in stucco policromo (v. Nardecchia 1999/ in stampa). Vero gioiello dell’età di mezzo dall’aspetto di cripta, pensata architettonicamente come chiesa autonoma con doppio ingresso sulla fronte e su un lato, e Forse del XII o del XIII secolo (Piccuilli 1909, pp. 334-337 e Chiese della Marsica…, pp. 46-47), quando gia da tempo nella vicina S. Pietro Apostolo, oggi pnrocchiale, risiedevano i benedettini e governavano l’abitato i Montanea, feudatari di probabile origine normanna il cui potere si estendeva, almeno fino alla meta del Trecento, alla montagna di Roccacerro e Tagliacozzo (v. Melchiorre 1985b; Zinanni 1988, pp. 174131, 208, su indicazioni di Michele Scio).
(2) ll suo culto, risalente al III-IV secolo, era vivo soprattutto in ambiti rurali. Patrona delle malattie al seno, delle gestanti, della puerpere e delle balie, fu modello di bontà (da cui il nome), di castità e di strenua resistenza a vari e crudeli supplizi, inflitti nell’inutile tentativo di piegarla a sacrificare agli deii (v. Gordini 1961 e Longhitano, specie 67-81). La devozione potrebbe sovrapporsi nel nostro caso a quella della Madonna della Febbre, forse puerperale, v. più in genere Rivera, p. 362.
(3) QUESTA – FIGURA DE – S – ANTONI DE PADUA A FACTA/[PENGE]RE P(ER) A(N)IMA DE MASTRO MACTEO PER VOTO/DELLO SUO FRATELLO IANNIANTREA – 1500. Ricordiamo che il termine “mastro” indicava un oblato, un consacrato, che poteva anche essere sposato.
(4) Cfr. Calvani, pp. 36-39; nella nota 23 di p. 50 suggerisce estesi confronti con opere antoniazzesche. Un generico cenno e in Laurenti, p. 107. Per una rapida descrizione, alcune illustrazioni [149-152] e notizie relative alla loro scoperta e al consolidamento dell’immobile, v. l’Appendice V.
(5) Egli (1953, p. 41) pensava ad un autore benozzesco, vicino a quello anonimo delle storie mariane nella cappella gentilizia al secondo piano di palazzo Orsini a Tagliacozzo; vi collegava anche le pitture di inizio settimo decennio nell’oratorio francescano del Monte Tabor (o della Trasfigurazione) nella laziale isola Bisenuna nel lago di Bolsena, quelle nella cappella a sinistra (la seconda?) della chiesa conventuale di S. Cosimato presso Vicovaro, e le storie di sant’Antonio da Padova in una nicchia della chiesa umbra di S. Francesco a Montefalco.
(6) La Pasti, pp. 171, 176-178, studiando il seguito laziale di Benozzo Gozzoli, indicava per Rocca di Botte un autore di buona qualità (v. in sintesi la scheda in Architettura e arte nella Marsira, vol. II, 1984, p. 194). Todini, Zanardi 1980, p. 83 e Todini 1989, vol. I, p. 64, riprendendo l’ipotesi di Scarpellini, pensavano per Montefalco ad un espressionista gozzolesco formatosi in Umbria; Nessi propone (1980 e 1997, p. 84), sulla scia di Toscano, lo spoletino Jacopo Vincioli, un prolifico artista cresciuto tra Benozzo e il caratterismo di Niccolo Alunno (v. M. R. Silvestrelli 2000, pp. 17-18, 44-45); Lunghi 2000, p. 58-64, scorporando dall’eterogeneo gruppo ricostruito dallo Zeri la cappella del Tabnr (ove piuttosto riconosce un umbro-laziale al seguito di Benozzo, attivo verso la meta del settimo decennio del secolo), suggerisce per la cappclla della Crocifissione (o del monte Calvario) lo stesso Gozzoli, operoso nel Lazio tra il 1452 e il ’59. Nei dipinti di Tagliacozzo sono presenti anche altre componenti.
(7) Per la scena della Pietà citiamo, tra i tanti confronti possibili, quella di Bartolomeo Caporali staccata dal convento di S. Giuliano a Perugia, eseguita tra il 1486 e l’ ’87 e oggi nella Galleria Nazionale dell’Umbria (Moscatelli, pp. 152-153), da non confondere con l’analogo gruppo dipinto nel ’77, citato dalle fonti ma disperso. Dello stesso autore e il Compianto di Maria oggi nel Museo capitolare di Perugia, datato 1486, proveniente dalla chiesa di S. Enea presso il capoluogo umbro (Bernardini, pp. 26-27).
(8) Sorprende che Buttafoco (1995a, p. 16 e Eadem 1995c, p. 699) colleghi alla lunetta con il Salvator mundi; ove scorge un ingenuo gusto provinciale prossimo a Melozzo. Aveva forse presente l’omonima tavola oggi non più attribuita a Melozzo ma a Pedro Berruguete nella Galleria del palazzo ducale di Urbino) l’affresco della Madonna di Loreto con s. Sebastiano nell’edicola della seconda campata della chiesa di S. Andrea a Tivoli (m. 1,64×1,92). Petrocchi 1996/1997, p. 233 nota 5 associa il ciclo di Rocca di Botte a un diverso gusto, ma lo collega ancora alla stessa mano poi intervenuta nell’affresco tiburtino (ove e perduta la data del 1496); inoltre considera impropriamente a quell’epoca il centro carseolano un possesso di Subiaco.
Testi tratti dal libro Pittori di frontiera
Testi a cura della dott.ssa Paola Nardecchia
avezzano t2
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avezzano t4
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