Comune di Rocca Di Botte

Rocca di Botte e cittadina, che non vanta gran numero di storici (1) e i pochi che ne fanno parola si limitano a dare scarsi accenni descrittivi dell’ambiente naturale e sociale, dei personaggi illustri, delle vicende del suo secolare tessuto storico. Il nostro lavoro e essenzialmente d’altro genere, usufruendo di formule critiche basate sul valore delle osservazioni scientifiche e della documentazione archivistica originale entro una visione globale della realtà naturistica e cittadina di Rocca di Botte, ma la linea descrittiva e ridotta per obiettività d’assunto, il cui nucleo portante e S. Pietro Eremita in attesa di dare risposte di più ampio respiro nella prossima pubblicazione, che vedrà la luce col titolo specifico di ‘ Rocca di Botte ‘.

Analizzandone la bibliografia, la prima opera, che meriti d’esser presa in esame, e quella di Muzio Febonio, il quale nelle sue Historiae Marsorum, (2) stampate nel 1678, oltre ad una giustificazione etimologica di Rocca di Botte, fornisce notizie sulle attività agro-pastorali dell’ambiente, che riconosce Borenti e di facile sbocco commerciale nei mercati romani; sottolinea la particolare inclinazione popolana alla musica e al canto e la devozione al santo concittadino Pietro Eremita, che conferma nato a Rocca di Botte e morto a Trevi, ove si conservano le sue spoglie mortali. Di eguale ampiezza (trentacinque righe) e lo spazio dedicato a Rocca di Botte da Pietro Antonio Corsignani nella sua Reggia Marsicana, (3) stampata nel 1783, ove pero l’autore ripropone ripetutamente note estratte dal Febonio e accenna alla gestione della chiesa parrocchiale di S. Pietro Apostolo, corredando l’assunto con inediti appunti al casato Naldi, illustrato più ampiamente in altra sua opera, (4) nella quale ne da, notizia insieme ad altri personaggi illustri del luogo come S. Pietro Eremita, il Gesùita Fabrizio de Britijs e il maestro compositore Bonifacio Graziani, che scrisse numerose opere divulgative in campo musicale affermandosi come uno dei migliori del secolo XVII in quell’arte.

Le storie del Febonio e del Corsignani sono riportate da Andrea Di Pietro (5) nella descrizione dei paesi della Marsica, in un’opera venuta alla luce nel 1872. In spazio di poco superiore a due pagine l’autore ripropone materiale gia noto, ma inserisce la particolare novità d’una bolla di Clemente III (1188), nella quale si fa menzione della chiesa roccabottana di S. Biagio e di S. Pietro con evidente riferimento alla parrocchiale di S. Pietro Apostolo. Alle opere sopra accennate, che possiamo definire classiche sull’argomento, seguono le guide illustrative di Luigi Degli Abbati (6) e di Enrico Abbate, (7) non immuni da gravi e grossolani errori. Nella guida di Degli Abbati a Rocca di Botte sono dedicate otto pagine con riferimenti all’origine del toponimo, aggiornato rispetto al Febonio con la tesi del Tracio Bitty, ostaggio di Roma e prigioniero a Carseoli, (8) il quale avrebbe fissato a Rocca di Botte la sua dimora dandole il nome (ipotesi da scartare assolutamente).

Un discorso più prolisso l’autore fa sulla storia architettonica della chiesa parrocchiale di S. Pietro Apostolo, del cui interno offre uno schizzo raffigurante ambone e ciborio, e su una serie di dati riguardanti rifacimenti e affreschi andati perduti; fa anche riferimento ad Aldegrirna, (9) moglie di Rainaldo II, conte dei Marsi (sec. XI), che dice raffigurata nei resti d’un dipinto del portico della chiesa stessa in atto di donare il tempio a S. Pietro; accenna inoltre a pitture, graffiti ed altro materiale artistico d’antichissima data, sulla cui veridicità nutriamo molti dubbi; da escludere a priori sono anche le proposte avanzate d’una Bocca di Botte esistente nel secolo VII
d. C. in posizione analoga alla leggenda di S. Maria dei Bisognosi sul monte Serrasecca e del cognome Mosca (10) inesistente al tempo, ma indicato dall’autore come proprio di S. Pietro Eremita.

Nella parte finale della piccola monografia, dedicata a Rocca di Botte, Begli Abbati da anche notizie sul dominio colonnese e sulla demografia locale con accenni alla peste dell’anno 1656, (11) che pone erroneamente nel 1640 e ad alcuni personaggi in parte noti, particolarmente a un tal Bonanni, che recatosi a Roma, onde acquistare due tamburi per la locale guardia nazionale, trovandosi sulla via del ritorno, s’imbatte nelle truppe tedesche in marcia verso il napoletano durante la campagna dell’anno 1821. Il panico e evidente, ma il povero eroe sa vendicarsi suonando a pieno rullio i tamburi dal fondo del bosco carsolano da creare scompiglio nell’accampamento sottostante, donde i militi fuggono temendo imminente l’attacco nemico.

Nella guida di Enrico Abbate, che h posteriore di quindici anni alla precedente, sono dedicate a Rocca di Botte ventisette righe, sintesi di quanto detto da Degli Abbati con aggiunta di notevoli errori cronologici e concettuali da meritare un giudizio assolutamente negativo. Quella di Abbate e senza dubbio la peggiore delle guide. Nel 1985 scrisse su Rocca di Botte anche Angelo Melchiorre (12) dell’archivio vescovile di Avezzano. Il saggio, riportato sulla rivista ciociara Terra Nostra, diretta da Dante Zinanni, discute molti luoghi comuni, ma accenna a documenti d’interesse su Rocca di Botte, esistenti nell’archivio diocesano dei Marsi. Un discorso più circostanziato merita Aehille Laurenti, (13) che, riportando in larga parte il Degli Abbati e spesso copiandolo, nel 1933 dette alle stampe un volume sul Carseolano, che ebbe notevole risonanza tra i naturali del luogo da entrare nella tradizione popolare falsandone l’oggettività storica. (14)

A Rocca di Botte si dedica una piceola monografia di nove pagine, ma il nome della cittadina compare anche nella trattazione di Comuni contorni. Costituisce momento di rilievo il discorso sulla famiglia Naldi, la cui comparsa in Rocca di Botte ha tutte le caratteristiche delle fantastiche narrazioni popolari, infatti, contrariamente alla nota storica del Corsignani e a documenti anteriori, consolidando una voce raccolta da qualche anziano e suffragandola con dati cronologici attinenti alla famiglia Naldi, ma trascritti da fonti stampate, Laurenti colloca l’origine del casato al 1770, (15) quando due nobili giovani faentini avendo ucciso il loro vescovo e datisi alla fuga, giungono a Roma, ove entrano al servizio di casa Colonna; accattivatasi la fiducia dei signori vengono esiliati a Rocca di Botte, sfuggendo al capestro. Ma della famiglia Naldi si hanno documenti anteriori al secolo XVIII, riportati dal Corsignani. (15) Altri due fantasiosi luoghi comuni caratterizzano l’opera di Laurenti. Un primo riguarda l’ipotetieo transito del longobardo re Agilulifo, il quale, devastata Carseoli, oggi Civita di Oricola, avrebbe distrutto Rocca idi Botte, (17) ma Agilulfo, scendendo dal nord, si ferma alle porte di Roma, trattenuto dall’azione pacificatrice di papa Gregorio Magno, che lo conduce al battesimo con la regina Teodolinda.

La nota di Laurenti, tipica di certa megalomania storica, cioè di coloro che concepiscono la grandezza soltanto in relazione a devastazioni o stermini firmati da uomini registrati in manuali storici, fa leva sulla mentalità dello scrittore locale Giacinto De Vecehi-Pieralice, (18) riportata anche da Degli Abbati. Un secondo luogo comune, ripreso dallo stesso Degli Abbati, che lo attinge dal De Vecchi-Pieralice, riguarda i perduti affreschi del portico di S. Pietro Apostolo in Rocca di Botte, dagli stessi attribuiti al secolo XI. (19) Ma Fabio Gori, che li vede nella meta dell’ottocento, li giudica opera del secolo XV senza far riferimento ad Aldegrima ne al soggetto del dipinto. (20) Verosimilmente Laurenti ne propone l’attribuzione al secolo XI non per attento esame del tessuto pittorico quanto aderendo passivamente al giudizio delle sue fonti, dalle quali e superficialmente letta e citata Aldegrima
Considerando la fioritura artistica delle opere su muro, edita nel Carseolano durante il secolo XV, si evidenzia logica la conclusione che le pitture, conservate all’interno della parrocchiale di S. Pietro Apostolo in Rocca di Botte siano da attribuirsi a quell’epoca.

Ne danno conferma alcuni resti ben leggibili e la produzione artistica dell’area tagliacozzana del secolo XV, i cui caratteri sono in stretta analogia con gli affreschi di Rocca di Botte. Cosl, ammesso che il contenuto scenografico sia veramente come gli scrittori auricolani tramandano, e estremamente sospetto che il personaggio, indicato come offerente la chiesa a S. Pietro Eremita, che al tempo non esisteva ancora ne era santo, sia proiprio Aldegrima. (21) Sarebbe interessante analizzare la metodologia storiografica dei vari autori, onde comprenderne meglio pregi e difetti, ma il discorso porterebbe lontano dai nostri propositi; i lettori si contentino al momento di riferimenti bibliografici. (22) Febonio non usa riportare le fonti di riferimento. Abbate, Degli Abbati, Laurenti e per taluni versi Di Pietro fanno lo stesso. Solo Corsignani da un certo numero di riferimenti bibliografici a stampa. Più interessante invece e il discorso di Melchiorre, che introduce nel dibattito le carte conservate nell’archivio avezzanese della diocesi dei Marsi. La mancanza di riferimento alle fonti e il neo di gran parte delle pubblicazioni locali, cui difettano originalità documentativa e capacita d’offrire nuove chiavi di lettura per un discorso più critico e costruttivo sull’ambiente.

Testi tratti da Pietro Eremita L’uomo della speranza da Rocca di Botte a Trevi

Testi a cura del Prof. Dante Zinanni

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