Comune di Rocca Di Botte

Batte nuovamente monte S. Fabrizio, supera Arsoli e giunge all’Aniene, che prende a risalire verso oriente, affascinato dal mito del monastero sublacense. I castelli di Marano Equo e di Agosta sono ad un passo, anche quello della Cervara, che sembra uri nido d’aquila arroccato cosi in alto. Cammina in silenzio, mentre il fiume gli scorre accanto tra cime maestose di monti. Intorno, come orchestra divina, gli echeggiano il mistero della natura e la nostalgia del silenzio montano. Da Rocca di Botte a Subiaco sono oggi 25 chilometri, all’incirca quanti erano al tempo del Santo, poiché la via Valeria e la Sublacense vi subirono rare modifiche: un tragitto ameno in mezzo a frescure diverse, donde partirono antichi acquedotti romani, donde attualmente ha origine l’acquedotto dell’Acqua Marcia, che rifornisce la città eterna; un cammino silenzioso, quasi segreto, per il quale i mistici vanno a Dio senza essere sentiti dal mondo.

Settecento anni prima lo risaliva S. Benedetto, fuggendo da Rom,a con la fida nutrice Cirilla, ora lo sale Pietro con bastone e bisaccia alla ricerca d’una realizzazione interiore in grado di sciogliere il nodo di tensioni personali e sociali, che lo attanaglia. In realtà la sorte lo chiama alla ribalta altrove come possibile mediatore in una vicenda, che vede Dio e l’uomo associati insieme e che si svolge nel tempo penetrando nel tessuto della storia umana attraverso strade, che, se pur non collimano col disegno divino, anzi spesso vi si oppongono, confluiscono sempre nel bilancio positivo dell’amorosa economia di Dio. In questa orbita di salvezza gli eletti non sono i,privilegiati, ma i responsabili, gli impegnati in misura rispondente ai doni ricevuti e con atteggiamento che li pone di fronte alla vita non come prometei incatenati, contemplatori della propria profonda miseria, ne manipolatori immanentisti delle magnifiche e progressive sorti dell’uomo, ma lettori intelligenti dell’eterno senso della storia.

E’ in questa ottica e a largo termine, più che con immediata risolutezza, che il profeta e il santo agiscono sulle coscienze dei popoli, le cui emozioni, sensazioni e movimenti interiori richiedono un certo tempo prima di trovare la loro espressione morale pratica. L’esperienza carseolana, illuminata dall’apparizione di Maria, ha introdotto Pietro in una nuova consapevolezza, che traduce la virtù teologale della carità nell’esperienza diretta dell’umanità. Bio, soggetto dell’amore, ama e opera attraverso l’uorno, oggetto della volonta salvifica di Dio. Non più dunque l’incarnazione d’una teologia teocentrica, ma antropocentrica. Non più l’ubi Deus ibi homc (come nella concezione medievalistica e inquisizionistica anche moderna), ma l’ubi homo ibi Deus col rinascimento d’una antropologia teistica, che partendo dall’uomo arriva a Dio e ritorna all’uomo, illuminandolo di luce soprannaturale e spiegandolo teologicamente. (1) Con questa nuova saggezza in cuore, fatto più maturo dagli eventi, Pietro, come Benedetto, avanza verso Subiaco, (2) placando nell’anelito contemplativo la fame ‘d’amore e di vita.

La città non e quella odierna, ha tuttavia una sua vitalità, orbitante nel nucleo abitato raccolto sulla sponda destra dell’Aniene e inserito nella dinamica politica del monastero sublacense, da cui cerca disperatamente una sua civile autonomia. La via maestra della città e una sola, la sublacense, che nel luogo detto oggi ponte di S. Francesco, s’inerpica profilandosi lungo la sponda del fiume tra case e casupole abbarbicate intorno a una piccola chiesa, eretta sulla sponda destra dell’Aniene, denominata di S. Abbondio. (3) Ivi bussa Pietro, mostrando la sua patente di povero eremita e chiedendo ospitaliti. Bussa alla porta anche la primavera, che e gia nei panni distesi al sole e gonfi di vento profumato, nel cielo che, a S. Benedetto, conosce spunti di turchese e rondini sotto il tetto, nel canto del bimbo, che vende sui gradini della chiesa le prime viole.

Note
1) La moderna teologia della storia prende a considerare Dio e l’uomo con un rapporto, che investe l’uomo nella sua concretezza, oggetto della volontà salvifica di Dio. Le parti della teologia riflettono tale contenuto, tutte infatti hanno per oggetto l’uomo, cui si rivolge l’azione e l’economia di Dio: la rivelazione, la conoscenza di Dio uno e trino, la grazia, la redenzione, i sacramenti, l’escatologia. Questo processo critico ha avuto una svolta radicale nell’ultimo trentennio del nostro secolo, confermata dalle definizioni del concilio vaticano secondo; ormai rientra nel magistero della Chiesa il principio che la difesa dei diritti umani e parte essenziale dell’annuncio evangelico. I diritti umani cioè non scendono dal cielo, ma maturano nei loro contenuti, incessantemente nuovi, dal travaglio della storia. Scrive Ernesto Balducci: ” Nei tre anni miracolosi della chiesa, dal 196? al 1965, è avvenuto un trapasso d,i cui oggi, venti anni dopo, siamo in grado di valutare l’importanza. Siamo passati dall’epoca della cristianità all’epoca, ancora incerta nelle sue forme e nei suoi possibili approdi. del popolo di Di,o immerso nell’umanità fu cammino. Fino ad allora, la chiesa si poneva come centro di unificazione storirco del mondo; da allora, ella riconosce che, come si legge nel primo paragrafa della Lumen gentium, il mondo si muove verso la propria unificazione in virtù di vincoli economici, politici, culturali che rientrano nelle sue autonome competenze. La chiesa non ha un suo progetto da opporre a quello del mondo, ma si pone al servizio di un ideale di unificazione che promana dal seno del genere umano e con cui essa “sacramento del regno ” è chiamata a scorgere e a servire le convergenze con le promesse messianiche. Fu papa Giovanni a mostrare alla chiesa, con la sua testimonianza prima ancora che con la sua parola, questo modo di abitare la storia degli uomini. Nella Pacem in terris egli esemplifico la nuova metodologia dei rapporti tra fede e storia fornendo una serie di “segni del tempo”, riconoscendo in tal modo che e il mondo a dettare, per dir cosi, l’ordine del giorno alla chiesa, non viceversa. Tra i segni del tempo papa Giovanni mise in rilievo la nascita dell’ONU e in particolare la sua dichiarazione d,ei diritti dell’uomo votata all’assemblea generale del 10 dicembre 1948. Inutile ricordare che, nell’epoca di cristianità, tra i compiti della chiesn, non c’era quello della difesa dei diritti dell’uomo, c’era quello sulla difesa dei diritti di Dio, secondo una formulazione teocratica in cui si annidavano le più arcaiche incrostazioni ideologiche. Oggi la chiesa riconosce che il luogo storico in cui l’umanità come tale procLama e tutela i diritti dell’uomo 8 l’ONU. A ribadire questa visione delle cose Paolo VI si reco, il 4 ottobre 1965, nell’assemblea dell’ONU presentandosi, senza più la tiara del dominus dominantium ma come un fratello “esperto di umanità”, quale testimone e portavoce dei diritti umani. primo fra tutti il diritto alla pace. “Noi siamo – egli disse con stupenda immagine – come il messaggero che, dopo lungo cammino. arriva a recapitare la lettera che gli 8 stata affidata” (Da Nigrizia, gennaio 1986, p. 4).

2) “Subiaco lo chiama col suo nome genuino Sublacum con Cornelio Tarito. e Gi.ulio Frontino; anche Sublaqueum era chiamato da Plinio, cosi lo chiama anche S. Gregorio nella Vita di S. Benedetto e nella prima bolla sublacense lo stesso santo Pontefice confermandolo all’Abbate Honorato, lo dice Castrum Sublacum, e cosi in altre bolle susseguenti e tutte le volte; che lo nomina la cronaca sublacense usa questo nome: cast,rum Sublaci, ciò a dire terra ovvero oppidum, che significa lo stesso che castrum essendo situato in luogo eminente in gran parte, come spiega Carlo Sigonto de iure antiqua Italiae lib. 2 cap. 1. castrum antiqui dicebant oppidum, loco altissimo situm, quasi casam altam, in quo castellum, sive quod castrabatur ibi licentia habitantium ne passim vagarentur ” (PIER. XXI, 63) . Subiaco deve dunaue il suo nome ai tre laghi (tria stagna) fatti costruire con le acque dell’Aniene da Nerone e valorizzati da Claudio e Nerva. Su di essi, a specchio d.’acqua, sorse un magnifico edificio o villa romana, caduta circa l’anno 1305 per una inondazione del fiume. La presenza di S. Benedetto e la formazione dell’abbazia benedettina porto l’ambiente già nei primi secoli del med.”oevo ad alto prestigio politico-economico. Chiarisce il Pierantoni: ” Subiaco hebbe forma di terra doppo la partenza di S. Benedetto circa l’anno 529; e pero S. Gregorio scrisse locus qui dicitur Sublacum e lo prova il cronista perchè anticamente a tempo di S. Dam,aso Papa anno 369. si legge solo curtis Narti Patritij Romani, che la chiesa di S. Lorenao detta ad aguas altas” (PIER. XXI, 63). Lo stesso Narzio possedeva una vasta proprietà estesa fino agli altipiani sovrastanti, che appunto da lui sono ancor oggi denominati Altipiani di Arcinazzo. Nel secolo XII cioè ai tempi di S. Pietro, Subiaco era “terra cospicua, capo di tutte le altre dell’Abbatia, assai ricca e pena di popolo, distfnta fn cinque parrocchie, una delle quali era la chiesa d~ S. Abbondio, detta poi d,i S. Andrea alla sponda del fiume e hora collegiata insigne: nella quale chiesa iL nostro S. Pietro fù ricevuto in hospitio per cinque mesi da Pietro Priore di quella” (PIER. XXI, 63).

3) “La chiesa di S. Abbondio, posta dentro Subiaco in la riva del fiume che ne bagna le mura, nel medesimo sito d,ove al presente si vele eretta I.c Collegiata di S. Andrea e fondata era nel pendio di essa riva tanto abbasso, che quivi si scendeva per una scala; nel mezzo e nel fondo di essa chiesa vi sono state ritrovate le antiche cappellette che formavano una picciola chiesa sotterranea; il qual sito ancor hoggi ridotto ad uso di sepoltura pure chiamasi di S. Abonlio: ma con successo di tempo alla stessa chiesa fic dato il titolo di S. Andrea Apostolo, del quale si trova memoria circa l’anno 1340. e nell’anno 1554. And.rea Croci, vescovo di Tivoli, fabbricò il nuovo altare maggiore che si asserisce posto sopra l’Altare vecchio della chiesa inferiore di S. Abondio; nel quale vi pose le reliquie de SS. Apostoli Bartolomeo e Mattia o Matteo racchiuse in un vaso grande vetrato, ritrovato nell’anno 1671, in occasione che detto altare di S. Andrea che era attaccato al muro, fu trasportato e posto in isola sotto l’arco della Tribuna, come presentemente si vede: il qual raso e reliquie furono riposte nell’Altare novo con la copia della seguente iscritticne scritta in pergamena, ritrovata dentro detto Altare novo: Die 19 Aprilis 1554. Andreas Crucis Episcopus Tiburtinus constituit novum maius Altare super Altare vetus ecclesiae inferioris S. Abundij, et in eo reposuit reliquias SS. Apostolorum Bartholomaei et Matthaei. La copia di questa memoria si conserva nell’Archivio li. Cetta chiesa li S. Andrea et in esso ancora si ha notitia esser stata cosi chiamata dall’anno 1405: cioè nell’inventario de suoi beni fatto in detto anno: ma questo titolo d molto più antico; legendosi nella cronaca sublacense di S. Andrea cap. Z4. Fol. 174. un instrumento rogato li 6 Giugno del 134: in ecclesia S. Andreae de Sublscu: anzi più volte nel registro vecchio legesi Dnmus posita in Paroechia S. Andreae an. 1368. et 1372 et an. 1375. Donatio hortus et Domus posits in Platea S. Andreae fatta da Bernardino Stefanucci: et altre molte ” i PIER. XXI, 64) .

Testi tratti da Pietro Eremita L’uomo della speranza da Rocca di Botte a Trevi

Testi a cura del Prof. Dante Zinanni  

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