Comune di Balsorano

Salvataggio e carità dei religiosi. Salvatisi i religiosi nel modo descritto nel precedente capitolo, benché malconci ed ancora impauriti, non se ne restarono oziosi che anzi fattosi animosi coadiuarono il maresciallo dei reali carabinieri Genesio Conte e i suoi pochi dipendenti nel salvataggio di quei pochi infelici che penavano sepolti sotto i muri crollati e moltissimi debbono alla loro carità ed abnegazione la salvezza. Essi, infatti, accorsero dove più minaccioso era il pericolo e più urgente la necessità. E siccome il dolore aveva affratellati tutti, così i frati, imitando l’esempio del loro Padre si spogliarono essi per ricoprire la nudità di altri. Tra tutti si distinse il padre Sigismondo da meritarsi giustamente l’encomio del governo italiano.

Descrivere a chiari colori tutta la scena prodotta dal terremoto, non è cosa facile neppure a bravi scrittori. Ai posteri basterà sapere che esso terrorizzò perfino i più coraggiosi ed in tutti subentrò un fatale scoraggiamento, quasiché fossero inesorabilmente votati alla morte e nulla valse a scuoterli.
Essi non avevano più lacrime neppure alla vista dei più deformati cadaveri delle persone più amate in vita, perché i loro cuori si erano impietriti dallo strazio del primo momento, tanto da sembrare che in essi non esistesse più il senso dell’umanità. Si vedevano uomini, donne e fanciulli aggirarsi all’impazzata senza scopo e senza fine e se gli si domandava dove fossero diretti, rispondevano con voce fioca ed occhi stralunati: “Non lo sappiamo!”
Molti erano in parte ricoperti con stracci non proprii ed alcuni indossavano abiti non del proprio sesso.

Non esistevano più chiese e si pregava all’aperto. Costituiva l’altare un tavolino addossato a qualche albero. I sacerdoti dispersi e le autorità disorientate. I bambini inconsci della disgrazia chiedevano pane e non vi era chi potesse somministrarglielo. Insomma, regnava sovrana la miseria e la disperazione: ” Ubique mors, ubique luctus, ubique desolatio, undique percutimur, undique amaritudinibus replemur (S.Gregorio Papa)”.
La posizione dei poveri terremotati veniva maggiormente aggravata dall’interruzione delle comunicazioni con le città libere perché i telegrafi si erano spezzati e le ferrovie non prestavano servizio per le macerie che incombravano in più punti le rotaie, dimodoché si era restati separati dal resto del mondo non ricevendo e non potendo dare notizie.

Ogni paese, ogni città credeva sui primi momenti che fosse una sciagura locale, ma a poco a poco, per mezzo di pedoni, ciclisti ed automobilisti si seppe che la zona devastata era vastissima. Da qui nuova angoscia e nuovo dolore perché non potevasi sapere qual fine avessero subito quelli che per affari erano lontani dalle famiglie. Tra si immenso scompiglio, solo i religiosi coll’arciprete Marini, facendo violenza a se stessi mostraronsi coraggiosi e rassegnati onde incitare gli altri alla sottomissione al volere divino, facendosi in pari tempo padri e consolatori di tutti, dando quel tanto che avevano e dividendo con ciascuno un tozzo di pene. E poiché non avevano dove passare le rigide notti della stagione invernale pel momento si prese ad abitazione notturna la lesionata cappellina dell’orto e colà fu pure ricoverato l’arciprete con la famiglia e il segretario comunale Faustino Durante colla sua numerosa famiglia.

I canonici Onorio Colucci e Roberto Ruggieri, invece di coadiuvare il parroco, com’era loro dovere nell’incoraggiare la sventurata popolazione, l’abbandonarono fuggendo il primo a Napoli ed il secondo a Roma. La SS.Eucarestia venne estratta dalle macerie lo stesso giorno del disastro e collocata nella cappellina dell’orto e dopo qualche mese trasportata in S.Rocco, così non mancò mai il conforto del viatico ai moribondi.

Affinché, poi, non vadano in dimenticanza i nomi delle famiglie che più da vicino divisero coi religiosi il pane del dolore e che a preferenza furono beneficate dai medesimi, ne riporta qui l’elenco: Famiglie ospitate nei nostri orti Arciprete Don Filippo Marini e famiglia con servitù – Faustino Durante, segretario comunale e famiglia – Davide Silvi e famiglia – Antonio Nardella e famiglia – Maria Cianfarani e famiglia – Carlo Martinelli e famiglia – Alberto Urbani e famiglia – Felice Rossi e famiglia – Michele Capone e famiglia – Francesco Tucci e famiglia – Rocco Tucci e famiglia – Luigi ex brigadiere Silvi e famiglia – Vincenzo Tatangelo, negoziante e famiglia – Pietro Tuzi fu Michele e famiglia – Luigi Tuzi e famiglia – Maria Casciotta e famiglia – Angelo Antonini, sacrestano e famiglia – Pasquale Norcia (alias Barone) e famiglia – Luigi Tuzi e famiglia (lavandaia del convento) – Giovanni Moratti e famiglia.
Varie di queste famiglie restarono nei nostri orti sino alla fine di maggio 1915 con nostro materiale discapito.

Testi tratti dal libro Il Convento di San Francesco in Balsorano

Testi di P. Beniamino Di Rocco e Giovanni Tordone

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