a testimonianza a tale riguardo, la più attendibile e significativa, ci viene data da Don Orione stesso. Scrivendo a suo fratello Benedetto dai luoghi terremotati, cosi si espresse il caro padre, a proposito della vita che quivi conduceva: “Non pensare a me, se non per pregare, o caro Benedetto; sai che la mia vita l’ho data a Gesù Cristo, alla Santa Chiesa e agli orfani; essa deve consumarsi cosi. I dolori fisici, dovuti al lavoro continuo, al freddo oltremodo rigido della regione montana, in pieno inverno, congiunti ai dolori morali per le incomprensioni della stessa gerarchia ecclesiastica e per la opposizione sorda, aperta e dichiarata da parte dei laici massoni, furono tali e tanti da fiaccare la fibra d’un atleta il più disposto alla sofferenza.
Tuttavia il padre dei poveri, sorretto dalla divina grazia, tutto volle e seppe sopportare, offrendo la sua vita come olocausto a Cristo, alla Chiesa e agli orfani abbandonati: “Mi sarebbe rincresciuto di essere morto tra le montagne d’Abruzzo, senza vedere più nessuno e senza che sapeste dove ero finito, non per me che fa lo stesso, ma per voialtri, per non darvi dolore”. Fu questa una delle rare confidenze che si permise, venendo meno al suo abituale contegno di dissimulazione dei suoi mali. Confidenza che fece a Don Sterpi, suo Vicario, il quale, trepidando per la sorte del padre fondatore, gli chiedeva con insistenza sue notizie. E Don Roberto Risi, rettore nel 1915 della Chiesa di Sant’Anna in Vaticano, in una lettera a Don Sterpi, in cui lo ragguagliava del lavoro straordinario, che Don Orione compiva ad Avezzano per gli orfanelli, fa presente episodi e dettagli del tutto commoventi.
Eccone alcuni stralci: “… Il direttore Don Orione é partito alle ore 7 per Avezzano, dove va a stabilirsi in una baracca per la raccolta degli orfani di tutti i luoghi terremotati. Qui, ad Ognissant’ in questi giorni é stata una baraonda: a tutte le ore arrivano gli orfani. Una sera alle 10,30 ne giunsero ben 24. Stesi quattro materassi e poi, 12 di qua e 12 di là, con il tappeto dell’altare sopra, feci passare loro la notte alla bene e meglio. Erano però contenti, ché da quattro giorni dormivano nelle campagne. Al San Filippo di Via Alba sono 64 ed altri 17 alla Colonia di Montemario: 81 in tutto. Però il direttore ne vuole accettare altri 15.
1) Don Risi, dopo essere stato per qualche anno rettore della Chiesa di Sant’Anna, in Vaticano, fu nominato parroco della chiesa d’Ognissanti, nel Quartiere Appio di Roma. L’altro ieri sali con l’automobile a 1300 metri per raccogliere altri orfani. Vide parecchi lupi. L’automobile slittò e non potevano più proseguire, con orfani nudi e gelati. Per fortuna giunsero altre due automobili e cosi poterono ritornare ad Avezzano, donde poi con 40 orfani tornà a Roma con il treno reale”. E Don Enrico Contardi, sacerdote anch’egli della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, fondata da Don Orione, era stato inviato da Don Sterpi ad Avezzano, perché stesse più dappresso a Don Orione ed esercitasse su di lui un vigile filiale controllo.
Ebbene, Don Contardi strappa le lacrime, quando riferisce sullo stato di salute e sugli strapazzi che il padre degli orfani si permetteva oppure suhiva in quella zona desolata. Ecco alcune righe di una sua lettera: “Il direttore non sta molto bene, perché l’umidità presa nei primi giorni ed il presente enorme lavoro l’hanno molto sciupato. E’ sempre lui: energico, allegro, e non dà affatto a conoscere i suoi malanni…”. Ed un’altra volta, Don Contardi, scrivendo ad un confratello, gli confida: “Della vita di sacrificio e di abnegazione che il nostro direttore compie, non ve ne parlo, perché vi spaventereste. Di tanto lavoro materiale ne avrebbe potuto fare a meno, ma il suo zelo e la sua carità non hanno confini”. Ed ecco quello che scrisse “Il Popolo Marso”, il quotidiano di Avezzano: “Non abbiamo abbastanza parole per encomiare l’opera umanitaria e caritatevole di Don Orione. Chi non l’ha inteso nominare? Chi non lo conosce dall’altro terremoto messinese? Ottenuto di potere accogliere gli orfani, é volato con l’automobile in tutti i luoghi devastati, non trascurando i piccoli paesetti e dappertutto ha raccolti questi poveri infelici, accompagnandoli o facendoli accompagnare a Roma.
L’abbiamo visto con la gioia nel volto, sollecitato per quei piccoli bimbi, dar loro delle gianduie, dei dolci, rivestirli con vestimenti nuovi, accompagnarli alla stazione, e metterli in mani sicure. La sua operosità é instancabile e tutte le autorità lo stimano e lo amano”. Finita l’emergenza Don Orione lascia Avezzano, ma il suo cuore é ancora fisso li ed ovunque si trova si adopera in ogni modo per dare concretezza a tante iniziative di bene, destinate a procurare sollievo, conforto, assistenza ed educazione ai molti orfani raccolti nelle sue case. E la casa di Roma che divenne tutta loro fu l’Istituto di Via Alba, in Roma. Ovviamente altri orfani che Don Orione aveva incontrato rimasero nei loro paesi. Pero l’amato padre non si scordò di loro e fece di tutto per procurare anche ad essi una casa di accoglienza nella stessa Avezzano, come risulta chiaro dalla lettera che scrisse loro da Tortona’ il 6 maggio 1915.
2) A Tortona si trova la Casa Madre della Congregazione Orionina. La riportiamo qui per intero per fare nostri quei sentimenti di bontà paterna, che vibrarono nell’animo del “Padre dei poveri e dell’umanità abbandonata”: “Non restate offesi, perché sono partito senza salutarvi. Oh! Voi conoscete bene che io prima di partire, avrei voluto parlarvi e salutarvi tutti ad uno ad uno. Ma dovevo fare cosi, anche perché era difficile che non mi fossi poi commosso ed allora sarebbe cresciuto il dolore e la pena per il nostro distacco. Vi dirò che, quantunque sia partito di nascosto, nel lasciarvi ho sofferto molto ed ho anche pianto lungamente, pensando che abbandonavo degli orfani e pensavo al vostro avvenire. Ma mi sono confortato, pregando per tutti e per ciascuno di voi, come per dei fratelli, perché molto vi amo in Gesù Cristo, nel cui nome sono venuto a voi, nel dolore della vostra Marsica. E partendo vi ho posti tutti nelle mani della Madonna SS. di Pietracquaria, e confido che voi saprete sempre diportarvi da giovani onesti e cristiani e che giammai la SS. Vergine abbia a dovervi lasciare cadere dalle sue mani di madre.
Questo vi raccomando: mantenete il cuore puro e la virtù e la pratica della vita cristiana. Mantenete fede alla nostra Santa Religione, e crescete giovani educati, onesti e operosi cittadini, secondo tutti quegli avvertimenti e quella educazione, che tutti vi abbiamo sempre dato, e sarete un giorno contenti e stimati da tutta Italia e benedetti da Dio. Io ad Avezzano non posso tornare, dati i miei impegni, ma anche di lontano vi seguirò con affetto, e sarò felice ogniqualvolta mi sarà dato di fare qualcosa per voi, o cari miei orfani. Vi benedico tutti con amore di padre in Cristo e pregherò sempre Dio per voi. Siate attaccati alla Religione e siate devoti alla SS. Vergine e vivete onesti e laboriosi: ecco il ricordo che vi lascio”. “Un padre. L’amore di mille padri nel corpo mortale di un padre solo”.
È l’esclamazione con la quale Ernesto Campese, segretario di Prefettura nel Ministero degli Interni dà sfogo al suo animo, rimasto conquiso dall’amore svisceratamente paterno, che Don Orione seppe appalesare per gli orfani terremotati ad Avezzano. Il signor Campese, a motivo dello speciale ruolo, che ricopriva nel Ministero degli Interni, era ad Avezzano e girava per gli altri paesi colpiti dal sisma, per controllare assieme ad altri colleghi il movimento logistico dei soccorsi predisposti dallo Stato. E, avendo saputo che un certo Don Orione stava organizzando l’opera di soccorso per gli orfani, lo volle conoscere e nella lunga rievocazione che fa a Don Risi, suo amico, tra l’altro annota: “Entro. Don Orione era li, sotto un vasto tendone, seduto su di uno sgabello, ciascun braccio sostiene un bimbetto, sulle ginocchia, li acquieta con la ninna-nanna, e chiede il biberon: chiede ed insiste, datemi il biberon! Presto ci mettemmo d’accordo.
Gli orfani che avrei incontrato sul mio cammino, li avrei inviati a lui, con i mezzi di cui potevo disporre, e glieli avrei segnalati, perché pensava lui a rilevarli. E, quando li segnalavo, Don Orione accorreva o mandava. Ma preferiva accorrere lui. Poi il tendone fu sostituito da una baracca, alla baracca se ne aggiunsero altre. Dalle baracche i bimbetti venivano smistati sui treni che raggiungevano Roma, ed infine gli Orfanotrofi dell’Opera “Regina Elena” . Un’altra volta, incontrai Don Orione. Non ricordo precisamente dove. Certamente in uno dei comuni del mandamento di Pescina. Anche quella volta, come l’avevo notato nel primo incontro, i bottoni della veste talare in alto non erano agganciati: una trascuratezza densa di significato: in quell’emergenza non voleva impacci. Una terza volta l’ho rivisto ad Avezzano.
Ormai l’organizzazione filava sulle rotaie e Don Orione ne gongolava e lasciava un po’ fare ai suoi collaboratori. Lo si poteva intrattenere anche in discorsi che non riguardassero gli orfanelli e le opere di soccorso. Fu allora, che, interrompendo a mezzo non so quale mia interiezione, mi disse, strizzando l’occhio: “Allora tu non ci credi?! E continuò: Beh! Non importa. Se é stabilito che tu debba credere, crederai. E, se no, quello che importa é che tu faccia del bene…”. Assai eloquenti sono le due foto illustrative riportate nelle due pagine che seguono, con le loro didascalie, una delle quali é del noto barone Von Hughel.
3) Don Orione ad Avezzano figurava come rappresentante del “Patronato Regina Elena”. Quel cupo grigiore, come appare nella foto-stampa, in cui si vede Don Orione aggirarsi solitario, umile samaritano, tra le macerie, é tipico della piana del Fucino, quando su di essa incombe fissa la nebbia. Grigiore che in quel 13 gennaio del 1915 si rese ancora più cupo, non solo per la inclemenza del tempo (erano le 6 del mattino, con il freddo rigido invernale che pungeva di più), ma anche e soprattutto a motivo dello squallore generale, che si produsse con il tenibile cataclisma. Tutti i paesi rivieraschi del lago prosciugato divennero, chi più chi meno, un cumulo di rovine: indicibili i disagi e le sofferenze dei sopravvissuti, i quali in quei tempi neppure lontanamente si immaginavano di poter contare sui soccorsi immediati, consistenti e tempestivi, che l’odierno Ministero della Protezione Civile mette subito a disposizione