Comune di San Vincenzo valle Roveto

Ma torniamo al nostro paesino della Marsica per riprendere il filo del racconto e per ribadire che, pochi giorni dopo l’armistizio, esso cominciò a popolarsi di centinaia di prigionieri in fuga da Avezzano e di soldati italiani sbandati. Parroco del piccolo paese era il giovane prete don Savino Orsin (5). Era piccolo di statura, molto magro, con due gambette, nascoste dalla veste talare, robuste e dure come due tronchetti di faggio, dal momento che s’arrampicava come un capriolo sulle rocce più ripide per raggiungere,
attraverso scorciatoie a lui note, i suoi parrocchiani sparsi con i greggi in quelle valli e portar loro il conforto della sua parola di pastore di anime. Io ebbi la fortuna di conoscerlo e più volte, non so perché, mi veniva da pensare che quel nome Savino gli fosse stato cucito addosso su misura, perché si addiceva alla statura ed alla magrezza del suo corpo.

Ebbene quel piccolo prete montanaro, apparentemente insignificante, fu l’anima di un’organizzazione di assistenza ai prigionieri fuggiaschi cosi efficiente e capillare da sembrare davvero incredibile e favolosa. Da un pro-memoria da lui scritto in data 25 novembre 1945, ed a me consegnato con una certa ritrosia nel febbraio del 1977, apprendiamo quanto segue:

Il 14 e 15 settembre giunsero a Morrea, attraverso le montagne, i primi prigionieri indiani del campo di concentramento di Avezzano, accolti con simpatia dalla popolazione, che diede loro cibo e ricovero. Nei giorni seguenti, e precisamente, nei giorni l 9, 20 e 2 l, il numero aumentò e cominciò anche il transito di soldati e ufficiali italiani fuggiaschi, che chiedevano asilo e ristoro almeno per una giornata. Prevedendo che Morrea sarebbe divenuta meta di passaggio e posto sicuro per tutti coloro che intendevano oltrepassare il fronte, pensai che fosse necessario organizzare un piccolo Comitato per la loro assistenza.

Infatti don Savino chiamò a sé ” tre bravi giovani del luogo: Casalvieri Pietro, sergente di aviazione tornato a casa in quei giorni; Gemmiti Ugo Antonio e Giuseppe Testa (6) il più giovane dei tre, riuscito a fuggire dalle retate tedesche a Monterotondo”, e confidò loro il suo progetto, invitandoli a collaborare. Una volta conosciuta la loro totale e incondizionata disponibilità e conscio dei pericoli a cui sarebbero andati incontro, li invitô a giurare solennemente di essere sempre fedeli all’impegno e di non tradire mai i compagni neppure a costo della vita.

Si misero subito al lavoro senza risparmio di energie. Anche la popolazione si mobilità per quella straordinaria e pericolosa missione di carità e di civiltà; e si comportò in modo esemplare (7). In una relazione del 7 luglio 1944 il comitato sintetizzava con queste parole il lavoro svolto dalla popolazione fin dal settembre del 1943: ” Abbiamo potuto assistere 3100 prigionieri alleati e 2700 soldati e ufficiali italiani fuggiaschi. Abbiamo salvato uomini, bestiame e case (8)’. Con malcelato compiacimento don Savino poteva anche annotare nella stessa relazione quanto appresso: ” Si era compatti, qui a Morrea, per la resistenza e l’offesa al nazifascismo. La ferma volontà di ciò lo dimostra il fatto che quando si venne a conoscenza di un gruppo di patrioti marsicani operanti nelle nostre montagne, alcuni giovani del paese si arruolarono, io compreso… Cercavamo di procurarci armi. Avevamo già alcune rivoltelle e bombe a mano. Attendevamo altro, e questo per precauzione contro qualche rapina in grande stile; per le usuali ci servivamo delle nostre (sassi, bastoni e coltelli)… ” (9). Nel rileggere quella relazione, cosî schietta e risoluta, mi tornano al pensiero i versi del poeta greco Simonide di Ceo che cantava: ” Sopra inaccessibili dirupi abita la virtù, / che non è visibile però a tutti gli uomini, / ma solo a coloro che sono capaci di giungere fino alla vetta ” (Diehl 37)

Note
5. Don Savino Orsini, nato a Fontana Liri (Frosinone) il l’ agosto 1905, da Vittorio e da Pantano Amalia, aveva compiuto gli studi nel Seminario di Sora. Ordinato sacerdote il 19 aprile 1930, fu parroco di Morrea per ben cinquantadue anni, dal 2 aprile 1934 al 21 febbraio 1986, giorno in cui mori nell’ospedale di Albano (Roma). E’ sepolto nel cimitero di Morrea.

6. La famiglia Testa era composta dai genitori e da cinque figli: Italia, Concettina, Oreste, Carlo e Giuseppe. Trasferitasi a Roma nel 1932, era rientrata a Morrea dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

7. In una relazione del 25 novembre 1943, don Savino annota: ” Per soccorrere i prigionieri alleati timorosi di avvicinarsi al paese e vaganti per le montagne periferiche, fu dato incarico ai piccoli pastori, sparsi tra le valli e i monti, di prendere contatto con loro non appena li avessero scoperti, fornendo subito un po’ di cibo che portavano sempre con sé, come provvista della giornata di pascolo, e quindi di affrettarsi ad avvisare il Comitato, che interveniva tempestivamente e provvedeva al loro sostentamento per tutto il tempo che colà restavano “.

8. Al corrispondente de ” l’Unità ” (3 marzo 1945) già citato, che gli chiedeva come avessero fatto per procurarsi i mezzi per cosi vasta assistenza, il parroco rispondeva: ” Certo, le scarse provviste che servivano al fabbisogno delle famiglie si esaurirono presto. Dal giorno dell’armistizio dalle cosiddette autorità locali non ricevemmo più né farina né pasta né altri generi di prima necessità. Per tirare avanti la vita si dovette mettere mano ai pochi risparmi che, a costo di stenti e di privazioni, qualcuno era riuscito a mettere da parte… Alcune famiglie che avevano a carico prigionieri e soldati sono andate elemosinando per poter dar loro di che vivere. Si affrontavano i rigori della stagione e il lungo cammino attraverso montagne piene di neve, per recarsi in lontani paesi ad acquistare generi di prima necessità, pagandoli a prezzi favolosi (un quintale di grano L. 9.000, un quintale di fagioli L. 6.600, un litro di olio L. 600, un kg, di sale L. 400, e cosi via).

9. Nella stessa relazione si legge: ” Anche il coltello si sapeva usare; e lo fece vedere ai signori Tedeschi, il 21 maggio 1944, il giovane diciottenne Casalvieri Achille, che liberà un uffïciale indiano dalle mani di un maresciallo tedesco che lo aveva scovato, uccidendolo con quattro coltellate “.

Testi tratti dal libro Giuseppe Testa 1924-1944

Testi a cura di Mario Martini

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