Comune di AVEZZANO

Marsica News

Gli Antenati

E’ stato affermato da tutti gli storici che i territori, che si stendono intorno al Fucino, furono originariamente abitati dal Marci. Essi costituivano un popolo tra i più potenti dell’antichità italica, quali i Perdoni, i Vestono, i Frentani, i Marrucini, i Picchiano, la cui stirpe, al pari di quella dei Sepolti, dei Sapessi, dei Valso, degli Equi e degli Eroici, si fa risalire al gruppo etnico, che generalmente si è soliti chiamare dei Sabelli. La presenza del popolo dei Marsi nel territorio fucense, che prese pertanto da essi la propria denominazione, può essere riferita all’epoca del bronzo o del primo ferro, come può dirsi degli altri popoli italici del medesimo gruppo circa il loro stanziarsi nelle vicine regioni medie e meridionali dell’Italia antica.

L’antropologo Giustiniano Nicolucci (1) nel suo scritto “I crani dei Marsi ” così si espresse: ” Quando io cominciai, egli e gia molti anni, a raccogliere crani marsicani, non fu lieve la mia sorpresa nell’osservarvi caratteri da me non prima incontrati in altri crani italiani. Confrontando più tardi questi crani con altri teschi che a mano a mano venivo accumulando, mi avvidi che quelli che meno si dissestavano da crani marsi erano quelli di molta parte delle Province Aquilana e Chiama e soprattutto di que’ paesi che appartennero a Vestini, ai Peligni ed ai Marrucini. In ciò vidi che la storia era d’accordo con l’antropologia imperciocchè e i teschi che avevano maggiore rassomiglianza con quelli dei Marsi erano appunto quelli delle altre genti sabelliche, le quali si dicevano uscite insieme co’ Marsi dalle stesse regioni orientali della Sabina. Ma se ne’ crani marsicani ho trovato que’ caratteri pressoché comuni tanto ne’ crani antichi, quanto ne’ moderni non così generalmente ho potuto ravvisarli negli altri popoli affini, ne’ quali molto probabilmente il tipo primitivo è stato più alterato da ulteriori mescolamenti, laddove esso si conserva poco modificato fra i nativi della regione marsicana” (2).

“1 Marsi di oggi non sono degeneri da’ Marsi degli antichi tempi. Anche oggi sono prodi e meravigliosamente gagliardi; nell’aspetto fieri ed atti a sostenere le più dure fatiche. Come i loro antenati, sono anch’oggi coltivatori e pastori. Trovi in essi integrità di costumi, cordiale ospitalità, temperanza e rozza onestà. La classe agiata, non aliena da ogni progresso, non è seconda ad alcuna delle altre Province nostre, e in essa si contano uomini molti meritamente distinti per ogni specie di cultura intellettuale. (3).
Sin da tempi più remoti, i Marsi furono particolarmente rinomati per la velocità nella corsa, per l’agilità e la robustezza del corpo, che, tenuto sempre in piena efficienza con l’esercizio delle armi ed il rigore della disciplina militare, bene rispondeva alla fortezza d’animo, la quale poteva permettere di affrontare, senza timore, ogni difficoltà e pericolo. ”

Universalmente erano celebrati con lodi grandi come gente forte ed intrepida. Erano sempre in prima fronte nelle battaglie combattute in difesa della libertà della patria… “. ” E ben si vide come il loro valore si facesse palese nelle fiere lotte che sostennero insieme a Sanniti ed altri Italici contro Roma, quando al terribile grido della nazionalità minacciata, innalzarono la prima bandiera col nome d’Italia (VITELIV), e chiesero a Roma con le armi alla mano il diritto di cittadinanza sempre promesso, e sempre negato. Furono lotte titaniche, le quali, benché vinte alfine da’ Romani, fruttarono agli Italici confederati la cittadinanza di Roma, e l’eguaglianza di tutti i Municipi italianl”(4).
Le prime istituzioni politiche dei Marsi, senza dubbio, dovevano riferirsi alla divisione per tribù, come avveniva di tutti gli altri popoli italici antichi, i quali risultavano frazionati in tante minute entità politiche, comprese nel territori da loro occupati, cui facevano spesso da confine fiumi e montagne, che li intersecavano.

Con il trascorrere degli anni naturalmente si sperimentarono vantaggi di vita organizzata sotto tutti gli aspetti e si verificarono trasformazioni nelle varie comunità in dipendenza del clima, dei campi e del loro lavoro, dei traffici a base di baratto, specie nel primo commercio, e dei rapporti in genere con i popoli vicini. Conseguentemente, si senti la esigenza di nuove leggi, che in armonia con gli usi, con i costumi, e con le tradizioni migliori regolassero gli interessi privati ed il governo della cosa pubblica. Quasi nulla ci è pervenuto delle antiche leggi dei Marsi, ma di esse si rinvengono tracce nel diritto romano, ed il Colantoni ritiene di poter riassumere la materia della legislazione nell’uso di norme a difesa della sicurezza dello Stato, della persona e dell’onore dei cittadini, della morale, del diritto di proprietà, dei diritti dei genitori, dei matrimoni, delle successioni, delle eredità, della tutela, dei contratti, dei debiti, e dei funerali etc. (5).

Le città dei Marci si reggevano in confederazione, mantenendo tuttavia ognuna la propria libertà ed autonomia, ed un legame fortissimo tra di esse, come tra i cittadini, era costituito dalla religione, la quale nella essenza e nella forma si manifestava rispondente appieno all’indole dei Marci medesimi. Essi oltre ad onorare divinità protettrici, come Marte Libero, Venera Genitale (6), Feconda ed Ope, avevano un culto particolare per la dea Inerzia, per sua sorella Circe e per Giano nel santuari nazionali, eretti il primo vicino a Luco, l’altro in Cerchio, ed il terzo in Avezzano (7). Però quest’ultima notizia non ha fondamento, perché il tempio di Giano in Avezzano, già posto in dubbio da Rosato Sclocchi (8), va identicato con quello di Giove Statore degli Anxantni. Adoravano altresì il Fascino, quale nume lacustre ‘ e tale loro ardente venerazione, che era indice di attaccamento tenace ed amoroso al luogo nativo, risulta dalla più antica iscrizione marsa, incisa su una colonna di poca altezza, conservata attualmente nel Museo del Castello dell’Aquila.

Avevano fama di domare i serpenti più pericolosi, di saperne curare i morsi e di essere immuni da qualsiasi veleno; questa virtù era considerata, da parte di chi ne ignorava il segreto, come opera di incantesimo, legato a mito religioso,
mentre si trattava di arte medica vera e propria. Ad ogni modo il serpente era per i Marsi il simbolo della prudenza, di lunga vita e di immortalità, e veniva rappresentato attorcigliato sopra una sfera, quasi a significare lo svolgersi dei secoli nel perenne ritorno di vita e di morte in un ciclo indefinito. La sapienza amministrativa dei Marsi e la loro invincibilità come capitani e come guerrieri non valsero a farli resistere a Roma, la quale, nell’88 a. C. con Silla, Russi a sottometterli alla fine della guerra sociale, nota pure sotto il nome di guerra marsica, assorbendoli definitivamente nella sua storia. Comunque non fu mai negato il riconoscimento della loro abilità e del loro valore, se Appiano Alessandrino, a testimoniarne la verità, potè dire che ” gli eserciti Romani non avevano mai trionfato dei Marsi né senza i Marsi ” (9).

Inoltre Ennio non risparmiò le sue lodi per i Marsi unicamente ai Peligni ed al Marrucini; Cicerone giudicò caratteristica e naturale la costanza ” fortissimo viro Marsorum et Pelignorum “; Virgilio, nel ritenere l’Italia madre dei popoli valorosi in guerra e resistenti alla fatica, a tutti antepose i Marsi; Orazio scrisse che il guerriero dace era preso da terrore alla vista delle Coorti Marse; Vegliato dichiarò che il valore marso non venne mai meno, né fu mai sterile la terra marsa. Delle loro gesta, compiute anteriormente alla fondazione di Roma, rimane soltanto il mirabile passo del Libro VII dell’Eneide, non essendo pervenuti fino a noi gli scritti degli autori latini del periodo delle guerre comiche, i quali scritti contenevano la trattazione non solo delle antichità di Roma, ma anche dei popoli italici.

Allorquando Enea approdò alle rive del Tevere, Turno, re dei Rutuli, gli mosse guerra, per vendicare l’onta subita ad opera del troiano, che gli aveva tolta la fidanzata Lavinia, e chiese aiuto ai popoli italici, i quali generosamente accolsero il suo appello. 1 Marsi inviarono un esercito al comando del ” fortissimo Umbrone ” sacerdote e concessero. Ecco il mirabile passo di Virgilio nella bellissima traduzione del P. B. Silorata (10):
Giunse anco, e sopra l’elmo aveva di frondi serto di fausto olivo, un sacerdote della gente marrubia, che dal rese Archippo era mandato, il pro nell’armi e fortissimo Imprese; ci con incanto e col tatto assonnar vipere ed apre spiranti micidial fiato solea; e l’ira lor placando, alleggeriva i marsi fieri con la magic’arte. Ma non il colpo di dardania spada ci’ medicar potè; non giovamento i . mormorati carmi alla ferita diero, né l’erba sopra i marsi monti cercata. Ahi! te d’Angizia la foresta, de il Fucino dall’onda cristallina compianse, e te le limpide lagune.

Virgilio aggiunge che i marsi ” sette animosi figli di Forco ” mostrarono valore eroico assieme agli altri della loro gente e ci tramanda i nomi di tre di essi, Numitore, Meone e Alcanore, i quali caddero in combattimento proprio per mano di Enea. Secondo il Terra (11), sin dai primi tempi dell’occupazione del territorio circostante al Fucino, la popolazione dei Marsi doveva risultare numerosa e non pochi dovevano essere i vichi ed i paghi, che sorgevano sparsi qua e E, perchè Marsi prìmitivi conservavano gli usi, i costumi, e le tradizioni della loro stirpe originaria, quella dei Sabelli, che usavano, come è noto, vivere “vicatim” giusta l’espressione liviana, cioè in villaggi. Se ne può trovare conferma in Dionigi d’Alicarnasso (12), retore e storico, vissuto nel secolo di Augusto tra il 60 ed il 7 a. C., il quale sostiene che, alla sua epoca, a causa di distruzioni per guerre e per ogni altra sventurata vicenda, erano rimasti pochi paesi abitati da aborigeni. Anche Plinio (13), che visse nel primo secolo dell’impero romano, induce a ritenere che i Marsi erano numerosi, e mentre li definiva ” gens italica inter fortissimas Italiae gentes “, abitanti la quarta regione, li distingueva in Anxantini, Antinati, Fucenses, Lucenses, Marruvii, Albenses, distinzione che rispondeva alle principali loro città, quali Anxantium, Antinum, Lucus, Marruvium, Alba, oltre, ad Archippe, Angizia, Auricola, Fresilia, Milonia, Cerfennia, Opi, tutte sorte, scomparse o decadute in epoche imprecisate e diverse.

Il Febonio segue il Cluverio nel comprendere in un solo vocabolo quelli che Plinio chiama Fucensi e Lucensi, traendo quest’ultima denominazione dalla città di Luco, e mostra di essere del parere che, con entrambi i nomi, era stato indicato un unico popolo, data la sua vicinanza al lago Fucino; dice testualmente: “Quos Plinius Fucenses Lucensesque appellat, hos uno vocabulo Cluverius complectitur, et a Luco oppido denominationem sumpsisse, unumque populum sub utraque appellatione denunciatum fuisse censet” (14).
Or dunque non v’è alcun dubbio che dalle città, dai vichi e dal paghi antichi, di cui si è parlato, derivarono tutti quel casali e villaggi, e, in ciascuno dei quali sorsero successivamente chiese e parrocchie, i cui nomi risultano elencati nella famosa bolla di Clemente 111; ed infine tutti i paesi della Marsica odierna fanno risalire, con entusiastica fede, la loro origine a quei casali ed a quel villaggi, che, sorretti nell’amore verso la propria terra dal conforto della nuova religione, segnarono come un periodo di transizione da un’era ad un’altra, periodo che venne contraddistinto dalla sofferenza di invasioni e di dominazioni barbariche.

Giovanni Pagani

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