Agli avvenimenti turbinosi narrati segui un periodo di tranquillità in vero molto breve, ma che poté permettere a Virginio di provvedere ad opere di pace nel territorio delle due contee: in Avezzano, per quanto i cittadini avessero dato prova di insofferenza della sua signoria, l’Orsini contribui alla costruzione del convento annesso alla chiesa di S. Francesco, che fece anche ampliare, come è stato già ricordato. Ma la sua esperíenza nell’arte militare e la natura bellicosa di famiglia, che lo spingeva di frequente in contese cruente ed accaníte, lo portò principalmente a rivolgere le sue cure alle fortificazioni non Più efficienti per vetustà e non più rispondenti alle esigenze della guerra moderna, nella quale era stato introdotto l’uso delle armi da fuoco e quindi delle artiglierie.
Sorsero cosi il castello di Avezzano e quello di Scurcola Marsícana, che presentavano le medesime linee architettoniche, sebbene le proporzioni del primo fossero notevolmente maggìori. Sin dal 1181, fuori delle mura di cinta ed a sud-ovest della città di Avezzano era stata costruita una rocca da Gentile de Palearia, signore del contado di Avezzano, al quale successe la famiglia Corsi di Toscana, come è stato accennato in precedenza. Durante il dominio delle due suddette famiglie, antiche e potenti, e di quante altre poterono seguire nel contado, sembra che la rocca non subisse modifiche fondamentali. L’atteggiamento dei due orsi potrebbe significare atto di omaggio degli Orsini ai Colonna, nuovi signori della contea, per l’avvenuto riavvicinamento delle due potenti famiglie romane, che si erano ormai imparentate per il matrimonio di Marcantonio Colonna con Felice Orsini.
In seguito al lavori di restauro, operati dal Genio Civile di Avezzano e diretti dall’Ing. Lello Orlandi, nell’anno 1962, fu scoperta la porta ad ogiva, di cui si è fatto sopra cenno, e che sorge vicinissima all’altro portale sulla sinistra di chi guarda. Detta porta ha forma sobria e robusta, e di speciale presenta incastri ingegnosi alla sommità dell’arco, di rado rinvenibili in esemplari del genere. E’ stata affacciata l’ipotesi che la possente porta ad ogiva forse apparteneva inizialmente alla torre centrale, rinvenuta recentemente durante i suddetti lavori, di forma quadrata alla base, che divenne poi il mastio della fortezza costruita da Virginio Orsini, il quale l’avrebbe rimossa dal luogo d’origine e se ne sarebbe servito per l’ingresso principale della fortezza stessa. Tale ipotesi non può sorreggersi, anzi si deve ritenere per certo che la porta fu fatta eseguire dallo stesso Orsini, perché sono tutt’altro che rare le aperture ogivali di fortezze in pieno Quattrocento, mentre, all’epoca della costruzione della rocca (anno 1181) da parte del conte Gentile de Palearia, l’arte gotica, di cui l’ogiva è una delle più singolari espressioni, non era ancora apparsa in Italia: cronologicamente infatti l’arte gotica ha la sua origine e la sua trasformazione tra la seconda metà del secolo XII e la prima metà del XVI, ed il suo massimo splendore si ebbe nel secolo XIV.
Alla iscrizione aspra ed irriverente di Virginio Orsini Marcantonio Colonna contrappose una, che parla dei Colonna bene accetti al popolo avezzanese. Altra iscrizione, posta sul portale del giardino, che guardava il lago, si riferisce a Marcantonio desideroso di pace dopo la vittoria. La lastra di pietra recante quest’ultima iscrizione è completamente scomparsa, e quella relativa alla precedente è mutila per la metà ed è collocata sul portale degli orsi; tali perdite sono dovute al terremoto ed ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma per fortuna il Febonio, come fece Tommaso Brogi, che lo segui, riportò integralmente le iscrizioni del castello nelle pagine 147 e 148 della sua opera, donde sono state riprese e trascritte in nota in questo libro.
Per merito di Marcantonio il castello, nell’interno, fu decorato ed abbellito regalmente: le ampie e magnifiche sale ebbero il soffitto e le pareti adorne di affreschi, alcuni dei quali raffiguravano il suo trionfo a Roma, altri ricordavano le gesta di Carlo V, e tali dipinti non erano privi di valore artistico.
Nella battaglia (11 Lepanto, essendo caduti nelle mani del principe trionfatore fra i prigionieri turchi due nipoti del gran sultano, egli li fece ritrarre sulle pareti della sala maggiore con le seguenti indicazioni:
MAHAMET. FIL. 11. ALIBARYM. PRAER C. ETHUSSAIM. SCIA. TURCARUM. MARIS. Tutte le opere di trasformazione del castello in solituoso palazzo baronale con artistiche decorazioni e con tutti i conforti all’epoca richiesti dalle famiglie di alto rango, stanno ad indicare il desiderio di Marcantonio di costruirsi una residenza adatta a soggiorno tranquillo, come chiaramente dimostrano le parole di chiusura dell’iscrizione sulla porta del giardino. Anche le due strade, che dal castello conducevano l’una verso Cesolino, l’attuale via Roma, e l’altra, detta di San Nicola, furono ampliate e rese diritte per sua iniziativa, e ne fece costruire una terza, assai comoda, fiancheggiata da alberi, che partiva dal portale sud del castello e giungeva fino al lago; essa corrisponde a via Fucino, la quale, attraversata piazza Cavour, si inoltra verso l’ex lago, prendendo il nome di via Nuova.
Il castello di Avezzano era una fortezza vera e propria, pur mostrando un’architettura dalle linee sobriamente eleganti, come tante altre del periodo rinascimentale; i suoi muri erano di notevole spessore, ad opera incerta, capaci di resistere agli attacchi delle artiglierie, ed il terremoto del 1915 ne ha potuto collaudare la potenza, essendo cadute le parti superiori e principalmente le sovrastrutture di epoca posteriore: ì bombardamenti poi della seconda guerra mondiale, anche se lo hanno danneggiato ancora in vari punti, hanno rivelato che la consistenza della costruzione era sufficientemente adeguata alle esigenze di quei tempi. La sua forma quadrangolare con i torrioni cilindrici in ciascun angolo e con il mastio rotondo nella parte superiore visibile, che sorgeva verso il lato sud-ovest, conservati intatti nell’opera di trasformazione posteriore, la sua ricchezza di dettagli architettonici, le sue decorazioni artistiche interne, erano tutti segni eloquenti, perché l’edificio potesse assumere, attraverso i secoli, il significato di un simbolo rappresentativo della nostra gloriosa città.
Nel disegno bellissimo, eseguito dall’illustre pittore conterraneo Filippo Palizzi, il castello appare in tutta la sua maestosa imponenza, quasi a celebrare l’antico anelito alla libertà, al lavoro ed alla pace, che i fedeli Avezzanesi si attendevano dai Colonna. In epoca moderna però, l’interno del castello venne assoggettato a riattamenti utilitari, che fecero sparire la loggia, imbiancare tutti gli affreschi, tramezzare le sale; in altri termim l’antica sede baronale fu ridotta ad abitazione, a scuole ed infine ad uffici giudiziari, quale sede del Tribunale e della Pretura. L’edificio passò dal Colonna, per linea femminile, ai duchi Grazioli-Lante della Rovere, dai quali nell’anno 1907 fu venduto a Spina Francesco, avezzanese, che vi stava lavorando per rendere la costruzione ancora più adatta ad ogni esigenza utilitaria, senza trascurare qualche tentativo di opera di restauro di parti possibili ad essere rimesse in pristino nel piano superiore. Ma col terremoto del 1915, il grandioso fabbricato andò disrutto in tutte le soprastrutture, fattevi eseguire da Marcantonio Colonna, e nei merli degli Orsini.
Deceduto lo Spina nel terremoto, senza credi diretti, tutta la proprietà fu divisa tra ventiquattro eredi della linea ascendente del padre e della madre Cerri. Per la legge del 1919 sul terremoto, i ruderi ed i residui del castello non sgombrati nel termine prefisso, passarono al Comune di Avezzano. Il terreno adiacente, poiché gli eredi da diverso tempo non ne avevano pagato le imposte, fu venduto all’asta pubblica nell’anno 1929, e venne acquistato da tal Fracassi Luigi di Paterno, dal quale per retrocessione andò al Comune nello stesso anno. Per i benefici della legge del 1939 sulla manutenzione dei monumenti, nel 1963 ebbero inizio i lavori di restauro e l’ecomiabile idea fu realizzata in seguito allo sgombero, eseguito nel 1958 con un cantiere di lavoro, che riportò alla luce materiale vario e notevole, non rimosso dal terremoto del 1915. In questo primo stadio furono stanziati circa otto milioni di lire, ed entro i limiti di tali fondi fu possibile ricollocare in opera quasi tutte le pietre rinvenute a fior di terra nelle zone adiacenti al castello, senza procedere a scavi veri e propri.
Come criterio di base è stata adottata, la conservazione delle strutture, ponendo in debito risalto le linee architettoniche di rilievo. Le operazioni di restauro, eseguite fino ad oggi, sono state condotte sul muri perimetrali e sulle torri d’angolo, raggiungendo la quota del coronamento di ronda; un buon numero di canditoie laterali e poche sulla torre nord-est sono state ricollocate nel loro posto originario, sormontate da apposite cornici; sono stati restaurati anche otto finestre ed i portali della facciata principale. Durante la prima fase dei lavori di restauro vennero scoperti la porta del ponte levatoio, un fianco della torre della rocca primitiva medioevale, il pozzo del cortile e l’imbocco del cunicolo, che portava al convento dei Francescani.
Il Genio Civile di Avezzano ritiene che i lavori iniziati e condotti con intelligente criterio dall’Ing. Lelio Orlandi, avezzanese, debbano proseguire, perché sia completata la manutenzione delle strutture esistenti con il collocamento in opera di tutti i materìali ancora reperibili, e giungere in tal modo al coronamento del torrione ovest, al restauro della torre primitiva, e rendere accessibile lo spazio interno, i cunicoli, i pozzi, ed ultimare infine il muro sud-est. Poi, completati i lavori suddetti, sarà necessario pervenire alla definitiva sistemazione ed utilizzazione dello stabile restaurato: tra tutte le soluzioni possibili, considerata principalmente l’assoluta mancanza di elementi architettonici interni, la più accettabile sarebbe una nuova costruzione in armonia con quell’antica nei volumi e nel materiali, avente carattere e possibilità funzionali, onde poter accogliere una biblioteca o un museo; e questa senza dubbio sarebbe la destinazione più degna.
Giovanni Pagani
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