Comune di Morino

I piatti migliori della cucina tradizionale italiana derivano sicuramente dalla fame, dalla necessita di usare il meno possibile degli ingredienti e dall’utilizzo di alcuni prodotti base come farina e grano e più raramente le uova, olio e legumi. Le sagne venivano fatte senza uova. M. Vernile: “Le uova si dovevano vendere per comprare il sigaro a papa o per comprare il sale”, e in cucina le donne erano molto parsimoniose nell’uso degli ingredienti e si ingegnavano ad usare la maggior parte dei prodotti, E. Giovarruscio: “A Natale si ammazzava il maiale, tra dicembre e gennaio, con il maiale ci si faceva tutto, come si aggiusta adesso. Non si buttava niente, solo le ossa… anche il sangue veniva usato.
Noi lo chiamavamo sanguinato, si condiva, si metteva uova tutta a dovere e poi l’insaccavano dentro le budella, facevano tutte ciambelle e si cuocevano”. La polenta, gli gnocchi, la pasta e fagioli, le fettuccine e le lasagne sono tutti piatti della cucina italiana che fanno parte del patrimonio culturale del nostro paese, e tutti questi prodotti alimentari vanno salvaguardati alla stregua dei monumenti o dei paesaggi. A. Tenerini: “Si mangiava come adesso, ma si mangiava meglio e faceva bene”. Certamente si mangiava meglio perchè di certo i prodotti della terra non erano prodotti biogenetici e i gli alimenti che venivano portati sulla tavola erano ciò che i campi offrivano in quel momento, erano i frutti della stagione.

Certamente non si può mettere in dubbio che la globalizzazione dei mercati del pianeta porta anche l’immiserimento delle culture culinarie tradizionali e locali. Certamente l’alimentazione dei nostri antenati era povera di certi elementi nutritivi, ma era comunque più naturale. M.Vernile: “Noi abbiamo avuto il terremoto e subito dopo mio padre e partito per la guerra e siamo rimasti senza magna’ e quando ci alzavamo la mattina ci mangiavamo la pizza fatta sotto il coppo con la farina della polenta senza niente, se c’era il latte si sbriciolava dentro”. A partire dal momento in cui il timore della carestia e sparito, l’uomo contemporaneo ha provveduto al suo nutrimento in maniera spesso irrazionale. La nostra certamente e un epoca in cui si spende più per dimagrire che per mangiare

. I morinesi di un tempo mangiavano un pappone che si chiamava cacchietta. M. Vernile: “La cacchietta era un pane fatto di farina di polenta e farina bianca che si sbriciolava con fagioli, pomodori, qualche cosetta cosi, un po’ di verdura, poi si faceva sto pappone e si mangiava tutto”. Di certo il cibo che si aveva a disposizione un tempo non era cosi abbondante come ai nostri giorni, L. Manni: “Dopo la guerra mi so’ fatto ventinove mesi, quando so’ ritornato quanti viaggi so’ fatti a Avezzano a piedi da qua a Avezzano, anda’ non era niente perchè portavi un po’ de pizza attaccata alla spalla in un fazzolitto, poi a ritorna’ era no guaio perchè la pizza te l’eri mangiata mentre andavi. Qualche lira la portavi sempre in tasca pero se ci avevi le polline, la tessera un po’ de pane te lo davano sempre”. La maggior parte della popolazione viveva di agricoltura e di allevamento e quindi anche la carne rientrava nella dieta locale.
Don Vincenzo: “Qui erano soprattutto pastori e si mangiava carne: agnelli, polli, pecore e vaccina”. Ne tantomeno la preparazione dei cibi per la mensa era improvvisata. La cucina era il luogo della donna. Maria Taraddei racconta che un tempo le donne belle del paese gareggiavano “a chi faceva le fettuccine più dritte”, e questa pasta fatta in casa veniva poi esposta in piazza.

Testi a cura di Serena Di Fabio

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