Come accennato nella pagina introduttiva, (1) la Vita antica trasmette alcuni prodigi di S. Pietro, ricalcati su ‘ cliches ‘ leggendari o simbolici, che danno in genere ai Santi un’immagine non vera, spesso stereotipata, esemplificata cioè su un prototipo eroe della fede, capace di imprese estranee alla stessa realtà e alla coscienza urbana; altrove sono espressivi d’un simbolismo fascinoso, proprio della cultura medievale e adatto alle classi popolari dell’età di mezzo, che nella figurazione, nel simbolo, nei termini piani e accessibili colgono con maggior aderenza i valori mistici, che vi si contengono. Accenniamo in particolare a tre prodigi, legati alla storia di S. Pietro Eremita, che sono: a) la manna dell’arca sepolcrale; b) il fenomeno dei lupi; c) la colomba apparsa in occasione della canonizzazione del Santo.

La manna del sepolcro
Si legge come dall’arca lapidea, che custodì il corpo di S. Pietro Eremita, sia emanata ininterrottamente (indesinenter) una specie di odoroso liquido, detto manna, (2) dante sollievo agl’infermi. Cosi molti malati se,ne unsero, riportando freschezza e serenità. Un motivo in più dunque per benedire Dio nel suo Santo e per tornare a casa, recando nel cuore il soffio d’una giovinezza nuova (ad proprias repedaeerunt cum tripudio aedes). Il Pierantoni (dotto del suo tempo baroccheggiante) analizza il prodigio facendosene ancora assertore; aggiunge anzi che il fenomeno si sia perpetuato per secoli, cessando solo dietro irriverenza d’uno dei feudatari del luogo (Conti o Caetani), il quale vi accosto un cane, colto da rogna, nella speranza di riaverlo guarito. (3)

Il lettore comprende da se che il racconto del fenomeno sfugge alla realtà e rientra nel quadro del meraviglioso, caratteristico dell’agiografia medievale; che, inoltre, di esso e da prendere non la lettera, ma il senso, cioè il suo valore apologetico, che consiste nel confortare la fede dei credenti attraverso la straordinarietà del miracolo.

I lupi
Nel paragrafo XXIV l’apografo propone in forma plastica e drammatica la simbologia del lupo, una delle più nutrite della tipologia descrittiva medievale (si ricordi S. Francesco e il lupo di Gubbio, il beato Torello e i lupi di Poppi in Toscana, (4) la festa del lupo, che si celebra in varie località abruzzesi come Pretoro (5) e Cocullo, la lotta fatta dai cani bianconeri (i domenicani) ai lupi (gli eretici) (6) e lo fa a memoria della condanna lanciata da S. Pietro contro i lupi o i mali della sua età analoghi a quelli del nostro tempo, come l’eresia, l’arroganza paesana, la cupidigia nel guadagno immediato, la trascuratezza del giorno festivo e dei valori eterni, i pretestuosi sistemi feudali, imposti da clero e laici alla rassegnazione degli umili.

In sostanza l’apparizione del Santo all’uomo dormiente in campagna (7) sotto la minaccia dei lupi, la coreografia che l’accompagna e la sequenza che corrobora il dialogo hanno una loro specifica significazione: 1) confermare S. Pietro patrono e padrone delle sorti spirituali di Trevi, dominatore indiscusso delle forze del male e degli elementi negativi, profeta geloso del ‘ cherigma ‘ trasmesso 2) convincere i trebani che senza collaborazione personale e collettiva ogni discorso promozionale e illusorio, perché la vita comunitaria e modellata dalla stretta connessione tra azioni individuali e comportamenti di gruppo 3) che e utopico il raggiungimento di un livello di civiltà in seno a un popolo, ove germi di violenza e distruzione si seminano dai settori più inaspettati, anche dal clero, offrendo l’immagine di una comunità divisa e smembrata, svilita nelle proprie forze, in balia del disordine e della
superficialità, incapace di dare speranza ai suoi componenti. Il testo e estremamente indicativo. Trevi vive nelle spire d’un ingranaggio medievale sempre più decadente. Miseria nelle case, stracci di sole nei rapporti umani ed economici, terrore dei lupi, che mangiano anche i bambini (luporum pueros devorantium erat maximus), ad ogni angolo l’angoscia d’un incontro indesiderato, l’eco remota del selvaggio ansimare del lupo.

Una notte (quadam nocte) un uomo:di Trevi dorme indifeso in aperta campagna a custodia forse del suo grano o del gregge, che pasce. Ha nella pelle il tepore della lana che l’avvolge, nelle membra la fatica inesausta del giorno. L’ultima giacolatoria gli s’e estinta sulle labbra in languido mormorio: ” libera nos a malo “. L’aria e muta e nella notte color zafferano danza vento caldo del sud, ma il cuore tutto solo dell’uomo spia buie fantasie alla luce ‘d’una luna digrignante; gli occhi giocano tra orbite vuote. Nel mistero sopito ‘deI viso non e difficile individuare l’angoscia segreta per il timore dei lupi, che voraci e bestiali infestano il territorio sbranando animali e bambini. 1femorie antiche (8) ripetono ricordi di sangue orrendamente sparso anche tra i sassi ‘bruciati del focolare.

Scoprendolo in pericolo, S. Pietro, che veglia a difesa del suo gregge, (9) nel bel mezzo della notte gli compare nel sogno, tenendo in una mano lupi incatenati, nell’altra un vaso di vetro pieno di miracoloso liquido. Rompendo il silenzio, che incastra l’animo, prende a parlare: ” Che fai, incauto? Dormi qui solo senza timore dei lupi’? “. ” Tu mi convinci ” ansima sospirando l’uomo ” ma sono stanco e disfatto; poi riposo nelle mani di Dio e della sua Madre santissima. Sono essi la mia speranza “. ” Giusto! ” conferma il Santo ” ma svegliati e ascolta: va’ in paese e racconta quanto ti dico. Il furore dei lupi cesserà, allorché il popolo tornerà al rispetto del giorno del Signore “. Detto questo, lo invita ad osservare il prodigio, poi, scosso con la mano il vaso di vetro, ne rovescia il liquido su una pietra, che immantinente rimane liquefatta. ” Cosi ” soggiunge ” sarà disfatta la rabbia ‘dei lupi, se i trebani torneranno a rispettare il giorno del Signore “. L’uomo si sveglia, si porta in paese e recita il messaggio; lo conferma anche con giuramento e il popolo crede, riscopre la bellezza della festa, riprende a onorarla. (10)

Pentimenti e solenni promesse sciolgono come fuoco le scorie dei rimorsi. Privi di peso, gli animi volano felici col,pensiero a tempi meno tristi, senza rancori, senza lotte intestine, senza lupi. (11) I lupi, osserva lo storico antico, vengono trovati tutti morti nei dintorni (lupi vero mortui per diversoria fiunt re perti). Peccato che la sorpresa o soddisfazione de1l’agiografo, anche del Pierantoni, (12) sia stata solo un colpo d’ala, oggi soltanto un ricordo; in Trevi, infatti, per molti l’arroganza e tornata ad essere virtù, l’odio e l’invidia una bandiera, il riposo festivo una pazzia, la liturgia un perditempo. Intanto la spiga della promozione umana e civile sgrana illusioni di una vita, che miseramente muore.

Evidentemente S. Pietro lego i lupi, ma non riuscì ad ammansirli. Senza entrare al momento in merito alle cause, che l’hanno determinata, e indicativa in proposito la recente comparsa di alcune scritte sui muri della chiesa parrocchiale, che, reagendo al contegno della ‘ sagrestia ‘, titolavano beffardamente: ” Bon Sandro, fai il prete: bacarozzo! “, ” Prete, sei un verme; pagherai tutto. Paolo tornerà e regnerà”. Le scritte sono espressione di una dolente situazione locale, che, esclusa la parentesi del felice periodo di ministero pastorale di don Gianni Curcio, ha ricondotto la comunità a rapporti di odio e di rancore propri del periodo della guerra del prete (1944) e attribuibili a modi e comportamenti pastorali ne idonei ne cristiani.

Il simbolismo della colomba
La colomba e altro buon soggetto della tradizione simbolica. Il mondo romano la ritenne sacra a Venere e Virgilio (13) la indico messaggera della dea; tuttora il senso comune nelle arti figurative e nella letteratura legge in essa il concetto di innocenza o di purezza, di semplicità o di pace, anche quello di anima e di Spirito Santo.

L’autore della Vita antica e con lui la religiosità popolare trebana individuano nella colomba un angelo del Signore e ne adottano la simbologia a conferma della santità e del potere taumaturgico del patrono S. Pietro Eremita. (14) In sintesi il discorso dell’apografo. Siamo al 1 ottobre dell’anno 1215 e in S. Maria di Trevi, Giovanni, vescovo di Anagni, con altri ipresuli della Campagna e numeroso clero celebra la solenne liturgia della canonizzazione del Santo. Il tempio e gremito di folla e preghiera e canti spaziano nel vano splendido di ori e di luci della navata. Sull’altare tra i doni per il sacrificio un cestello pieno di candide colombe. Al momento del rito offertoriale, il cerimoniere – come d’uso nelle messe pontificali (15) – taglia il filo che le trattiene ed esse, vestendo ore di liberta, volano in aria come in riva calma d’angeli. Lo spettacolo per l’occhio e per l’anima e bellezza e musica con riflessi e sogni d’altro mondo.

Una colomba per caso diverge dalle altre e, ritrovandosi sola, quasi vinta da una stanchezza smarrita, volge con volo trepido nello spazio vuoto che circonda l’urna del Santo, andando a posarsi su di essa e soffermandovisi in placida attesa. Poi, adocchiato l’illuminato vano d’una finestra, dando agli astanti un addio senza nome, vi si lancia rapida, recuperando liberta e carezze di sole nel cielo d’autunno asettico e sereno (per fenestras ad ethera transvolavit). La scena e delle più naturali, ma con felice trasparenza nella convinzione dei presenti si fa strada l’idea che la colomba sia stata un angelo del Signore (misit Deus Angelum suum specie columbae), mandato da Dio a confermare davanti agli occhi di tutti la santita e il prestigio del patrono di Trevi. (16) Il simbolismo e mirabile, anche piacevole.

Da allora l’ottica di ogni programma camunitario registra in Trevi una nuova bisettrice interna, indicata dalla fede in S. Pietro Eremita e dalla realtà della sua presenza nella Rimensione storico-religiosa cittadina. Anche lo stemma civico acquista novella strutturazione nel simbolismo dei cinque monti sormontati da colomba con il motto: HOC TUTA PATRONO, in atto ancora oggi.

Testi tratti da Pietro Eremita L’uomo della speranza da Rocca di Botte a Trevi

Testi a cura del Prof. Dante Zinanni