Come si e visto, le scene del Cantico si svolgono nel parco di una residenza di campagna del re Salomone alle falde del Libano. La residenza e circondata di griglie, attraverso cui e facile spiare e poter parlare. La Sulamite e prigioniera ed e associata alle figlie di Gerusalemme. Il Cantico di Mea si svolge in un paesino – S. Vincenzo Valle Roveto – alle falde di catene montuose. “Roveto” ci parla di rovi; le montagne dalle cime immacolate ci parlano di purezza. “Mea” e un autentico giglio fra le spine. Per chi si reca da Sora ad Avezzano, la catena montuosa si presenta sempre più suggestiva.
Quadri a quadri, visioni a visioni si succedono in un crescendo meraviglioso. Soprattutto quando il cielo e terso, il profilo delle montagne si staglia nel cielo azzurro in modo impressionante, e lo sguardo abbraccia in una unica visione la neve, l’acqua, i boschi, i prati, … in una gamma di colori che varia a seconda della stagione: se e primavera, si va dal candore delle nevi eterne al verde intenso dei boschi, al grigio perla della pietra, al verde chiaro dei prati, in cui spiccano i colori diversi degli umili fiori di campo; se e autunno, i colori si fanno più vari ancora: ecco li chiazze di marrone dalle diverse sfumature, chiazze di giallo dorato, di verde cupo, di rosso fiammante…
Lo Joergensen, che passò da queste parti, ne rimase soggiogato e ne descrisse le bellezze in un volume, tradotto anche in italiano (“Nella terra di sorella Morte”, Firenze, Vallecchi, 1931). Mea e prigioniera nel senso che, pur essendo una creatura di cielo, si trova a trascorrere la sua breve esistenza in una valle di stenti e di lacrime – “in hac lacrymarum valle” – unitamente a… figlie di Gerusalemme, in mezzo cioè a gente che pensa poco o nulla alla propria dignità regale di figli di Dio, in mezzo a gente comune che vive il tran-tran della vita quotidiana tra mille preoccupazioni e sciocchezze, troppo spesso dimentica delle grandi realtà eterne. Come la Sulamite poteva vedere in lontananza i monti, cosi dal piccolo paese era facile per Mea spingere lo sguardo verso le altezze dei monti vicini, in uno scenario di suggestiva e ammaliante bellezza. La vita di Mea si struggerà in un desiderio appassionato dello Sposo Celeste, il quale verrà di tanto in tanto a visitarla – Mea… ne percepirà i passi quando Egli si avvicinerà – ma poi, dopo averle dato una ulteriore prova d’amore, la lascerà languire su questa terra per purificarla sempre più , per renderla sempre più accetta al Suo Cuore Divino, e per farla finalmente la Sua Sposa per l’eternità.
Durante le assenze o subito dopo l’allontanamento del Diletto, Mea rivelerà a coloro che le si avvicinavano, a volte – troppe volte! – per curiosità (quindi, autentiche “figlie di Gerusalemme”!) le sue visioni, le sue aspirazioni ardenti, proprio come la Sulamite che narrava i suoi sogni e l’amore ardente che portava all’amato Diletto del suo cuore. Ma torniamo a S. Vincenzo V.R. Lo chiamano “S. Vincenzo Nuovo” per distinguerlo da “S. Vincenzo Vecchio”. “Nuovo” perché rifatto da capo dopo il terremoto che distrusse la Marsica nel 1915. Pur trovandosi nella zona della Marsica e in provincia de l’Aquila, il paese fa parte della diocesi di Sora.
Ma come fu rifatto il paese? Non certo con palazzi o villette, ma con umili, piccoli appartamenti cui converrebbe più il nome di baracche quasi tutti a un sol piano e quindi più o meno a livello della strada. La gente di S. Vincenzo e umile e povera; anche qui l’emigrazione e forte. I pochi abitanti o si danno al lavoro dei campi, che, trovandosi in zona montana, sono tanto avari, o si industriano a costruire panierini e cestelli con vimini. La gente e rassegnata alla sua vita di stenti ed e abbastanza religiosa. Si ricorda ancora con commozione che una vecchietta di 94 anni andava ogni giorno, anche nell’inverno più rigido, a pregare per i morti nel cimitero: diceva di essere accompagnata e sorretta da una Signora col manto celeste e con la veste azzurra.
Testi tratti dal libro Il cantico di Mea
Testi a cura di D. Gaetano Meaolo
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