Quel che il Santo Padre suole dire a operai, braccianti, pescatori, montanari, agricoltori nel corso dei suoi pellegrinaggi nei vari continenti viene di solito amplificato dai massmedia e portato più lontano dell’uditorio specifico cui le parole sono rivolte. Ma questa volta è diverso, perché la comunicazione su scala vastissima avviene in termini di simultaneità, quasi a sottolineare una delle caratteristiche peculiari del mezzo più tipico di comunicazione del nostro tempo: la televisione. Sarà la prima volta che un Papa potrà parlare nello stesso istante a lavoratori sparsi in ogni parte del mondo. Ad ascoltarlo ci sarà più gente di quanta ce ne fosse a Monterrey, in Messico, quando durante il suo primo pellegrinaggio internazionale egli pronunciò un indimenticabile discorso sulle esigenze di giustizia del mondo del lavoro.

Ci sarà più gente di quanta ce n’entra in Vaticano ogni qual volta il Santo Padre si rivolge a determinate categorie (ultimi, in ordine di tempo, i coltivatori diretti). Ci sarà più gente di quanta ce ne fu tre anni fa a Ginevra quando il Papa parlò alla Conferenza Internazionale dell’O.I.L. Ci sarà più gente di quanta ce n’è stata in ascolto tutte le volte che Giovanni Paolo II ha colto l’occasione del 19 marzo per sviluppare il suo magistero sul lavoro, e non sono state poche. Restano impresse nella memoria, tra le altre, la visita a Rosignano, Solvay, a commento della quale viene spontaneo citare quanto scrisse il Consiglio di Fabbrica: ” Le espressioni di Giovanni Paolo II non si prestano a frettolose considerazioni costituendo bensi materiale prezioso di riflessione per ognuno di noi “. ” Chi avrà la preminenza – si era chiesto il Papa interrogandosi sul progresso tecnologico nel discorso alle maestranze dell’industria chimica – Diventerà la macchina un prolungamento della mente e della mano creatrice dell’uomo, oppure questi soggiacerà ai meccanismi impellenti dell’organizzazione, riducendosi ad agire come un automa? “.

Singolarmente, a tre anni di distanza, nella stessa ricorrenza, il Papa sarà protagonista di una eloquente dimostrazione pratica di come le straordinarie conquiste della tecnica possano essere messe al servizio dell’uomo e dei suoi ideali, e non contro, quando potrà parlare attraverso un microfono come tanti altri a una sterminata folla sparsa nel mondo e collegata in presa diretta col Fucino. Viene poi alla mente l’incontro del 1983 con i lavoratori della Magneti Marelli e della Società Italiana Vetro presso Chieti. Come a Rosignano, il Papa si incontrò con il Consiglio di fabbrica. Si toccarono temi concreti. Fu uno scambio serrato di domande e risposte. Giovanni Paolo II si rallegrò dei progressi compiuti nell’umanizzazione del lavoro, ma ribadì la presenza di problemi e di tensioni preoccupanti. Si parlò di disoccupazione giovanile, di emigrazione, di diritti dei lavoratori da contrapporre alle conseguenze amare della cupidigia e dell’egoismo.

La realtà del lavoro

Vengono ancora alla mente gli insegnamenti del Papa sul lavoro nel corso dei suoi pellegrinaggi internazionali. Nell’ultimo, dedicato ad alcuni Paesi dell’America Latina, i discorsi ai lavoratori sono stati ancora una volta frequenti e ricchi di stimoli alla riflessione sulle dimensioni universali di certi fenomeni e di certi problemi. Viene poi alla mente il fatto che una delle tre Encicliche finora scritte da Giovanni Paolo II ha avuto non a caso per argomento la realtà del lavoro. La giornata del Papa in terra marsicana proseguirà con una visita al santuario di Pietraquaria, situato su un monte sovrastante la città di Avezzano, punto di riferimento della pietà mariana di tutta la Marsica e centro vivace di espressione della religiosità popolare che si esprime, tra l’altro, nel periodico pellegrinaggio mattutino di centinaia di giovani all’antico santuario: otto chilometri di strada a piedi, di cui quattro in salita, per il Rosario e la Messa prima di cominciare le attività della giornata.

Poi nella concretezza di una celebrazione eucaristica sul sagrato della Cattedrale la visita assumerà più specificamente il suo aspetto pastorale di incontro vivificante con le genti del Fucino e dei monti circostanti. Sarà il momento dell’incontro con le genti della Marsica, che nel tempo hanno tanto sofferto, che hanno oggi raggiunto una condizione esistenziale di relativa soddisfazione ma si scontrano quotidianamente con il rischio di una perdita di identità, di uno sradicamento culturale, di una sproporzione fra la rapidità delle trasformazioni economico-sociali e il ritmo della crescita culturale.

Sullo sfondo, nella storia, giganteggiano due eventi clamorosi: il terremoto del 13 gennaio 1915 e il prosciugamento del lago del Fucino. Il terremoto tutto distrusse e cancellò, comprese alcune memorie storiche che i cittadini custodivano gelosamente (basti pensare agli archivi pubblici e privati che andarono dispersi) e costrinse a una ricostruzione rapida e convulsa. Quanto delle attuali rievocazioni del passato – si domandano specialmente i giovani – è conservazione di un patrimonio che ha radici lontane e quanto è semplicemente un modo turistico e deculturato di fare folklore?

Alvaro Salvi