Già dai primi anni del nuovo secolo le cose cominciarono a volgere al meglio. Il 1700 si apriva alle speranze della gente che, duramente provata da epidemie e carestie, trovava conforto negli antichi valori rappresentati dalla solidarietà umana, dalla famiglia e dalla religione. Passata la carestia e placati i morsi della fame la vita riprese il corso normale. Si ripararono le case, si restaurarono le chiese e, come sempre quando non si presentano all’orizzonte problemi più gravi, si affrontarono quelle vertenze che fame e povertà avevano sopite. In breve, si tornò alla normalità.
E San Sebastiano, con il numero delle anime sceso a 308 ( meno della metà degli inizi del Seicento ), nella sua normalità, apre un contenzioso con i sacerdoti del Capitolo, colpevoli di non distribuire le candele nella festa della Purificazione nella stessa misura dei tempi antichi e di non celebrare messa prima dell’aurora come richiesto dai lavoratori dei campi e dai pastori. Pertanto i responsabili dell’Università della Terra di San Sebastiano, il 7 gennaio del 1712, avanzano con supplica una vibrata protesta al Vescovo de’ Marsi Monsignor Corradini.
La supplica dei “Massari” apre una lunga polemica fatta di accuse e controaccuse, di testimonianze e, ovviamente, di altre lettere al Vescovo, prima tra tutte quella inviata dall’Arciprete e dai sacerdoti accusati: “Vincenzo Berardini, al presente Arciprete e Precettore del Capitolo della Parrocchiale di S. Pangrazio della Terra di San Sebastiano e Canonici di essa Domenico Pasquali, Giovanni Di Berardino, e Giovanni Di Vincenzo, in bona dicemo come ad instanza dell’hodierne Massaro e Pro-massaro di detta Terra vengono citati, benchè non niunus sopra due capi avanti di Signoria Vostra Illustrissima: il primo che debbono nell’aurora celebrare la Santa Messa; il secondo che nel giorno della Purificazione della Beata Vergine Maria debbono distribuire al popolo le candele nella chiesa di San Sebastiano fuori di detta Terra e l’altra nella Parrocchiale di San Pangrazio sita e posta dentro di essa, anzi nel borgo di detta Terra”.
L’Arciprete nel tentativo di smontare le accuse dei due Massari sostiene che la popolazione di San Sebastiano, solitamente poco avvezza a frequentar la chiesa, in occasione della distribuzione delle candelette si presenta in massa, uomini, donne, vecchi e bambini, ognuno dei quali pretende il suo mazzetto di candele e, approfittando della confusione, c’è anche chi si rimette in fila facendo il “bis”. Per sminuire ulteriormente la figura dei parrocchiani l’Arciprete si avventura nel descrivere le non proprio preclare virtù dimostrate dai suoi parrocchiani verso il duro lavoro dei campi: “Gli uomini della Terra di San Sebastiano prosegue il sacerdote nella sua lettera di difesa non portano calli nelle mani, né confesso vi sono pecore né capre, ma bensì fanno le sabbatine, e nell’hora che loro mangiano, non si possono celebrare le Messe, e nemmeno la notte di Natale, che si deve dire. (…) ed il secondo fine di andare a fare le giornatelle hor linci hor quinci impregiudiziando le Panerelle”.
Ma la polemica non finisce qui. Sentiti Massaro e Pro-Massaro, ascoltata la difesa dell’Arciprete, il Vescovo ordina un supplemento di indagini al termine delle quali emette la sua salomonica sentenza che obbliga i sacerdoti a dire messa prima dell’aurora a partire dal primo di di maggio fino a tutta l’ottava dei Santi di novembre.
In merito alle candelette: “Io Vescovo dei Marsi Francesco Bernardino Corradini diciamo e decidiamo non convenire darsi le candelette de’ morti come contrario al rito di Santa Romana Chiesa ma obbligano distribuirsi nel detto giorno dal Reverendo Arciprete e Capitolo le Candele Benedette di cera bianca lavorata di quella qualità entro sessanta libra e cosi distribuite nel numero delle persone o famiglie di esse maggiori di tre anni in mazzetto con che pero all’incontro ciaschetuna famiglia secolare debba pagare la decima del grano bono al mese di agosto alla Parrocchia e essa all’Arciprete e Capitolo e cosi debba eseguire all’anno prossimo passato e in avvenire ogni anno nella forma sopra descritta. Rispetto alla distribuzione delle “Panicelle” diciamo doversi continuare come già dal Reverendo Capitolo si fa e cosi determiniamo e dichiariamo per pastorale amore ufficio per quiete comune di tutti che dovranno aderire a questa nostra provvisione senz’altro richiamo e contratto non buono per la salute delle Anime. Risiedendo a me la dichiarazione e insieme la cognizione d’altre emergenze dependenti dalle predette matterie. Francesco Berardino Corradini Vescovo de’ Marsi “.
La “guerra delle candele” si chiudeva cosi, senza vinti né vincitori, ma i rapporti tra i parroci e i focosi sansebastianesi rimasero sicuramente tesi. La chiesa con i beni che amministrava riusciva comunque a muovere la scarna economia del paese. Terreni e case da prendere in affitto, chi non aveva del suo, li poteva ottenere a buon prezzo soltanto dai sacerdoti del Capitolo. In un inventario di tutti i beni “mobili, stabili, semoventi, frutti, rendite e raggioni, stieno e pesi di qualsivoglia sorte della Parrocchia di San Pancrazio in San Sebastiano de’ Marsi “, datato 19 marzo 1728, vengono elencate numerose coppe di terra date in affitto ed un certo numero di case e fondachi affittati a prezzi decisamente contenuti:
“Un fondico loco detto la Porta, fa confine la strada e gli edifici, frutta Carlini due l’anno; un fondo sulla Piazza, confina l’hospidale, la strada e l’ Amichini, frutta quando s’affitta Carlini dodeci l’anno; una casa in loco detto la Cancellata, confina di sopra Baldassarro di Domenico e sotto Simone di Domenico, di due vani, frutta quando s’affitta Carlini dodeci; un’altra casa in loco detto la Vozzitella, confina con Don Giovanni Berardini, Sebastiano Conte e la strada, se affitta Carlini dodeci all’anno; un altra casa sotterranea loco detto la Piciara, confina con Giovanni di Maria e la strada, si affittata Carlini cinque l’anno”.
Tra i beni della Parrocchia di San Pancrazio, come risulta dallo stesso documento, figurano anche due mulini e una valchiera. E’ interessante notare come veniva affrontato l’approvvigionamento della farina per le “Panette” e da dove i sacerdoti raggranellavano i Ducati necessari per far fronte alla spesa della cera bianca per le Candele della Purificazione che avevano mosso la protesta del capo Massaro dell’Università di San Sebastiano: “Di più da’ molini di detta Terra di San Sebastiano li detti Canonici ne partecipano la terza parte della tritata di due mole, che conforme stanno presentemente affittate ne spettano a detti Canonici Salme sedici dalle quali se ne diducono salme due per l’Arciprete et altre Salme due che si dispensano nella festa di San Sebastiano in tante “Panicelle”; coppa una per il pane, che si manda per la limosina e coppe due per le Salme di modo che n’escano Salme 11 meno tre quarti per ciascheduno Canonico che sono tenuti a mantenere un molino e macina.
Dalla Valchiera di detta Terra ne partecipano li Canonici per due porzioni e l’altra la Camera Baronale per mancanza del Principe; la quale essendo già applicata, li Canonici ne partecipano Docati sedici a loro porzioni, delli quali ne sono obbligati dispensare Docati quattro di candele nella festa della Purificazione della Vergine; di modo che restano Carlini 30 per ciascuno con esser venuti a mantenere detta Valchiera la spesa per due porzioni. De due offici soprannominati a questi sono tenuti li Canonici di soddesfare ogni Anno per l’Anima di Simone Filippi”. Un’altra notizia interessante riguarda le campane che figurano tra i beni “mobili” della chiesa di San Pancrazio: “Una campana grande alta palmi quattro, di Lib. novecento, con iscrizione a rosso e le figure di Santa Barbara e della Beata Vergine, benedetta l’anno 1727 da Monsignor Pietro Antonio Corsignani Vescovo di Venosa. Un’altra campana alta due palmi e mezzo, di Lib. cento, istesse figure e iscrizione Reverendissima nell’istesso benedetta dal suddetto Vescovo. Due altre campane, una di Lib. centoquaranta e l’altra di Lib. 80 dell’istesso modo con iscrizione e figure e memoria di benedizione”.
In effetti anche il Corsignani nella sua “Reggia Marsicana”, ricorda la benedizione delle campane avvenuta in occasione di una sua visita a San Sebastiano per impartire la Santa Cresima a diversi giovani del luogo. Sempre secondo il Corsignani, nel 1727, nella Parrocchiale di San Pancrazio si conservavano le Sacre Reliquie della Colonna e Spina di Nostro Signore, del legno della Santissima Croce, delle ossa di San Giacomo, San Bartolomeo e San Sebastiano protettore di detta Terra; poi anche quelle di San Pancrazio, Santo Stefano; San Cesario, San Bonifazio, San Bernardo Abbate, Santa Lucia, Santa Margherita e Santa Reparata. Più tutta una serie di altre Reliquie che lo stesso Corsignani, avveduto uomo di chiesa, non esita a definire “per vetustà” non catalogabili. Pietro Antonio Corsignani resta particolarmente colpito dalla copiosità delle acque le quali “…recano sollievo ai paesani, servendo loro ad uso del mulino per macinare il frumento, e per la Valchiera, per il lavorio de’ mattoni e de’ vasi di terra cotta che formano a cagione dell’argilla rossa che quel territorio produce.
La gente poi è inclinata alla musica, industriosa e di buon ingegno”. Un secolo prima gli stessi apprezzamenti venivano da un altro importante storico, Muzio Febonio, che concludeva il paragrafo dedicato a San Sebastiano cosi: “…gli abitanti coltivano l’arte del suono della lira”. La campana grande benedetta dal Vescovo di Venosa ebbe vita breve, nel 1771 si incrinà e la comunità si vide costretta a chiamare il campanaro per fonderla e farne un’altra. La notizia della campana maggiore lesionata, figura nel documento che segue, inviato al Vescovo dall’Università di San Sebastiano per protestare contro la condotta del sacerdote Don Baldassarro Ubertini:
“Questa Università di San Sebastiano e per essa gl’odierni titolari, supplicando espongono a Vostra Signoria Illustrissima e Riverita, come da molti anni addietro essere soliti i cittadini donare ogn’anno a Sant’Antonio, Cappella eretta dalli supplicanti, certa quantità di legna col fine, dal ricavato di essa legna nella vendita si fosse potuto ornare detta Cappella, e fornirla di ogni suppellettile. Durà la devozione de’ cittadini, finchè scovrirono che il denaro ritratto da tal vendita era portato in mano dal sacerdote Don Baldassarro Ubertini il quale non ha curato ne cura di restituirlo, benchè altre volte li sia stato ordinato da Vostra Signoria Illustrissima. Si rinnova richiesta perchè la presente supplicante si trova nella dura circostanza di rifondere la campana grande della Chiesa Parrocchiale né puo soffrirne tutta la spesa. L’Università ha pregato di applicare a detta campana li Docati dodeci che tiene da tant’anni il sopraddetto Ubertini. Le genti dell’Università ricorrono pertanto ai piedi della Signoria Vostra Illustrissima e Reverendissima e umilmente la supplicano ordinare al detto sacerdote che senza dimora alcuna restituischi li Docati dodeci, acciocchè polsi soddisfare il campanaro il quale si ritrova in fine del lavoro di detta campana e nel tempo stesso rimettere in piedi l’elemosina solita che da tant’anni per il sopraddetto motivo è stata soppressa. Certi della grazia”. Seguono la firma e il sigillo a fuligine dell’Università di San Sebastiano.
Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )