PREFAZIONE
di Arnaldo Fabriani
Nella sua semplice e affettuosa rievocazione del terremoto, che il 13 Gennaio 1915 distrusse insieme a molti paesi della Marsica anche Civita d’Antino, il noto scrittore danese Joergensen (1) ha notazioni di questo genere: Questa è Civita d’Antino: questa era Civita d’Antino: Fuimus Troes; ” L’orologio della torre campanaria, fermato dalla scossa, segna ancora le 08.5, l’ora della morte di Civita d’Antino “; ” – Civita d’Antino è finita – esclamano. – Civita d’Antino non si rialzerà mai più! – ” (2)). Queste affermazioni, anche se ispirate da un’accorata simpatia verso Civita d’Antino, che prima del terremoto ospitava annualmente una piccola colonia di artisti danesi, hanno indubbiamente un carattere di rintocchi funebri, che non Lasciano adito ad alcuna speranza di risurrezione.
Tuttavia, anche nel libro del Joergensen, cosi desolato nelle sue constatazioni, mi par di sentire affiorare un trepido barlume di speranza là dove il poeta, sopraffacendo Q cronista, scrive: ” Un canto si eleva ad un tratto presso un fuoco: l’indomabile e bel canto italiano “… ” È la vita che riprende, instancabile, indefettibile e contenta per la sola ragione d’esser viva “. (3) ” La vita che riprende “, la vita, certo, che ha i suoi impreveduti ritorni e le sue provvidenziali e miracolose affermazioni contro tutte le potenze della distruzione e della morte. Civita d’Antino, infatti, non è morta come si poteva presagire nel Gennaio del 1915 e nella rievocazione del disastro fatta nel 1931; essa, dopo una lunga parentesi di decadenza e di mortificante immobilità, è risorta e ha ripreso a camminare con rinnovato vigore.
Ma, ahimé!, il cammino è lungo e difficile per un povero paesello montano dalle scarse risorse e che da sessanta anni assiste impotente all’esodo infrenabile dei suoi figli più svegli e attivi verso la pianura, le città, i paesi stranieri. Non essendo riuscita a migliorare la sua magra e stentata economia agricola-
pastorale e ad adeguarla, sia pure per lontana. approssimazione, alle moderne più elevate esigenze di vita, è venuta l’Associazione Pro-Loco ad aprirle uno spiraglio di speranza e di salvezza. Questa, infatti, promovendo una intelligente e appassionata attività turistica, che ha reso il paese più decoroso e accogliente, è riuscita in pochi anni a creare i presupposti di quella integrazione economica, che è assolutamente indispensabile per assicurare ai cittadini il minimo vitale e fermarne l’esodo verso più tranquille e sicure prospettive di lavoro e di pane. Ma l’attività turistica, per i mezzi che richiede, specie per chi muove i primi passi, e la facile concorrenza che incontra in un paese ricchissimo di attrattive naturali e artistiche come l’Italia, impegna a un continuo, intenso lavoro organizzativo e a un perfezionamento di attrezzature e di metodi sempre maggiore.
Per questa ragione la civitana Associazione Pro-Loco, in omaggio d’altronde alla migliore tradizione turistica italiana e straniera, non soR ha promosso in paese il miglioramento della ricettività, delle strade, dei giardini, dei sereni posti di ritrovo, ma ha cercato anche e cerca di offrire ai suoi villeggianti elevate suggestioni di carattere culturale. Non concezione dunque banale del divertimento, indissolubilmente associato al frastuono e al moto incomposto, ma visione integrale dei bisogni umani del corpo e dello spirito e creazione perciò di luoghi ben distinti e differenziati: per gli adoratori del rum,ore, di luci, di colori violenti e aggressivi da una parte, e luoghi per gli amatori del paesaggio, di attività silenziose e riposanti, di elevate manifestazioni di arte e di cultura dall’altra.
Cosi, mentre la stessa Associazione si preoccupa di rendere perfino la Chiesa parrocchiale più decorosa e attraente dotandola di pregevoli affreschi e di preziosi e artistici arredi sacri, offre altresì al turista esigente e di buon gusto conferenze e concerti di musica sinfonica nel suo ” Eremio “, o stupende visioni panoramiche ed esaltanti meditazioni storico-religioso-artistiche nel ” Rifugetto ” della RITORNATA. Rinascendo e lanciandosi verso l’avvenire, bisognava fare uno sforzo di caratterizzazione (da qui la pubblicazione di ” pieghevoli ” nel ’51 e nel ’59 tra i più decorosi d’Italia), trovare Legami col passato e riportarne alla luce le suggestive tracce di grandezza e di vita, fonte questa non trascurabile di attrazione culturale e di avvincente nell’efficace propaganda turistica. Siamo profondamente convinti che il risveglio di un popolo può scorrere nelle opere e nelle cose solo se prima esso si attua e si afferma nello spirito. Quando questo si assopisce e si affloscia, si hanno inevitabilmente periodi
di involuzione e di decadenza. E allora cose anche splendide ruinano e scompaiono talché non è poi difficile trovare, specie nel nostro Paese, resti di stupendi edifici, di confuose trabeazioni, di statue mirabili, tristemente confusi tra i più umili materiali da costruzione nelle strutture murarie di una chiesa, di una casa, di una stalla… Per questa ragione, l’Associazione Pro-Loco, che aveva promosso e fatto stampare a sue spese, nel 1956, il bel volumetto di Settimio Maciocia ” CIVITA D’ANTINO “, ha poi incaricato e con affettuosa insistenza spronato due valenti studiosi, Gaetano Squilla e Titta Zarra, a portare un po’ di luce sulla nostra storia medioevale avvolta nelle tenebre più fitte. Primo frutto di questo nostro interessamento e di…guell’implacabile assedio è la stampa di questo volume che presentiamo ai lettori, generosa e pregevole fatica di Mons. Squilla.
Però… scoprire il passato, un passato intessuto di molti secoLi, interrogare i dispersi e quasi insignificanti resti di costruzioni una volta sontuose e fiorenti, forzare i polverosi e mutili archivi, prime vittime di saccheggi e di tempi avversi, a rispondere alle nostre ansiose domande e al nostro appassionato desiderio di Luce e di verità, quale pesante fatica per gli studiosi e quale straordinaria impresa per questi nostri paesi dove le guerre, i terremoti. L’ignoranza e l’apatia han fatto a gara per distruggere le tracce di una storia millenaria non priva d’interesse e di nobiltà! Basti pensare che gli archivi di questi paesi sono muti almeno fino alla prima metà del ‘700. Le stesse disposizioni del Concilio di Trento, che facevano obbligo ai parroci di tenere sempre aggiornato un libro storico parrocchiale sul quale fossero annotate, con la cronologica successione dei parroci, le varie vicende delle chiese, la loro origine, le tradizioni religiose, la liturgia particolare, le opere contenute nel tempio, non sono state affatto osservate.
Cosicché anche gli archivi parrocchiali, che sarebbero potuti diventare fonti preziose d’informazione in questo confortante risveglio civile, sono terribilmente muti e solo ci offrono in generale i freddi e scheletrici dati delle nascite, dei battesimi e delle morti, e ciò in epoca relativamente assai recente. Nella parrocchia di S. Stefano in Civita d’Antino, per esempio, i registri più antichi sono quelli dei battesimi e delle morti, che rimontano rispettivamente al 1735 e al 1746, mentre quello dei matrimoni risale solo al 1793. Particolare merito va perciò riconosciuto a questi w.ostri cari e illustri amici i quali, aderendo generosamente all’accorato invito dell’Associazione Pro-Loco, hanno intrapreso un cammino oltremodo difficile e inesplorato e sono riusciti a fare un po’ di luce sul nostro passato iniziando nell’unica maniera razionale possibile – quella della seria e intelligente ricerca storica – L’opera faticosa della rivalutazione civile di questo nostro paese.
D’altra parte, proprio L’ottimo Mons. Squilla, autore della presente monografia, aveva avuto alcuni mesi fa… l’imprudenza di avvertirci che l’atto di nascita della nostra Chiesa parrocchiale, ricostruita recentemente sui disegni dell’antica distrutta dal terremoto del 1915, rimontava a circa due secoli fa, e precisamente al 1762, anche se con strumento notarile del notaio Gemmiti di Sora, redatto nel 1760, si era già pensato alla nuova Chiesa. Inconsapevolmente egli ci metteva di fronte alla grave responsabilità di… passare sotto silenzio una ricorrenza centenaria, nientemeno. Da buoni italiani, adusi da tempo immemorabile alla cippi, iscrizioni e resti di tombe e di terme mentre sui numerosi secoli deLL’età di mezzo e fin quasi al tardo Settecento incombe funereo e quasi impenetrabile silenzio. Uniche eccezioni, fatte conoscere anche queste per la prima volta da Mons. Squilla, le tristi e laconiche relazioni secentesche di Vescovi che, dopo la visita pastorale, imponevano, assai spesso inascoltati, riparazioni da eseguirsi ad edifici di culto con la minaccia di soppressione, – come si verificherà nel 1651 per il Convento dei Minori Conventuali e della Chiesa di S. Maria Maddalena, i cui beni furono poi aggregati al Seminario di Sora – di interdetti e di abbandoni, come avverrà nel 1783 del Santuario della Madonna della Ritornata.
Ma sei secoli prima di quest’ultimo abbandono, nel 1783, le cose andavano ben diversamente se Papa Lucio III poteva indirizzare una sua bolla all’Abate Gregorio, parroco di S. Stefano, elencando i possedimenti, i diritti, i privilegi del la fiorente Chiesa parrocchiale. E se ai parroci di oggi non può non suscitare un’accorata nostalgia la perentoria e solenne proibizione di Lucio III perché la chiesa di S. Stefano fosse immune da balzelli, (” Proibiamo anche che nessuno contro di voi e contro la vostra Chiesa presuma… gravarvi di nuove e indebite imposte “) ciò, a parte la soddisfazione per il vantaggio economico evidente, non poteva non solleticare l’amor proprio dell’Abate, che rimaneva tuttavia… immobile se non compiaciuto anche quando – quelli si ch’eran tempi di ferro! -, continuando il discorso: ” Quando poi morrai tu, ora abate del medesimo luogo ” ecc., il Papa pensava, invano ahimé, di assicurare identici benefici ai successori del parroco Gregorio.
L’aver contribuito alla stampa di questa monografia, che porta finalmente un po’ di luce nelle vicende di un periodo storico finora completamente ignorato, è per lo civitana Associazione Pro-Loco dimostrazione di una sana attività turistica (e da qui la mia adesione all’insistente invito di Mons. Squilla perché scrivessi una prefazione forse inutile a questo suo libro), motivo inoltre di legittimo orgoglio per le molte difficoltà superate e speranza ambiziosa di essere di stimolo e di esempio agli altri paesi, a quelli almeno che vivono nella cerchia dei monti che delimitano la Valle Roveto e che, come noi, hanno la stessa ansia di svegliarsi dal lungo, secolare torpore e di assurgere, anche per opera di una intelligente attività turistica, a nuove forme di vita più confortevoli, serene e decorose.
CIVITA D’ANTINO, 30 novembre 1960
Note
(1) Joergensen Giov., Nella terra di sorella morte. Valleccli, Firenze 1931
(2) Id. et ib. s pag. 31,82,75.
(3) JOERGENSEN GIOV., Op, Cit., pag. 92.
Testi di Don Gaetano Squilla
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