I documenti testimoniano che l’intervento di Carlo d ‘Angiò quale committente di S. Maria della Vittoria fu preponderante nella definizione dei caratteri della fondazione. Per ciò che riguarda l’impianto planimetrico invece, in quanto abbazia cistercense, fu adottato lo schema tipico delle fondazioni dell’Ordine la cui funzionalità aveva ormai raggiunto la perfezione. Secondo questo schema, centro dell’abbazia è il chiostro quadrato e circondato da un portico sul quale si affacciano i singoli ambienti, raggruppati in base alle loro funzioni: a Nord la chiesa, a Est l’ala dei monaci, a Sud calidarium, refettorio e cucine, ad Ovest l’ala dei conversi. Intorno a questo nucleo con una disposizione meno rigida si trovano gli altri edifici: infermeria, foresteria, latrine, mulini e strutture che di caso in caso sono connesse al lavoro di monaci e conversi. Un confronto della pianta di S. Maria della Vittoria come risulta dai rilievi del I 900 e una foto aerea dei ruderi realizzata alla fine degli anni Cinquanta, unita ad una verifica e misurazione delle strutture attualmente esistenti, ha permesso di ricostruire una nuova – e quindi medita – pianta del complesso che contrariamente a quella finora conosciuta, è perfettamente aderente alla disposizione canonica cistercense.
La caratteristica più importante che la pianta della chiesa presenta è la soluzione rettilinea del coro che si sviluppa in profondità per due campate della stessa larghezza del corpo longitudinale articolato in sei campate. L’intero edificio risulta quindi diviso in tre navate da una doppia fila di pilastri quadrati e tagliato da un transetto poco sporgente. Sulla facciata, ad occidente si aprono due ingressi, uno centrale molto ampio e il secondo più stretto a destra. La ripresa aerea conferma le caratteristiche della pianta salvo che per una netta traccia trasversale a metà della navata la cui interpretazione appare problematica. Una ulteriore indagine archeologica si rende necessaria anche per capire la natura dei sostegni che lascia aperto il problema dell’articolazione interna – in particolare della disposizione delle cappelle – e soprattutto della presenza di una torre di crociera e di un campanile sul lato sinistro della facciata. Il tipo di articolazione quadrangolare del corpo absidale costituisce, con S. Maria della Vittoria, l’unico caso in una abbazia cistercense italiana ma ha dei precedenti nelle abbazie cistercensi di Citeaux III, Morimond e Riddaghausen, dove troviamo dei cori a deambulatorio quadrangolare.
Nella chiesa scurcolana, come in questi esempi, le navatelle corrono lungo tutto il perimetro dell’edificio, il coro è profondo e ha terminazione retti linea ma manca il deambulatorio come nel caso del celebre disegno di una pianta di abbazia cistercense tramandata dal Taccuino di Villard de Honnecourt e dell’abbazia di Fontainjean. Lo sviluppo quadrangolare del coro caratterizza, in Inghilterra, le abbazie cistercensi di Byland, Dore, Tintern e Netley per le quali è stato però individuato un precedente schiettamente inglese in Romsey Abbey. In Italia, l’esempio che maggiormente si avvicina all’abbazia scurcolana è, come ha notato Wagner-Rieger, la pianta del Duomo di Siena I proposta da Carli, ma partendo dalla considerazione che Carlo d’Angiò dal 1267 fu vicario imperiale per la Toscana, ulteriori collegamenti si possono istituire tra i due edifici: l’attribuzione vasariana dell’abbazia di Scurcola a Nicola Pisano che dal 1265 al 1268 lavorò al pulpito della cattedrale senese e la partecipazione alla prima fase di costruzione del cosiddetto Duomo di Siena I, avvenuta tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, dei conversi cistercensi di S. Galgano: fra Vernaccio, fra Melano e fra Mario. Gli edifici monastici di Scurcola si presentano in uno stato di conservazione molto migliore della chiesa; l’ala est, in particolare, presenta mura alte fino a m. 3-4 che recano ancora i segni delle coperture a volta, restano invece le fondamenta degli edifici dell’ala meridionale, mentre assolutamente illeggibile è l’ala dei conversi.
Nel chiostro un pozzo a terra, oggi chiuso con cemento, all’altezza de] refettorio è quanto resta del lavabo. Sul lato est, l’ambiente adiacente al transetto meridionale della chiesa era la sacrestia (circa m. 9 x m. 15). Per essa, come per tutti i locali dell’ala dei monaci, che hanno la stessa profondità (m. 15), si può ipotizzare la suddivisione in tre campate ancora sicuramente leggibile nel passaggio. La sala capitolare, di pianta praticamente quadrata (m. 14,50 x m. 15), occupa regolarmente la parte centrale del braccio orientale del chiostro. Le pareti laterali sono oggi completamente interrate, non è possibile quindi ricostruire con certezza l’articolazione interna di questo ambiente; in base a quanto detto per la sacrestia si può ipotizzare, comunque, che fosse divisa da quattro pilastri in sei campate, come a Casamari. La fotografia aerea mostra che la struttura muraria posta tra la sala capitolare e l’ambiente ad essa adiacente, prosegue per circa m. 30 verso est in direzione parallela alla chiesa.
L’incertezza sulla sua funzione ha determinato la scelta di questa zona per la campagna di scavo diretta da Righetti Tosti-Croce. L’indagine archeologica ha permesso innanzitutto di chiarire a quale uso fosse destinato l’ambiente a destra della sala capitolare. Generalmente, infatti, in questa posizione si trova i] parlatorio dei monaci, gli scavi hanno però restituito un ampio portale sulla parete est di questo ambiente nel quale si deve senz’altro riconoscere il passaggio dal chiostro verso l’esterno; questa collocazione, per quanto rara, trova confronti a Valcroissant e a Senanque alla fine del XII secolo e a la Garde-Dieu e Pilis nella seconda metà del XIII. A S. Maria della Vittoria, il passaggio (m. 6 x m. 15) è uno degli ambienti in miglior stato di conservazione; in esso è ancora visibile la scansione dell’alzato in tre campate archiacute e un peduccio d’imposta all’angolo della parete verso il chiostro. Una porta contigua all ‘angolo sud-est, mette in collegamento il passaggio con l’ambiente ad esso confinante a sud. La lettura dell’articolazione interna di questa struttura presenta qualche complicazione: nell’ala riservata ai monaci, tra il passaggio e il cellier, dovrebbero infatti trovarsi il parlatorio e la scala per il dormitorio le cui uniche tracce restano, forse, nei due muri paralleli che si immorsano su quello in comune col passaggio.
Ne risulta quindi un vastissimo spazio, che comprende anche il cellier (m. 26 x m. 15), dove si conserva quasi tutto il muro ovest per un’altezza tale da rendere possibile di riconoscervi il profilo di tre archi ogivali e ipotizzare una suddivisione in cinque o sei campate. Nella parete est, benché quasi distrutta, due lastre orizzontali di pietra, strombate verso l’interno, sono certamente relative a due finestre. La struttura dell’ala meridionale del convento appare, anche se mutano le proporzioni, analoga a quella del monastero di Fossanova; in entrambi i casi, infatti, i locali si allineano in senso perpendicolare al chiostro, mentre secondo la più stretta regola, questo orientamento veniva riservato solo al refettorio. A Scurcola, per la posizione in pianta, possiamo identificare con il calidarium (m. 11 x m. 7) il locale che si apre sul chiostro la cui parete orientale – in comune con il cellier – è costituita da una grande campata ampia circa 7 m. Nella parete meridionale un’apertura di circa m. 1,35 occupata in origine da un porta a terminazione ogivale, metteva in comunicazione il calidarium con un secondo ambiente adiacente a sud, leggermente più grande (m. 11 x m. 8,50).
Il grande refettorio (m. 40 x m. 11,50) si trova in posizione perpendicolare rispetto all ‘asse della galleria del chiostro e, di conseguenza, all’asse della chiesa. Queste caratteristiche lo rendono assai simile al refettorio di Royaumont, che ha lo stesso orientamento e misure di poco maggiori (m. 40,30 x m. 13,30). Particolarmente interessante, inoltre, è la struttura del pulpito di lettura che oltre ad essere molto simile nella forma, è collocata in entrambi i casi all’esterno della parete occidentale. Dai documenti sappiamo anche che fu data in appalto per il refettorio della Vittoria 1 esecuzione di dodici finestre arricchite da vetrate policrome il cui uso era in precedenza proibito dal Capitolo Generale dell’Ordine. A ovest del refettorio sono allineati tre ambienti: il primo, che si affaccia sul chiostro, ha maggiori dimensioni (m. 12,30 x m. 9) degli altri (rispettivamente misurano m. 12,30 x m. 5,50 e m. 12,30 x m. 4) probabilmente destinati ad essere cucina, parlatorio e scala per il dormitorio dei conversi.
Questa identificazione verrebbe a confermare la possibilità, già prospettata da Egidi, che in origine sorgessero edifici anche sul lato ovest del chiostro. In effetti, oltre ai numerosi documenti nei quali si accenna alla presenza di conversi nell’abbazia, esiste, subito al di fuori della recinzione delimitante l’area monumentale, una fila ordinata di pietre che corre senza interruzione per alcuni metri parallelamente al chiostro. Essa appare l’ultima traccia di una fondazione come appare plausibile anche dalla ripresa aerea. A conclusione dell’analisi delle strutture è necessario aggiungere una notazione a proposito del tipo di muratura che le costituisce. I documenti testimoniano che l’abbazia fu costruita utilizzando le pietre estratte dagli “scappatores lapidum” dalle cave di Carce e Montesecco possedute dalla corona nei pressi del monastero e che Carlo d ‘Angiò dette istruzioni ben precise per quanto riguardava il tipo di muratura da realizzare.
La chiesa fu eretta “de opere piano” e il monastero, invece, “de omnibus lapidibus” anche nelle volte ma con archi, finestre e.porte “de vivis lapidibus et dotatis quantuncumque meliores et fortiores fieri poterunt, ad ipsius operis ornamentum”. Questa differenza di qualità è probabilmente la causa anche della diversità di spessore esistente tra le mura della Chiesa e del monastero: in base alle misurazioni effettuate durante gli scavi del 1900, come si può leggere nella pianta relativa, lo spessore del le pareti della chiesa, esclusi i contrafforti, era di circa m. 2, del monastero di m. 2,40; la struttura muraria comune a chiesa e monastero, invece, è stata indicata come corrispondente a m. 3,50.
La muratura degli edifici conventuali dimostra di essere frutto di una tecnica abbastanza raffinata; benché le pietre siano solo sbozzate, sono disposte in corsi regolari tra i quali sono infilate scaglie della stessa pietra, procedimento, questo, seguito sia per le parti interne che per quelle esterne della parete.
Ciò si può osservare nella sala dei monaci dove l’apparecchio murario è visibile soprattutto tra i profili degli archi, nel punto in cui l’imposta delle volte poggiava su peducci pensili sicuramente scolpiti. Un confronto interessante si può istituire tra le strutture murarie superstiti di 5. Maria della Vittoria e quelle di S. Mariadi Realvalle. Sul muro sud della chiesa di Scafati, in particolare, la tessitura muraria mostra di essere assai simile nell’esecuzione a quella del monastero scurcolano anche se la pietra utilizzata a Realvalle, essendo tufacea, e quindi più tenera, ha comporta una resa meno regolare e ordinata e un maggior spessore della muratura (circa m. 3).
Testi a cura di Maria Isabella Pesce
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