Comune di Bisegna


Si, vogliamo parlare proprio della Ferriera quella vera che funzionò per una quarantina d’anni nel secolo scorso, e non dell’acquedotto omonimo costruito negli anni ’60 a cui siamo abituati a far riferimento oggi. Sulla costruzione della fabbrica siamo ben documentati perchè ce ne parla addirittura un testimone oculare. Si tratta di uno dei grandi viaggiatori dell’Ottocento, lo scrittore e paesaggista inglese Edward Lear il quale nel 1843 visitò l’Abruzzo lasciandoci un bei quadretto d’epoca con i suoi appunti accompagnati da delicati disegni di tanti paesi e dei loro monumenti più significativi.
L’ultima ristampa del libro di Lear, “Viaggio illustrato nei tre Abruzzi ( 1843 1844 )”, è stata realizzata a Sulmona nel 1988 in occasione del centenario della ferrovia Roma-Sulmona. Nel corso del suo viaggio nei tre Abruzzi, Lear toccà anche San Sebastiano dei Marsi lasciandoci la seguente testimonianza: “7 settembre 1843. Asperrimo passo di Pescina! Come ululava il vento gelido tra le brulle rocce, quando io, al levar del sole, mi avviai alla volta di Scanno! Sicuramente Mazzarin da piccolo deve essere stato a prova di reumatismi, poiché la sua residenza è esposta, più di qualunque altra del paese, alle raffiche impetuose delle fredde correnti. E non mi conforta il fatto d’essermi accomiatato dal mio caro amico, Don Stefano Tabassi; né migliorava in alcun modo questa sensazione la prospettiva di un viaggio assai monotono e poco interessante, allorché dallo stretto passaggio del corso d’acqua uscii nella valle di Ortona. 

Era davvero opprimente quella disadorna valle, racchiusa tra due linee di colline, parimenti squallide, con macchie di grano qua e là e alcune querce sparse o un pioppo solitario, che punteggiava il nudo paesaggio. Eppure, l’infinita cortesia dei contadini abruzzesi illuminerebbe persino un viaggio più nero. “Occorre cosa ? Posso fare qualcosa per te” diceva la maggior parte di quelli che incontravo; o almeno, il loro saluto era “Buon viaggio” o ” Stia forte”. Ortona, sotto la quale passai, è poco attraente e allo stesso tempo immeritevole di una seconda visita, sicché andai avanti in tutta fretta e, dopo aver lasciato la via per Scanno alla sinistra, proseguii verso un villaggio chiamato San Sebastiano, dove una società francese ha installato una ferriera. 

Per il responsabile di essa D. Stefano Tabassi mi aveva dato una lettera, non perchè la ferriera fosse un soggetto interessante per me, ma perché ognuno diceva che io avrei dovuto vederla. In realtà la maggior parte della povera gente di queste zone sembrava fortemente eccitata per questa ferriera; ma, poiché una società di speculatori si era da poco stabilita vicino alla Maiella con l’intento di estrarre zucchero dalle patate, i semplici contadini facevano uno strano miscuglio dei due mestieri. “Siete quelli che tirano lo zucchero dal ferro ?” diceva uno, e “sarete chi stanno a fare lo ferro con le patate ?”, domandava un altro. Infatti uno straniero è un avvenimento cosi raro in questi posti solitari, che certamente egli viene considerato un siderurgico o un fabbricante di zucchero. 

A San Sebastiano incontrai Monsr. Richardon, il direttore dei nuovi lavori, il quale mi informò che il suo principale era assente, ma mi invitò molto cortesemente a unirmi alla sua colazione ( alla quale stava dirigendosi proprio allora ), per cui passai un’ora assai piacevole. Due o tre suoi vivaci compatrioti, arrivati da poco dalla Francia, ci fecero partecipi della loro ripugnanza per la grave carenza di igiene dei nativi di San Sebastiano, cui i tecnici più vecchi sembravano abbastanza abituati. Tuttavia Monsr. Richardon richiamò alla loro memoria alcuni villaggi della Britannia, dove, non solo i piatti da minestra venivano lavati in rare occasioni, ma addirittura gli abitanti li avevano sostituiti con buchi poco profondi, scavati in una tavola di legno adibita a pranzo, che comunicavano a mezzo di canali con una zuppiera fissa al centro, nella quale veniva versata la minestra e da qui indirizzata ai vari piatti o tràgoli degli ospiti, con grande risparmio di fatica e di terraglie. Dopo pranzo seguii il mio ospite al nuovo stabilimento, che è situato presso un bel corso d’acqua ai piedi di un vicino villaggio ( n.d.r. Bisegna ), il cui nome non riesco a ricordare. 

La scena era veramente eccezionale; quasi duecento contadini erano al lavoro negli edifici che si stavano costruendo: buoi che trascinavano legname, martelli che risuonavano, e tutto questo fermento di attività contrastava con la deprimente solitudine di tutta la valle. Il metallo di ferro si trova nelle vicine montagne di Lecce, e i francesi si aspettano che l’intera fonderia venga ultimata entro un anno. Non potei accettare l’invito di Monsr Richardon a passare la notte a San Sebastiano, poiché il mio tempo era contato; percià proseguii il viaggio su un magnifico cavallo che il brav’uomo insisté a farmi montare fino alla cima della montagna ( n.d.r. il Festo ), che è da scalare prima di raggiungere Scanno. 

Ero oltremodo curioso di vedere questo paese, avendone spesso sentito parlare da alcuni suoi abitanti, che ogni anno durante la settimana santa visitano Roma, dove il loro strano copricapo li rende facilmente distinguibili”. Dunque la fabbrica iniziò a funzionare intorno al 1844 sotto la direzione delle maestranze francesi il cui assistente ai lavori era un certo monsieur Bajard; il complesso comprendeva anche i locali da adibire ad abitazioni, i magazzini e gli uffici. Il luogo sicuramente era stato scelto con oculatezza dai tecnici che vi avevano trovato alcune risorse molto vantaggiose e subito fruibili.

Innanzi tutto l’abbondanza delle acque che sgorgavano dalla roccia e precipitavano tumultuosamente a valle verso il fiume Giovenco che, proprio al punto di confluenza, iniziava a prendere corpo; la possibilità di approvvigionamento di legname perchè a poche centinaia di metri vi era il bosco e per ultimo, particolare però non trascurabile, la possibilità di usufruire di materiale di recupero, pietre lavorate ed altro, dai resti del già citato castello di Loe che si ipotizza fosse collocato proprio in quella zona. Certo il lavoro non era facile: bisognava andare a caricare le pietre di Bauxite alla Cicerana, oltre il Passo del Diavolo nel Comune di Lecce dei Marsi, passando per la Forchetta. Una lunga fila di animali da soma, muniti di ceste e sacchi, si snodava lungo il percorso per rifornire la fabbrica della materia prima. Lungo il percorso, ancora oggi si possono trovare i pezzi di Bauxite che cadevano durante il trasporto. 

La fabbrica produceva principalmente manufatti di ghisa come alari e altri oggetti per il camino, grate, ringhiere per i balconi come se ne vedono ancora tante per le case del paese, lettiere, delle quali una è stata ritrovata in un’abitazione di Sulmona con una scritta sul lato: “Ferriera di San Sebastiano”. Dalla nostra Ferriera usciva anche il famoso “Brenzitte”, un pesante recipiente a mo’ di pentola con piedini di appoggio e coperchio, usato per la cottura a secco delle patate sul fuoco del camino. 

Non temiamo di essere smentiti nell’affermare che molti sansebastianesi chissà cosa darebbero per assaggiare una di queste prelibate patatine dal sapore genuino di una volta; questa è una fortuna che può anche capitare dal momento che, come ci risulta, ci sono ancora due “Brenzitte” gelosamente custoditi dalle famiglie Di Mattia e Fallucchi che li usano ancora. 


Per molti abitanti di San Sebastiano questo lavoro alla ferriera, che ufficialmente si chiamava Ferriera Marsicana, fu una buona risorsa che li tenne occupati per circa quarant’anni, poi la fabbrica chiuse perché, si disse, non dava più i “dovuti profitti”. Lo smantellamento della stessa avvenne in breve tempo perché i sansebastianesi vi recuperarono i materiali più utili, pietre, travi e finestre da riutilizzare nelle nuove costruzioni o nel consolidamento delle vecchie case avite. Alcuni grossi massi provenienti dalla ferriera si possono vedere sistemati a sostegno del terrazzamento di una casa della Cellarella. 

Oggi sul posto ci sono ancora ruderi abbastanza evidenti, quelli rimasti dopo le devastanti demolizioni effettuate dal Consorzio de “La Ferriera” per captare le acque dalla sorgente; ci sono anche i resti del vecchio mulino che, sulla chiave di volta del portale, portava scolpita la data “1832”, altri resti ormai irriconoscibili della valchiera, una piccola officina e poche altre pietre sparse. Sicuramente è un luogo misterioso, pieno di fascino, e la sua storia non finisce qui, dobbiamo tornare a parlarne perchè un’altra pagina della storia di San Sebastiano, sarà scritta diversi anni dopo la chiusura della fabbrica, per merito di un geniale concittadino, Tito Berardini, il quale pensò di sfruttare la potenza delle acque della Ferriera, ormai divenuto nome della località, per altri scopi.

Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )

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