Pietro tuttavia ancora non entra nell’ingranaggio tipico della psiche trebana, non conosce ancora bene il luogo, comincia appena ad ambientarvisi che la corona dei suoi giorni volge alla fine. Le forze lo tradiscono, la parca e in agguato per reciderne lo stame e, quando il mese sgrana le briciole degli ultimi tramonti, l’orologio del tempa scandisce l’estrema sua ora. Cosi dopo appena venti giorni di permanenza a Trevi, illustrati dai prodigi descritti e da molti altri ancora, il 30 agosto dell’anno 1152, (1) vinto dal digiuno e dalla fatica, ma
più da amore teologale, entro un misero tugurio che gli serve da riparo durante la notte, chiude serenamente i suoi giorni terreni.

L’apografo, pur meticoloso nella narrazione dei miracoli, non e prodigo di indicazioni a riguardo. Racchiude il momento nel fazzoletto di poche parole, che tuttavia evocano una condizione del vivere, dell’essere e del morire del Santo marcatamente saldata allo stato naturale della sua virginea innocenza, grazie alla quale via via con straordinaria progressione il pensiero della morte gli si purifica d’ogni veleno e lo scolorar del sembiante diviene musica sempre più viva fino a sfumare nel bagliore della fiamma eterna; il sapore della morte gli diventa cioè metaforicamente e con estrema intensità il sapore di Dio nel suo totale dissolvimento. (2)

Intatto da suggestioni esteriori, anche dall’onda sonora del travaglio storico del tempo, Pietro s’e tracciato il viaggio in termini d’assoluta autonomia, conquistando criteri di saggezza esistenziale con imprevedibile precocità. Accetta pertanto quell’estremo passo con la pienezza della sua generosità. Ha lavorato tutta la vita a purificare gli occhi, che avrebbero visto il Signore, e il cuore, che lo avrebbe eternamente amato; attende perciò il distacco dell’anima dal corpo per dire finalmente ” Dio mio! ” e ascoltarne la gioiosa risposta: ” Vieni, servo buono e fedele “. La sera avanti, sentendosi stanco e vicino al trapasso, si ritira in tempo nel pollaio, adagiandosi nel consueto giaciglio in stato di fiduciosa serenità, di prodigo abbandono. Fonda sul sentimento del proprio nulla, della propria indegnità, soprattutto sulla bontà misericordiosa di Dio; sente di poter sorridere alla morte, consapevole di tornare alla casa del Padre. Lo conforta nei pensieri la presenza della Madonna, che sospira ardentemente vicino a se. Chi muore, invoca dolcemente sua madre. Pietro chiama Maria con sentimento, che non e invocazione di aiuto, ma saluto al mattino eterno.

Bando l’ultimo addio alla vita, ha appena il tempo di riepilogare ricordi e parole di perdono per tutti. Saluta e benedice la terra natia di Rocca di Botte e quella di Trevi, seconda patria, poi il tempo comincia ad arrugginirsi nella mente, le idee si smagliano, la vita gli scivola di dosso, lasciando solo brandelli di pensieri. L’esistenza si riduce ad una lucciola. Da un lungo sospiro ed e il termine. L’angelo del sonno con l’ultima carezza viene a chiudergli gli occhi con la dolcezza delle sue ali piumate. L’ultimo bagliore della vita di un uomo illumina e riassume tutta l’esistenza, gli ideali, le aspirazioni. Chi e grande nella vita, tale si rivela nella morte. Morire non e solo un atto fisiologico, e soprattutto un atto di culto, di risurrezione; l’ultimo dono di se, ma il più gradito a Dio, preparato col sacrificio dell’intera vita. Cosi il corpo di Pietro si dissolve, proprio come desidero e attese: gli occhi, le orecchie, le labbra e le mani si liberano dalla fatica, i piedi, che camminarono nella rettitudine evangelizzando la pace, diventano pesanti.

E’ l’ultimo atto d’un dramma in funzione della scena madre: il ricongiungimento con Dio. Ha promesso, mantenuto, perseverato, portato a termine il suo capolavoro; ha vissuto fino in fondo la chiamata secondo la realtà stupenda, che il Creatore ha posto in lui; può finalmente rilassarsi col sorriso sulle labbra, con lo sguardo in celeste rapimento. In fondo non e un morto, ma un Santo che riposa e sorride al cielo, ch’e suo. Le pene ora non contano più. Anche l’estate s’e fermata, bloccata nell’aria per la sagra della mietitura. A Trevi per lui sarà estate ogni giorno. Insegno il coraggio di vivere per un ideale, dono dosi generose di vita, a tutti quelli che incontro dette una lunga stretta di mano; sogno un futuro tutto suo e quel futuro e divenuto realtà. La storia gli ha dato risposta, accettando la sua sfida lanciata con l’idea d’una rivoluzione della speranza, della follia del vangelo. ”

Bisogna costringere gli uomini ad essere liberi “, scrive Rousseau nel secolo XVIII. Pietro lo realizzo molti secoli prima, spartendo l’amarezza del mondo, morendo col peso di tante montagne sulle spalle, corse per regalare rugiade di certezza. ” His omnibus, multisque aliis in Civitate Trebae exipletis; atque ibi viginti dierum spatio permanente, de hoc mundo ad coelestem patriam pertransivit “. I termini dell’apografo non danno segno di patetismo. Pietro muore, perchè e giunta la sua ora, e muore giovane, (3) già maturo per il cielo. Tuttavia l’accenno ai molti prodigi, operati in Trevi nei venti giorni di sua permanenza ma non trasmessi biograficamente, proietta la narrazione al di la dei limiti razionali, come l’appunto di Giovanni sull’operato del Maestro: ” Ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto, le quali se fossero scritte ad una ad una, il mondo non basterebbe a contenerle “. (4) Anche nel libro dei Maccabei si legge: ” Il resto delle imprese di Giuda e delle sue battaglie, degli eroismi, di cui diede prova, e dei suoi titoli di gloria non e stato scritto, perché troppo grande era il numero “. (5)

Del luogo della morte di S. Pietro l’apografo tace, ma esso e segnalato dalla tradizione in un piccolo ricettacolo a mezza strada sulla Via Maggiore di Trevi (oggi Corso Vittorio Emanuele), a un centinaio di metri tra la Porta Maggiore o Napoletana e piazza S. Maria. Comunemente detto jo pulle o il pollaio, (6) e più propriamente un sottoscala di casa, ricettacolo di masserizie e di galline nelle dimore d’un tempo, che il giovane eremita ricevette per carità ospitale o si trovò per riposarvi la notte. In quell’angolo estremamente povero, ricco solo della sua presenza, nel silenzio della pace notturna, prima ancora che i trebani imparino a conoscerlo bene, Pietro muore, rendendo giovanissimo la sua bell’anima a Dio. Al mattino persone pietose lo trovano in catalessi. E’ vestito di cilicio, regge in mano la croce di ferro donatagli dal vescovo di Tivoli, ha il volto baciato dall’ultima stella e una compostezza, che esprime e consuma in se la profondità degli spazi infiniti ed eterni, che cerco di comprimere entro i silenzi immobili e immoti di quelle ultime sere estive, quando il cielo di Trevi si tinge di colorazione indefinibile e la lingua non sembra più in grado di segnare le pulsazioni del tempo, della vita, della storia.

Note
1) Abbiamo trattato l’argomento dell’inesistenza del vescovo Gregorio, ma Pierantoni, fisso nel suo conteggio cronologico circa la morte del Santo, annota: “Hor questo transito accadde nell’anno di nostra salute 105Z: come si deduce chiaramente dalla sua santa vita, che ci numera quattro anni e marzo, meno dieci giorni, cioè dal tempo che S. Pietro giovinetto, partitosi dalla sua Patria, per due anni dimoro con Cleto a Tivoli; altri due anni nella predicatione neLLa detta sua Patria e luoghi circonvicini; cinque mesi in Subiaco e suoi contorni, e finalmente qui si dice venti giorni dimorato in Trevi onde con ordine e computo retrogrado, essendo il Santo vissuto al tempo di Gregorio Vescovo di Tivoli, sotto Leone 9′: et havendo operato miracoli in Subiaco, doppo i quattro anni che era stato in Tivoli e dimoratovi per cinque mesi; e dicendosi morto Li trenta Agosto, necessariamente si esclude detto anno 1052; che come vedràssi fu anno bisestile in tempo che era Sommo Pontefice lo stesso Leone 9: et Vescovo di Tivoli il detto Gregorio e forse suo successore Giovanni Cardinale e Vescovo de Marsi, (ma nella sola valle Carseolana) era Attone, essendo stata divisa in due vescovadi… Vescovo di Anagni era Grimando, che in pavimento di quella catedrale in lapide di marmo legesi scritto Raminaldus indignus Episcopus: sopra la sua sepoltura; e vescovo di Treba l’ultimo si raccoglie essere stato Giacomo o Giovanni; poichè in un concilio Romano di 113 vescovi sotto Nieola 2′: anno 1059. si leggono sottoscritti con la sola Lettera initiale J. ciod Jacobo vel Joannes, come osserva Ughelli; J. Episcopv.s Alatrinensis… episcopus Trebensìs et altri ” (PIER. XXI, 87).

2) “Non è morte la morte de Santi, ma è dolce sonno e riposo che loro concede Dio (Ps. 126) …e si potè scrivere ne loro sacri avelli l’elogio, che fa incidere nella sua lapide sepolcrale il glorioso Tomaso Moro: Viator, hic mori est nihil, anzi non solo non e in essa ombra di male: Pr. 14: sperat iustus in morte sua… Che S. Pietro morisse per puro amore, che portava al suo Dio, oltre la vita stessa, ce lo significa la 5″ antifona Ad Laudes del suo offitio antico: Hodie carnis sarcinam deponens Beatus Petrus ad Christum, quem dilexit puro corde laetus pervenit ” (PIER. XXI, 86) . “Esprimesi bene con formole ecclesiastiche la morte del Santo, che da questo mondo fece passaggio alla patria celeste de Beati; e sotto nome di transito; perche tale in realtà si e quella che noi chiamiamo morte, ne santi servi di Dio ” (PIER. XXI, 87).

3) ” Infelice conditione de miseri mortali, che all’hora, quando possono sperare magiori aiuti dalla consumata santità di qualche Heroe, se lo vedono rapito da morte anche immatura, a pagar l’antico debito della nostra natura corrotta come appunto accadde a quell’antichi Trebani nella si presta morte del loro santissimo Protettore, che a pena goder lo poterno per soli venti giorni: ma non sie meraviglia perchè tutto cio opera Dio, per secondare ben spesso il desiderio commune de suoi servi, che gli sente di tratto in tratto replicare quelle dolci parole dell’Apostolo… cupio dissvlvi et esse cum Christo. Bramano gli stessi santi d’uscir presto di vita, e sia per sottrarsi da pericoli, che sempre s’incontrano d’offender Dio; o sia per presto vedere, e godere dell’oggetto amato, che e lo stesso Dio, nella manifestatione della sua gloria: se bene con tutta rassegnatione, dicono pure con l’istesso Apostolo mihi vivere Christus est et mori lucrum. Il tutto succede felicemente per loro, benché per noi paia acerbo; e possiam d,ire con S. Gregorio Nisseno in funere Meletij episcopi del nostro S. Pietro: Illi bonum erat, per resolutionem esse cum Christo; ut nobis acerbum, et molestum paterno praesidio patrocinioque carere… Giubilate in questo giorno allegro del glorioso transito del nostro heroe perchè in esso egli tutto carico di meriti e divotione entro per essere coronato con la gloria de Santi nel campidoglio celeste, per ivi impetrarci dall’Altissimo l’eterna salute… Di quel famoso guerriero Epaminonda fu detto: Epaminondas hodie nascitur, quia sic moritur” (PIER. XXI, 87).

4) Gv. XXI, 24.

5) Mc. IX, 22.

6) “Del luogo preciso ove il Santo mori non ne fa mentione lo scrittore della sua Vita; perchè era noto, e manifesto a tutti; e perciò come luogo sacro e stato continuamente in veneratione, dentro la Terra di Trevi, cio8 in piccolo tugurio formato sotto il concavo d’una scala di pietra, che guarda verso mezzo giorno come pure al presente si venera; situato non lungi da Porta detta Magiore “. “Hor detto luogo fu ornato d,i. pitture, chiuso a cancello, e sopra l’Immagine dipinta del Santo, vi era questa antica inscritione per memoria. Beatus Confessor Christi Petrus hic diem suum clausit extremum”. ” esser quivi tradizione che detto luogo e concavo della scala a piano terra, era ad uso d’una piccola scaletta, assai angusta, dove il Santo si ricoverava la notte, ne venti giorni, che dimoro in Trevi, o per sua Humiltà e povertà estrema, o perchè non trovasse altro ricetto; e quivi fu trovato prosteso su la nuda terra vestito col solito suo cilitio, e con la croce di ferro stretta nelle mani ” (PIER., XXI, 89).

Testi tratti da Pietro Eremita L’uomo della speranza da Rocca di Botte a Trevi

Testi a cura del Prof. Dante Zinanni