Comune di Bisegna

Nel fascicolo numero 1396 dell’Archivio Diocesano di Avezzano, alla busta 71, abbiamo scoperto, non senza una certa meraviglia, che a San Sebastiano esisteva una scuola già dal 1817. A nostro avviso il fatto si giustifica con la presenza degli ormai noti sei canonici che evidentemente l’avevano istituita e la gestivano; opinione, questa, confermata dai ricordi delle persone anziane del paese. Non a caso le lezioni si tenevano proprio nella residenza di detti canonici, nella casa di Laurina Grassi ( parente di Bernardo Grassi ufficiale postale fino agli anni ’50 ), dislocata nella zona della “Torre”. 

La scheda acclusa al fascicolo riporta i nomi di ventitre alunni, la loro età, la condotta morale, quella religiosa, l’assiduità ed il profitto. Le due ultime colonne erano destinate ai “distinti” e alle note. L’istitutore Vinceslao Grassi, pur non essendo di manica larga, nei giudizi non faceva grandi distinzioni: la condotta morale era “buona” per tutti, quella religiosa “molta” per tutti, e il profitto “mediocre”, ovviamente per tutti. Va da se, vîste le precedenti valutazioni, che la fincatura destinata ai “distinti”, risulta desolatamente vuota; mentre in quella delle osservazioni campeggia soltanto la data e la firma: “San Sebastiano, 30 giugno 1817. Vinceslao Arciprete Grassi”. 

Ed ecco l’elenco degli alunni sistemato dall’Arciprete in ordine numerico, probabilmente determinato dal momento dell’iscrizione; accanto al nome figura l’età dell’alunno: Vincenzo Grassi, 5; Domenico De Santis, 7; Giuseppe Sforza, 5; Lorenzo Di Nicola, 5; Gianfrancesco Berardini, 5; Luigi Grassi, 6; Antonio Palleschi, 5; Francesco Di Vincenzo, 7; Sante Grassi, 7; Mattia Caranfa, 6; Sebastiano Di Nicola, 8; Generoso Grassi, 8; Gaetano Grassi, 8; Francesco Saverio Conti, 9; Pasquale Di Dominicis, 11; Paolo Sforza, 7; Angelo Di Pietro, 9; Carmine Grassi, 11; Giannangelo Di Dominicis, 8; Angelantonio Di Dominicis, 8; Giuseppe Berardini, 14; Luigi Sforza, 10.

Facendo un salto nel nostro secolo sappiamo che la sede della scuola si spostò prima in Via Campanile, nell’attuale abitazione di Francesco Di Pietro, poi al prospicente “Cortile”, nell’abitazione attualmente di Mario Cimini; dopo il terremoto del 1915, le lezioni si tennero, come abbiamo visto, in una baracca prefabbricata all’Aia, dove ora c’è la casa di Riccardo Grassi, e una volta costruite le casette antisismiche, la scuola si trasferì nella “casetta” dietro il monumento ai Caduti; infine, tra il 1934 e il 1935, venne costruito il nuovo edificio scolastico che funzionò fino agli anni ’80 e che poi, per mancanza di alunni, venne chiuso. Fatto sintomatico questo che è legato a fenomeni di natura sociale come il decremento demografico e l’emigrazione che si sono evidenziati sempre più nel tempo.

Grazie all’intervento della direzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, come vedremo in un seguente capitolo, oggi l’ex edificio scolastico ha avuto una degna ed esclusiva destinazione che qualifica il nostro paese: le ex aule, ristrutturate, ospitano il Museo Entomologico. Uno dei pochi esistenti in Europa. Entrando più specificatamente nella vita della scuola di San Sebastiano, vogliamo approfondire i fatti, sempre di natura scolastica, accaduti a cavallo delle due grandi guerre, nel cosiddetto “ventennio”, non certo per demagogia politica ma perchè di questo periodo abbiamo trovato sufficienti documentazioni, reminiscenze storiche e testimonianze dirette dei protagonisti. 

Ci corre l’obbligo, innanzi tutto, ricordare i maestri che hanno caratterizzato tutta un’epoca con la loro forte personalità e l’influenza che avevano sugli alunni e sui loro genitori; personaggi, dunque, amati, rispettati ed anche temuti. Chi non ricorda il maestro Mario Scalisi, la maestra Maria Bizzarri, Pasqua Forgioni, Dodano Gentile e Giusto Palleschi? Erano tempi cupi e difficili. I maestri dovevano combattere contro innumerevoli problemi. Il freddo nel periodo invernale costringeva le autorità a chiudere spesso la scuola perchè i bambini non erano sufficientemente protetti; poi c’era il problema delle epidemie quali tosse, pertosse, scabbia ecc., per le quali c’era ben poco da fare ed erano causa di una drastica diminuzione della frequenza. C’erano poi i problemi materiali. Lamentava un maestro: “Difettano i banchi, pero non so cosa fare. Ho messo quelli della seconda in tre per ogni banco ma stanno stretti; pazienza. Per quelli di quarta ho dovuto, improntandomi falegname, costruire i banchi da me; per sedili ho adoperato gli scuri delle finestre. Poveri maestri rurali a che cosa siamo ridotti/” Comunque i ragazzi conducevano una vita sana e spensierata come si addiceva alla loro età; ci si divertiva con poco, magari con una trottola, con una fionda, oppure facendo battere delle monetine contro un muro. 

Quando usciva una bella giornata i maestri portavano i bambini a fare una passeggiata alla Ferriera, al fiume, a Santa Lucia e persino a Santa Maria, ma allora si trattava di una vera gita scolastica. Sentite le materie che bisognava studiare: Religione; Disegno e Bella Scrittura; Lingua Italiana; Aritmetica; Geografia; Storia e Cultura Fascista; Igiene; Educazione Fisica; Canto; Lavori Domestici. Undici materie, niente male. Indipendentemente dalle loro convinzioni politiche i maestri dovevano sviluppare i programmi previsti per favorire la “Cultura Fascista”, insegnando e facendo cantare le canzoni del regime, “Giovinezza”, “Balilla”, “Mediterraneo”, “Vincere” ecc.. 

Non mancavano le iniziative imposte per legge come la Festa del pane, la Raccolta del fiocco di lana, la Befana fascista, il Tesseramento totalitario e, naturalmente, il Saggio ginnico che coronava la fine dell’anno scolastico. I ragazzi, in base all’età e al sesso appartenevano a varie categorie: Figli della Lupa, Balilla, Avanguardisti i maschi, Piccole Italiane e Giovani Italiane le femmine. Da un diario del 1943 trabocca l’enfasi e l’orgoglio che bisognava mostrare per tenere alto il morale della popolazione indigente: “Illustrando il telegramma del Maresciallo Badoglio ho detto, tra l’altro, che la perdita del suolo africano non deve diminuire la nostra resistenza né intaccare il nostro spirito, poichè l’audacia dei nostri soldati e l’abilità di Colui che ci guida, permetteranno di ritornare presto in quella terra irrorata e resa sacra dal sangue valoroso dei nostri soldati “. Nell’autunno del 1943 la scuola viene chiusa per un evento eccezionale e, allo stesso tempo, drammatico: l’invasione tedesca. Parleremo di questo più dettagliatamente nel prossimo capitolo. L’anno successivo i 550 abitanti di San Sebastiano si prepararono ad affrontare l’ultimo anno di guerra e sacrifici, seguendo con apprensione gli eventi bellici sui vari fronti, con i tedeschi in ritirata e gli alleati che incalzavano.

Nei loro cuori c’era una nuova speranza. All’apertura dell’anno scolastico, intanto, si presentarono i seguenti alunni: Diletta Berardini, Giuseppe Berardini, Mario Berardini, Rosina Berardini, Paolo Buccini, Lina Conte, Giuseppina De Dominicis, Antonia De Santis, Sebastiano De Santis, Luciano Di Carlo, Assunta Di Flauro, Irene Di Flauro, Enrico Di Giandomenico, Bartolomeo Di Mattia, Francesco Di Mattia, Agnese Di Stefano, Luigi Di Vincenzo, Adelinda Grassi, Costantino Grassi, Giovanni Grassi, Lucia Grassi, Italo Mercuri, Anatolia Sforza, Eleonora Sforza, Enrico Sforza, Nino Sforza, Angela Ubertini, Evelina Ubertini, Giacinto Ubertini, Maria Ubertini, Michele Ubertini; Antonio Conte, Giuseppe Conte, Remo De Dominicis, Silvestro De Dominicis, Giovanni Di Bartolomeo, Luigi Di Bartolomeo, Romano Di Bartolomeo, Cesidio Di Giandomenico, Luigi Grassi, Romano Grassi, Orazio Sforza, Sabatino Sforza, Oreste Sforza, Irmo Spera, Ugo Ubertini; Wilma Anselmi, Maria Colarossi, Lina Fallucchi, Luciano De Dominicis, Carlo De Santis, Nunzio Di Bartolomeo, Tonino Di Pietro, Renato Grassi, Antonia Grassi, Antonina Giocondi, Donata Grassi, Elvira Sforza. 

Forse ignari dei grandi cambiamenti che si profilavano all’orizzonte e del futuro che li attendeva, riprendevano con entusiasmo ed allegria la vita scolastica e, con il solito brusio, tra sorrisetti ammiccanti, alzandosi in piedi, rispondevano all’appello fatto dai maestri Gentile, Forgione e Palleschi. 

Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )

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