E’ stato scritto dall’Agostinoni (1): ” Il piano è simbolo di modernità ed Avezzano deve tutta la fortuna al gran piano, che l’ardimento di un imperatore antico e la costanza di un principe moderno le schiusero davanti. La sua vita, la sua storia e tutta legata al prosciugamento del lago. Per l’ipotesi, che immagina Fucino già comunicante col fiume Liri dal Colle di Cesolino, Avezzano deve al primo naturale abbassamento dell’acqua il posto delle sue fondamenta; per gli scavi dei lavori di Claudio, le prime capanne; per la folla dei lavori moderni, le prime forme di città “.
Tali idee, espresse in una forma, che rivela agilità ed intuizione di giornalista piuttosto che studio ponderato di storico, non sono del tutto fantastiche, né prive di una discreta dose di fondamento, come non sarà difficile rilevare nel corso della presente esposizione. Il nome di Avezzano rinviene la sua prima citazione nella storia scritta, quindi si ha la prima notizia dell’esistenza come paese, nel Chronicon Monasterii Casinensis di Leone Marsicano (2): la notizia con precisione risale all’anno 866, come annota fedelmente il Febonio, e non all’854, secondo, l’affermazione inesatta del Brogi e tanto meno al 781, secondo il Di Pietro, il quale, fra l’altro, nel testi di Leone Marsicano e del Febonio interpreta erroneamente persino il contenuto del brano, ove risulta la notizia suddetta.
Il Cardinale Leone fa menzione della chiesa di San Salvatore di Avezzano, indicando le altre chiese e possedimenti benedettini, esistenti nel territorio dei Marsi ed altrove, in occasione della conferma dei beni in favore del Monastero di Sant’Angelo in Barregio o Barrea, lungo il fiume Sangro, da parte dell’imperatore Ludovico II; questi nell’anno 866, con un forte esercito, da Pescara si dirigeva verso Sora e Montecassino per raggiungere Benevento e quindi attaccare i Saraceni di Bari, come si dirà in altro capitolo del presente scritto.
Per la qual cosa è fuori discussione che Avezzano sia sorta in epoca anteriore alla data suddetta, cioè anno 866, la quale segna ad ogni modo un punto certo di partenza o di riferimento per coloro che, ormai senza fondato motivo, non ritengano molto più antica la sua origine. Sarà invece chiarito che Avezzano rinviene la sua origine in epoca molto più antica, essendo essa la continuazione naturale di altra città, che sorgeva sul suo medesimo suolo. Al riguardo le ricerche effettuate hanno sortito esito del tutto positivo, tanto che sembra impresa non facile tentare di dimostrarne il contrario. In realtà, tracce evidenti del paese dell’epoca repubblicana o imperiale non apparvero numerose, e quelle rinvenute non furono sufficientemente studiate dal nostri storici, nel periodo anteriore al terremoto del 1915. Ma dopo tale periodo ed in seguito agli scavi delle macerie dell’abitato distrutto, sono emerse prove di interesse assolutamente eccezionali, per la ricostruzione della storia antica della nostra città.
Non deve stupire la mancanza nel territorio di Avezzano di vestigia grandiose, come quelle di Alba Fucens, per molteplici diverse considerazioni, che potrebbero farsi relativamente alla stessa Alba. La città difatti era edificata sopra un’altra antica, cioè Anxantium, come sarà dimostrato nel corso della presente trattazione; essa sorgeva in pianura aperta, quindi fu costretta a subire ogni passaggio ed ogni invasione, in particolar modo nel periodo barbarico, senza una valida difesa anche a causa della rassegnata assuefazione al tristi eventi da parte dei suoi abitanti, ridotti quasi esclusivamente al lavoro dei campi, a cui erano assai legati massime per la loro fatalità, ma che talora erano costretti ad abbandonare, per riparare nelle alture vicine. Persino delle mura, costruite dal Normanni, non rimase traccia alcuna, – ad eccezione di qualche rudere di fondamenta rinvenuto di recente dall’ing. Lelio Orlandi -, indice questo dei mutamenti al quali fu soggetta la città e del continuo suo progresso; fino alla vigilia dell’immane disastro tellurico del 1915, si era conservata soltanto qualche chiesetta delle varie, che esistevano – 16 -, costruite nel primo medioevo, intorno alle quali si era svolta la vita dei villaggi o vichi, sparsi per il piano lambito dal lago, e che, riunendosi poi, costituirono il primo nucleo organizzato di paese, secondo l’opinione del Febonio, massimo storico dei Marsi, seguito da tutti gli altri scrittori di storia locale.
Non si hanno notizie sicure circa la sua fondazione; tuttavia non mancano tesi varie, a sostegno delle quali sono stati esposti argomenti e motivi, che sovente si sono mostrati avvolti nel velo della leggenda, che, per quanto tenue, ha opposto non poche resistenze alla luce chiarificatrice della storia, fino a quando non sono emersi elementi probativi dell’antichità del paese. Procedendo ora con la prudenza ansiosa di chi desidera ardentemente giungere alla scoperta di una verità, che attraverso lunghi secoli, a volte tenebrosi, si è venuta smarrendo, nel ricercarla intenso fervore hanno posto illustri storici conterranei, nessuna ipotesi deve essere scartata, nessuna opinione deve essere respinta. Si deve accogliere il risultato di tutte le indagini precedenti, perché esso, al vaglio di nuove ricerche, possa aprire un maggiore spiraglio a chi più felicemente sarà in grado di interessarsi a quest’opera e riuscire nell’intento.
Dal Paoluzi (3), studioso di storia marsicana, fu affermato che le scorrerie dei nemici, il tempo, gli sconvolgimenti della natura e le guerre produssero nella Marsica una ecatombe; che dalle rovine dei numerosi centri abitati sorsero le attuali borgate e città della Marsica, e che Avezzano venne formato dal raggruppamento dei villaggi Pago, Pantano, Aquaria, Costa, Cerrito, Pescina, S. Felice, Musciano Fonte, Gagliano, Pennorina, Vicenna, Casale, Perete, Le Fratte, Avvio e Vico, della quale versione si tornerà a parlare in seguito. Viene così ricalcata quasi fedelmente l’elencazione del Di Pietro il quale delle origini dei suddetti villaggi fornisce una spiegazione, da cui dovrebbero scaturire elementi sufficienti, per dimostrare almeno la probabilità dell’assunto. Dopo aver premesso che nulla si conosce circa l’esistenza nella remota antichità di qualche vico nella pianura di Avezzano, situata verso la parte orientale del monte Salviano, il Di Pietro sostiene che al tempi degli imperatori Claudio, Traiano ed Adriano, in questa zona fermarono la propria residenza per lungo tempo molti dei lavoratori addetti prima agli scavi e poi alle riparazioni ed al riattamento dell’emissario claudiano, per il quale le acque del lago Fucino dovevano essere immesse nel fiume Liri.
Sostiene altresì che, in conseguenza, dovettero essere costruite, in diversi punti di questa ridente pianura, non poche abitazioni per il ricovero degli schiavi, dei soldati necessari a mantenerli in obbedienza, dei tecnici, degli operai specializzati, degli assistenti, degli ingegneri e di quanti altri erano qui convenuti, quali fornitori, commercianti, rivenditori, etc.; infine che tali costruzioni, in seguito all’esito infelice di quell’opera veramente colossale, furono abbandonate dal Romani e vennero occupate da coloro che preferirono fissare la propria definitiva dimora nella zona, non esclusi i Marsi di altri villaggi e forse anche gli Albensi.
Non si può negare valore di verosimiglianza alle asserzioni del Di Pietro, il quale perviene a questa conclusione, coronandola con citazioni di documenti inoppugnabili, che però vanno riferiti ad un periodo di tempo, nel quale l’esistenza di Avezzano si ritiene del tutto scontata, e precisamente al ” tempi posteriori “, per usare una frase propria del Di Pietro, alla costruzione delle chiese in ciascuno dei villaggi indicati, ed in ogni modo sempre dopo il 313, anno in cui l’imperatore Costantino emise in Milano il famoso editto, col quale veniva riconosciuta la nuova religione cristiana. Infatti tali documenti sono gli atti, che registrano le visite pastorali compiute in dette chiese dal Vescovi dei Marsi, la bolla di Papa Pasquale II, la bolla di Papa Clemente III, etc. in cui si fa il nome delle chiese medesime.
Ad eccezione di quelle di San Nicola, di Santa Maria in Vico, di San Francesco e di San Bartolomeo, l’epoca della costruzione delle quali è ben nota, le altre chiese di Avezzano, citate nel documenti indicati, non si sa quando vennero erette: si può opinare fin dal IV secolo, e certo nei secoli immediatamente successivi, se si tien conto che il Cristianesimo penetrò e si diffuse in queste contrade dall’epoca di S. Pietro Apostolo, che, secondo la tradizione, vi evangelizzò e vi fondò la Diocesi, costituendovi quale primo Vescovo S. Marco, suo connazionale, che era già stato in Atina nei Volsci, di cui è Protettore.
I documenti quindi citati dal Di Pietro, mentre provano l’esistenza delle chiese sorte in ciascuno dei villaggi, che si raggrupparono in Avezzano, non possono provare l’antichità più o meno lontana dei villaggi stessi, che secondo le testimonianze di scrittori antichi esistevano numerosi e diffusi in tutta la regione sin dall’epoca più remota, giusta il costume dei popoli indigeni. Scrive infatti, fra gli altri, Silio Italico: Caetera in obscuro famae et sine nomine vulgi, sed numero castella valent… (5). Qualche altra considerazione di rilievo va fatta in ordine alla tesi del Di Pietro, valevole principalmente ad ammettere ed a spiegare una causa di notevole accrescimento di popolazione nel vichi o villaggi menzionati; la grande massa di uomini, addetti al lavori del prosciugamento claudiano, ammontava a 22.500 schiavi oltre a 7.500 lavoratori liberi, tra carpentieri muratori, fabbri, meccanici, sorveglianti, etc. per un periodo di undici anni (6). ” Quamvis continuis triginta hominum millibus, sine intermissione operantibus ” è la testimonianza di Svetonio (7), il quale dice inoltre che da tutte le prigioni d’Italia furono tratti fuori diciannovemila galeotti, destinati a combattere nella naumachia più spettacolare che la storia ricordi, divisi in due flotte rappresentanti la siciliana e la rodiota, e che tutta Roma accorse sulle rive del lago Fucino, per assistere al grandioso spettacolo ed alla inaugurazione dell’emissario.
Sicché una moltitudine di persone, ingente per quei tempi, che era convenuta nella zona di Avezzano e luoghi limitrofi, brulicava sulle pendici del Salviano, sui poggi, sul fianchi di ogni montagna, come in un immenso anfiteatro, quando si levò echeggiante dalla ciurma dei dannati a morte il celebre grido: “Ave, Caesar, morituri te salutant”. Poi il lago divenne rosso di sangue, e dalla strage inaugurale ben pochi uscirono salvi. Nessuno mai aveva visto tante navi, tanti combattenti. tanti spettatori. Or dunque rientra certamente nell’ordine del possibile, del verosimile, mentre non sembra facile dimostrarne il contrario, che di tutte quelle numerosissime migliaia di uomini siano rimaste poche centinaia ad abitare nel territorio di Avezzano, forse distinte in gruppi, a seconda dei loro particolari interessi, condizioni, abitudini, costumi; alcuni perché riusciti a svincolarsi da ogni triste passato, altri perché ormai abituati al clima, altri perché attratti dalla singolare bellezza dei luoghi e dalla fertilità del terreno, altri ancora dalla prospettiva di una attività redditizia, ed altri infine chissà da quale miraggio, offerto da una nuova vita nella libertà comunque conquistata.
Si deve tenere presente inoltre che dopo i lavori di Claudio, iniziati intorno al 41 e completati nel 52 dell’era volgare, ve ne furono altri di perfezionamento negli anni 114 e 115 da parte di Traiano, come si ebbe a rilevare da una lapide con iscrizione epigrafica, rinvenuta all’inizio del secolo XVII, precisamente intorno all’anno 1613, nella chiesa di San Bartolomeo di Avezzano, e che il Febonio, il Fabretti, e prima ancora il Camarra, illustrarono, avanti che andasse perduta; di essa si parlerà in seguito. Adriano poi, succeduto a Traiano, riprese i lavori di perfezionamento, che non poterono essere condotti a termine, ma che tuttavia permisero lo scolo delle acque per più secoli, tanto che il suo biografo Sparziano poté dire: “lacum Fucinum emisit” (8).
Secondo il Febonio (9) è incerto se l’origine di Avezzano debba risalire agli Albensi o ai Fucensi. A tale proposito l’illustre storico avezzanese dichiara testualmente: “utrumque enim non vaga demonstratione probatur”; e per il primo caso scrive che Avezzano sorse a circa duemila passi dalla città di Albe, in quel luogo dove esisteva il Collegio dei Fabri ed il tempio di Augusto, come informava la lapide (10), rinvenuta. Le lettere delle iscrizioni laterali COCO OPTIMO, incise con carattere dei primi tempi dell’Impero, fanno ritenere che il cippo originariamente era servito come insegna di qualche “taberna” locale, ed in epoca successiva venne usato per l’omaggio epigrafico al Dendroforo Marcio Fausto, le cui lettere appaiono del periodo della decadenza.
La buona conservazione delle iscrizioni laterali è dovuta alla protezione della spessa muratura antica, nella quale il cippo rimase incastrato fino al suo rinvenimento, mentre l’epigrafe, a contatto dell’aria, ha subito l’azione deleteria di tanti secoli. Si osserva inoltre che la chiarezza della lettera L esclude che possa leggersi Hapicius, invece di Halicius. Il Mommsen la riporta nel C. I. L. col n. 2938, corretta in alcuni punti, come si rileva a pagina 83 di questo libro. Attualmente è conservata nel Museo Civico di Avezzano.
Non si potrebbe giustificare l’esistenza di tale lapide in quel tempio, senza spiegarne la causa con la funzione svoltavi dal riporto Marcio: la presenza quindi dei dendrofori in quel tempio potrebbe significare che quel sacerdoti provenivano da Albe per l’esercizio del culto in seno ai primitivi abitanti del luogo, i quali pure di provenienza Sapesse, esigevano per la loro particolare educazione religiosa quelle funzioni rituali.
In quanto all’altro caso, continua il Febonio, essendosi i vaghi, sparsi per il plano presso la riva del Fascino, riuniti in un solo paese, si deve affermare coerentemente che la origine del paese medesimo risalga ai Facessi (ad Fucenses spectare non incongrue asseverandum). Tali víchi erano: Paga, Pantanum, Costa, Cerritum, Poscina, S. Folla, Avezzanum, Sciminum, Fons Gaglianum, Pensarono, Visione, Casole, Basata, Le Fratte, Arrium e Vicum. Il Consegnerai ricalca fedelmente quanto affermato dal Febonio circa i nomi dei villaggi, precisando: ” Appresso al medesimo sito, oggi di Avezzano, esistevano molti villaggi, appellati con vari nomi, i quali rimasero ai posteri ne’ titoli di alcune chiese antiche… “.
Il Di Pietro vi porta alcune variazioni, aggiungendovi ” Aquarla ” e ” Muscino “, togliendovi ” Avezzanum ” e ” Sciminum “, senza spiegarne le ragioni, e correggendo Paga in Pago, Fascino in Pessima, Casole in Casale, Perata in Parete. Il Paoluzi, come si è rilevato a pagina 29 segue il Di Pietro, ma apporta la variazione ” Musciano-Fonte “, e con intelligente interpretazione cambia decisamente in Avvio la denominazione di Arrio, la cui dizione doveva essere originariamente corrotta. Il Brani (11), a sua volta, li riduce al seguenti, indicandovi anche i nomi delle chiese che vi erano sorte, come già aveva scritto il Febonio (ut in culusque etici sito modo extant Ecclesiae) Castellucci o San Lorenzo, Cercato o San Leonardo, San Felice alla Grotta di Claudio, Viso o Santa Maria di Vico, Pessima o San Nicola, la Fonte o San Salvatore, Vicenna o Sant’Andrea, Generano o San Sebastiano, Pensarono o SS. Trinità, Unirlo o S. Simeone, Le Esatte o San Paolo, Casale o Santa Maria di Casa, San Calisto, Parato o Pereto.
Sempre nella stessa pagina il Brogi afferma che Avezzano nell’anno famoso, indicato da Leone Marsicano nel Chronicon, come gia si e ricordato, era un piccolo casale, corte o chiesa, come tanti altri, che successivamente sorsero nei suoi dintorni; però sull’argomento non spende nemmeno una parola, sostenitrice o almeno chiarificarcisi della sua asserzione troppo concisa ed aprioristica; aggiunge solo che di detti casali erano rimasti i nomi (non tutti del resto, si può osservare, perché alcuni sono completamente scomparsi da gran tempo, tanto che egli non li nomina nemmeno, come Pagus o Paga ed Avvium, né si riesce ormai ad individuare la località corrispondente) e che di alcuni esistevano ancora i ruderi della chiesetta.
Anche se gli storici marsicani non hanno distinto quali dei vaghi riportati siano sorti prima delle chiese e quali dopo, non sembra necessario procedere ora a tale distinzione, per fornire un maggior grado di veridicità alla versione del Febonio, dalla cui opera non si può fare a meno di attingere, quando si scrive di cose marsicane, sempre che non se ne travisino concetti o addirittura non se ne trascurino argomenti degni di rilievo e di sviluppo, come non di rado si è verificato. Ad ogni modo, è bene, una volta per tutte, riconoscere che se la Storia dei Marci non fosse stata scritta per prima dal nostro illustre concittadino, forse non avremmo avuto le altre posteriori secondo il severo giudizio di Federico Terra (12), nella cui opera storica intorno ai Marci la critica assume spesso la veste di mera stroncatone.
Si apprende ancora dal Febonio che i vaghi primitivi tenevano il loro mercato in Visione, dove confluivano tutte le vie aperte con le località circonvicine, e che dopo il loro raggruppamento in unico paese, sotto il nome di Avezzano, ” ai tempi degli avi ” anche nella stessa contrada, dinanzi alla Chiesa di S. Andrea, nel giorno di sabato, aveva luogo il mercato dei cereali e quello dei rivenditori di generi alimentari, e vi conveniva grande moltitudine di persone a vendere ed a comperare: esisteva al riguardo un diploma del re di Napoli, che l’autore aveva visto (Extat Regis diploma, quod vidimus) (13). Non si ha idea dove possa trovarsi tale diploma, e se esista ancora: esso, con tutta probabilità deve riferirsi ad alcuni secoli innanzi, al XIII o XIV, durante i quali gli ” avi ” provvidero, a mezzo di regio assenso, a perpetuare un servizio cittadino, che per tradizione si era sempre svolto in quel luogo. Del mercato tradizionale intanto si conserva il giorno del sabato, mentre la località, per tutte le esigenze del rinnovamento continuo, ha subito cambiamenti frequenti sin da epoca anteriore al terremoto del 1915. Si può ricordare infatti che il mercato dei cereali avveniva in piazza Castello, dinanzi alla chiesa di S. Giovanni, e quello delle frutta e verdure in piazza del Pantano, denominata ” San Bartolomeo “.
Quando quei villaggi di comune intesa decisero di riunirsi in un unico luogo, per provvedere ad una organizzazione amministrativa migliore e soprattutto. per assicurarsi una più efficiente difesa, scelsero quello che maggiormente rispondeva ai loro bisogni e che risultava il più importante per memorie storiche e per costruzioni antiche. Sempre secondo lo storico avezzanese, quel luogo era il Pantano, dove sorgeva un bel tempio, dedicato a Giano, molto frequentato per fede religiosa e per antichità. – Dal ruderi di quel tempio un colosso marmoreo dell’Imperatore Traiano (ex cuius ruderis Traiani Principis marmoreum colossum… nostrae fult aetati redditum) (14) venne fuori intorno al 1613, in occasione della ricostruzione del tempio stesso, già da secoli consacrato al culto cristiano, dedicato prima a S. Salvatore, poi a S. Antonio e infine a S. Bartolomeo Apostolo.
Non si ha notizia dove siano andati a finire poi il detto colosso marmoreo e la famosa iscrizione ” AVE JANE “, anche del medesimo tempio, dalla quale sarebbe derivato il nome della nostra città. Non si può sostenere, ancor oggi, come unica ed assoluta tale etimologia di Avezzano, perché studi e risultanze storiche posteriori hanno fornito dati più attendibili sull’argomento. Si è dell’avviso che non si sia voluto dimettere un abito, anche se logoro e fuori moda, prima di averne altri migliori a portata di mano, non diversamente dal modello cartesiano a proposito della morale provvisoria: chi è in attesa di una abitazione definitiva, si contenti di quella che possiede per il momento. Casi sembra essere avvenuto negli storici locali, i quali si sono accontentati di quello che possedevano, senza avere desiderio di altro.
Non v’è dubbio, ad esempio, che nella storia romana si rinvengano luoghi, e non soltanto di fonte diviene, che lasciano tuttora dubbiosi e perplessi; nondimeno la successione gloriosa degli avvenimenti attraverso i secoli non si è mai turbata per l’insorgere di opinioni avverse, ed il potere ascensionale ed il prestigio di Roma, sin dalle prime imprese, hanno creato la coscienza della funzione civile e morale dell’Urbe nel mondo. Nuovi convincimento e versioni contrastanti dei fatti non possono valere quindi a mutare il volto della storia, né a sminuire l’importanza essenziale di una città o di un popolo con l’accogliere, senza il conforto di solide prove, le condizioni contrarie di una realtà storica, ormai acquisita per atti scritti e per rinvenimenti archeologia, validi e fondamentali, e per tradizione universalmente riconosciuta. Si richiede la severità di studi profondi ed indagini rigorose, coronati dal successo di scoperte o ritrovamento in ogni campo dell’attività umana trascorsa, l’entità dei quali non dia luogo ad alcuna incertezza, per eliminare o ridurre l’importanza di una fonte storica, dalla quale tutti hanno largamente attinto senza esplicite riserve.
La Historia Marsorum del Febonio pertanto fu ritenuta sempre una delle fonti più autentiche ed originarie per la storia antica della Marsica, perché in essa l’illustre Prelato avezzanese ha saputo riunire quasi tutte le notizie storiche scritte dai classici latini sulla nostra regione e sul nostro popolo: Livio, Tacito, Plinio, Silio Italico, Sbranane, Dionigi ed altri ancora trovano nella mirabile capacità di sintesi del Febonio la più accorta accoglienza ed il più saggio e diligente uso. Fu definita ” historiam diligentia insieme conservatore ” dal Burnam (15); ” opera curiosa ed esatta ” dal Menckenio (16); ” pienissima Storia dei Marsi ” dal Soria (17), senza tener conto dei giudizi positivi da parte del Corsignani (18) e di altri storici insigni.
Tanto favore tuttavia non serve a spegnere l’intenzione, per quanto riguardosa, diretta ad osservare che l’opera del Febonio risulta incompleta, dal medioevo al tempi suoi, tenendo comunque presente che l’autore per la lingua classica usata e la vigoria del suo stile va annoverato con certezza fra gli uomini più dotti del suo tempo. Il Terra (19), oltre al merito di aver saputo trattare la storia antica dei Marci, gli riconosce ” quella ragione sufficiente istorica della origine di alcuni dei nostri paesi sul quale proposito spesso tocca al vero ed al preciso “. E’ questo uno dei motivi, tutt’altro che trascurabile, per ritenere molto vicina alla verità la versione che il Febonio fornisce circa l’origine di Avezzano dal raggruppamento dei villaggi primitivi, sparsi per il piano intorno alla riva ovest del Fascino. Il soffermarsi sulla testimonianza dell’opera del Febonio, specie riguardo al periodo antico della nostra storia, viene giustificato e garantito dall’autorità dell’opera medesima, la quale senza alcun dubbio può vantare, al di sopra di ogni altro suo merito, proprio quello derivante dalla trattazione ampia e sicura del periodo antico, sorretta dall’ausilio sapientemente raccolto dei classici, periodo al quale si fanno risalire le origini della nostra città.
Giovanni Pagani
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