Nell’estate del 1943 in Italia si ebbe una svolta politica decisiva che fece precipitare gli eventi, portò grandi sconvolgimenti e nello stesso tempo apri la strada verso la liberazione dal Fascismo. In quel periodo l’Abruzzo venne coinvolto in fatti storici importanti ormai noti. Destituito Mussolini, il Maresciallo Badoglio ebbe l’incarico dal Re di formare il nuovo Governo. In grande segretezza il 28 agosto lo stesso Mussolini venne trasferito e segregato nell’albergo di Campo Imperatore. Ma con la caduta del Governo fascista i tedeschi considerarono rotta l’alleanza per cui invasero l’Italia con le loro divisioni e, per contrastare l’avanzata degli alleati già sbarcati in Sicilia, decisero di costruire delle opere di difesa e delle fortificazioni proprio in Abruzzo: la cosiddetta “Linea Gustav”. Una lunga linea di difesa che andava dall’Adriatico al Tirreno, attestata lungo il fiume Sangro passava per il Molise e proseguiva fino a Cassino.
Il feldmaresciallo Kesselring che comandava l’esercito tedesco, aveva posto il suo quartier generale a Massa d’Albe, mentre il comando delle forze alleate era affidato al generale Clark sul Tirreno e al generale Montgomery sull’Adriatico. I tedeschi intendevano opporre una grande resistenza approfittando anche della morfologia del terreno, per lo più montagnoso, che volgeva a loro favore. E cosi fu. L’Abruzzo dal settembre 1943 al giugno 1944 dovette sopportare l’occupazione, i bombardamenti, le battaglie, i rastrellamenti e le deportazioni; fatti a cui, spesso, non è stata data la giusta rilevanza. Proprio lo scorso anno si è voluto rendere giustizia a questa “mancanza” e, in un programma televisivo in tre puntate, la Rai ha presentato questo pezzo di storia dal significativo titolo “La guerra dimenticata”, con bellissimi filmati inediti ed interviste ai protagonisti, sia italiani che stranieri. Finalmente è stato ricordato il tributo di sangue e di uomini che l’Abruzzo ha pagato all’ultimo conflitto. Intanto il Governo Badoglio, dopo vari contatti con gli alleati, riesce ad ottenere un armistizio: era il fatidico 8 settembre 1943. Quello che accadde subito dopo non è difficile immaginarlo e molte persone ne pagarono le conseguenze sulla propria pelle.
I tedeschi, ovviamente, misero in atto tremende ritorsioni, disarmarono i nostri soldati i quali, allo sbando più completo, vennero catturati e deportati; qualcuno riuscì a fuggire e ad aggregarsi alle formazioni partigiane. Il Re in questa caotica situazione decise di lasciare Roma, si imbarcò ad Ortona a Mare e si rifugià provvisoriamente a Brindisi. Gaetano Giocondi, giovane soldato, era di servizio in una caserma di Salerno quando venne travolto, suo malgrado, da questi eventi. Insieme a gran parte dei suoi commilitoni venne fatto prigioniero e tradotto in un lager in Germania. Qui riuscì a sopravvivere fra gli stenti, la fame e le malattie per ben due anni, giusto in tempo per essere liberato dagli alleati. Gaetano ebbe cosi la soddisfazione di rivedere il suo paese natio ed i suoi familiari; ma con il fisico terribilmente minato, nonostante tutte le cure che si potevano praticare all’epoca, non ce la fece e si spense qualche anno dopo la fine della guerra. Nell’autunno del 1943 un battaglione di soldati tedeschi “occupò” San Sebastiano sistemandosi nell’edificio scolastico e in molte case private.
Gli “occupanti” erano 52 in tutto, tanti per un paese cosi piccolo. Erano addetti alla sussistenza, cioè al rifornimento di viveri e munizioni. Retrovie, quindi, a distanza strategica dal fronte per poter tenere i contatti con le truppe; ogni giorno si vedevano partire camion e mezzi blindati verso Alfedena e Barrea. Tutto il materiale era accuratamente nascosto e sorvegliato nella scuola e negli autocarri telonati. A detta dei paesani, quei soldati in gran parte austriaci, per la verità si comportarono abbastanza bene con la popolazione, riuscendo, in particolari circostanze, anche a fraternizzare. Ci tenevano a far vedere le foto dei loro bambini, segno evidente che intendevano far capire che anche loro soffrivano per la lontananza delle persone care e che magari si trovavano li loro malgrado.
Spesso portavano della cioccolata o altro alla famiglia “ospitante”, soprattutto se c’erano dei piccoli. Non ci furono maltrattamenti; il sergente maggiore Tieler, un uomo dai modi rudi, tipici dei fanatici nazisti, ogni mattina all’alzabandiera minacciava i propri soldati e diceva loro di non voler problemi con la popolazione locale e che se uno di loro si fosse permesso di dare fastidio a qualche ragazza, sarebbe stato… “kaputt” ! Per i ragazzi di San Sebastiano l’arrivo dei tedeschi fu considerato un vero evento e, se da una parte li temevano e li odiavano, dall’altra erano attratti da questa novità, cosa comprensibile visto che in paese non succedeva mai nulla. Erano eccitati nel vedere quelle divise fiammanti, gli automezzi e quei cavalloni ungheresi dai grandi zoccoli.
Dopo un primo periodo di diffidenza incominciarono a prendere contatti con i militari che assegnarono loro dei compiti ben precisi ai quali, comunque, non ci si poteva sottrarre. Cosi, ad orario preciso, Amerigo, Luciano, Ugo, Pietro, Nunzio ed altri, dovevano prendere i cavalli e portarli all’abbeverata, parte alla Fonte e parte a Santa Lucia. Poi bisognava passare brusca e striglia con meticolosità tedesca, sotto l’occhio vigile dello stalliere Fritz. Alcuni di loro dovevano aiutare in cucina e ciò procurava un certo piacere perchè era l’occasione per “arrangiare” qualcosa da mettere sotto i denti. Alle volte si chiedeva al militare di turno di poter portare un po’ di zucchero a casa e quando la cosa veniva concessa i ragazzi se ne riempivano le tasche. Riuscivano anche a farsi capire perchè Amerigo era stato a lavorare per qualche tempo a Roma in un albergo dove era alloggiato il comando tedesco. Ma non bisogna confondere questi gesti di disponibilità con debolezza o confidenza da parte loro, erano pur sempre forze di occupazione e, quando era necessario, si facevano rispettare anche con la forza.
Lo ricordano bene gli uomini del paese quando, durante quell’inverno particolarmente rigido e nevoso, erano costretti a presentarsi tutte le mattine presto con le pale a liberare la strada dalla neve per consentire il passaggio dei mezzi diretti al fronte. Non era possibile disertare l’appuntamento neanche se si aveva la febbre. Anche i “ragazzi” non potevano scherzare troppo. Luciano si era innamorato di una catenella, una di quelle che servivano per legare i teloni dei camion; la voleva attaccare al collare del suo cane. Un giorno ebbe un colpo di fortuna, ne trovò una spezzata sotto un automezzo e chiese al soldato Fritz di poterla prendere.
Avuto il consenso, la legò al collare del cane e, con aria felice, andò a farsi un giro per l’aia. In quel momento si trovò a passare proprio il sergente Tieler il quale, riconosciuta la catena, fermò immediatamente il ragazzo, lo prese per il bavero e con estrema determinazione lo portò nello scantinato della scuola, lo fece salire su di una cassa di munizioni e gli passò una corda al collo con il chiaro intento di volerlo impiccare. Le urla dei due attirarono l’attenzione dei vicini i quali, visto come si metteva la cosa, pensarono bene di avvertire il soldato Fritz e questi, a fatica, riuscì a far desistere il sergente dal suo intento. Forse il gesto di Tieler voleva essere solo dimostrativo, certamente sorti i suoi effetti perchè in paese aumentò la paura. Intanto proseguivano le operazioni belliche; gli alleati per interrompere i collegamenti ferroviari già avevano bombardato le stazioni di Sulmona e di Pescara. Nacquero i primi movimenti di Resistenza.
Ad Avezzano i partigiani riuscirono a liberare duemila prigionieri di varie nazionalità che erano rinchiusi nel campo di concentramento e questi si dispersero per tutta la Marsica in cerca di rifugi, con la speranza di poter attraversare le linee del fronte. Qualcuno arrivò anche a San Sebastiano. I “ragazzi” si misero subito in azione e, a turno, nottetempo portavano da mangiare al nascondiglio segreto. Il punto di riferimento era la casa di Angelo Berardini, l’ultima del paese situata vicino al bosco; cosi Angelo, al calar delle tenebre, tentava una sortita per avviare il soldato verso la montagna in direzione del fronte. Aveva un prigioniero inglese sopra la soffitta quando una pattuglia tedesca, informata non si sa da chi, venne ad arrestarlo di notte. Dovevano dare un esempio, perciò il giorno successivo portarono Angelo e il prigioniero verso Campomizzo per fucilarli.
Raccontano in paese che Angelo fu visto tornare furtivamente a San Sebastiano, e si nascose in casa per diversi giorni. Dell’inglese non si seppe più nulla. Angelo non volle mai parlare con nessuno di quanto era successo. Evidentemente per mantenere fede alla promessa fatta ai soldati tedeschi che lo avevano graziato. Gli abitanti di San Sebastiano dovettero ospitare anche parecchi sfollati provenienti dai paesi vicini al fronte, da Barrea, Villetta e, soprattutto, Civitella Alfedena. Questo rendeva la situazione sempre più difficile perchè tante erano le bocche da sfamare. I “ragazzi” di San Sebastiano, sempre più nervosi, cominciarono a rubare le scatolette di viveri dai camion, andandole a consumare di notte in campagna; poi sotterravano i resti per non lasciare tracce. Nella primavera del 1944, finalmente gli alleati riuscirono a sfondare la “Linea Gustav” sul Sangro, mentre grossi problemi si presentavano ancora verso il Tirreno dove i tedeschi opponevano una grande resistenza grazie soprattutto alle eccezionali fortificazioni sistemate a Montecassino.
E proprio a causa di ciò gli alleati si videro “costretti” a bombardare il famoso monastero nella convinzione, poi dimostratasi errata, di distruggere il comando tedesco. Nel giugno del 1944 anche i soldati tedeschi di San Sebastiano diventavano sempre più nervosi, se ne accorgevano anche i ragazzi verso i quali i soldati si dimostravano più ostili. Correvano voci di rastrellamenti di giovani che venivano inviati in Germania, cosi una sera i “nostri” decisero di andare a dormire fuori paese, in una grotta sotto il Balzo. Il mattino seguente vennero svegliati da un primo grande scoppio verso Campomizzo, poi da un altro vicino a Bisegna e, infine, un enorme bagliore li investi seguito dall’ultimo scoppio proveniente proprio da San Sebastiano. Non ci volle molto a capire quello che era successo. I tedeschi in fuga avevano fatto saltare il ponte di Campomizzo, poi delle rocce vicino Bisegna ed infine l’enorme grotta dove ora c’è la casa di Amata Grassi.
I massi della grotta ostruirono la strada e precipitarono verso la Fonte; vicino l’officina di “don” Tito venne abbattuto un palo che, cadendo su di essa, ne sfondà il tetto. Fortunatamente non ci furono vittime nè danni rilevanti alle abitazioni. Resistette anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie situata nelle vicinanze e qualcuno gridà al miracolo.
Ma forse un miracolo c’era stato davvero: San Sebastiano si era finalmente liberato dei tedeschi. Questa vicenda, purtroppo, ebbe un triste epilogo. Quando tutto sembrava passato e la vita aveva ripreso il suo corso, durante la ricostruzione del ponte di Campomizzo avvenuta due anni dopo, il 26 marzo del 1946, una mina anticarro fece saltare in aria gli operai addetti ai lavori, così altri sette nomi andarono ad aggiungersi all’elenco dei Caduti della seconda guerra mondiale: Amedeo Caranfa, Giuliano Caranfa, Antonio Checcacci, Colonio D’Anselmi, Franco De Dominicis, Michele Di Felice, Mario Di Mattia, Nunzio Di Pietro, Gaetano Giocondi, Filippo Grassi, Antonio Sforza, Pasquale Ubertini.
Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )
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