Con l’estendersi della contea di Albe, la città di Avezzano che ne era il capoluogo vero e proprio, veniva conseguentemente assumendo importanza sempre maggiore. Sin dallo scorcio del secolo XIII la residenza di tutti gli uffici della corte baronale, il continuo incremento della popolazione, il crescente sviluppo edilizio, l’intensificarsi dei traffici commerciali con i centri più importanti della marsica e delle altre regioni limitrofe, le migliorate condizioni economiche avevano condotto i cittadini di Avezzano nel sec. XIV ad uno stato di civile consapevolezza dei propri diritti da dimostrare ormai palesemente e senza timore il loro ardente anelito alla libertà, malgrado il dispotico potere del sistema feudale vigente. In virtù di tale unanime volere, che rispecchiava una cittadinanza gia economicamente progredita e corrispondeva al bisogno, che si avvertiva, di avere un ordinamento giuridico, onde regolare tutte le azioni della vita cittadina, gli Avezzanesi riuscirono a conseguire tutto ciò che era possibile in quel tempi, sciogliendosi da ogni
servile pistoia, organizzandosi in Università, che corrispondeva al Comune, conquistando così il diritto ad una amministrazione propria indipendente, contraddicevate dallo ” ius civitatis ” e garantita contro gli arbitri della curia baronale, anche se la garanzia veniva limitata dal potere della curia stessa.
Fu comunque una grande conquista del popolo, perché in ogni caso l’Universitas fu posta nella condizione di poter ricorrere, come realmente fece al tempo del ducato di Marco Antonio Colonna, intentando una causa avverso la ” curia domini ” per una questione relativa alla vendita del pesce, che interessava i cittadini Pietro Buzzetti, Giovanni Antonio Pacchioní e Sante latosti, i quali esibirono nella udienza del 3 giugno 1563 della corte ducale di Paliano lo statuto della città, invocando le norme ivi contenute, che riguardavano l’oggetto della controversia giudiziaria. Si senti dunque l’esigenza di dare una certa norma alla attività di affari in ogni campo, la quale non poteva ulteriormente essere contenuta nell’ambito ristretto della legislazione barbarica e delle consuetudini, che ormai non tenevano adeguato conto della realtà dei tempi nuovi.
Gli statuti medioevali, in genere, hanno precedenti assai remoti, e anche quando non si volesse risalire alle ” leges municipales” dell’antichità, ad essi possono, essere avvicinate le ” fabulae “, che l’editto longobardo ritiene essere state praticate come facoltà di regolare, secondo il proprio giudizio, determinati rapporti di interesse comune. Del resto, si deve ricordare che, sin dal tempo di Autari, si attese ad assegnare un goverrio più proprio e stabile alle città ed al villaggi, ed ebbe inizio lo sviluppo di quella forma di municipio longobardo, il cui germe, di natura romana, era sempre vivo, per quanto latente, in qualche congrega di ecclesiastici, dai quali passò per loro merito nell’animo del popolo (1).
Nel sistema medioevale degli statuti, quello delle città prevalse su tutte le altre forme, castrense, vicinale, corporativo, etc., e fu il più interessante. Prima della pace di Costanza, stipulata tra-Federico I ed i Comuni dell’italia Settentrionale, precisamente lombardi, nell’anno 1183, trasmesse nei comuni cittadini le ” regalie ” soltanto per privilegio, e dopo la detta pace generalmente acquisite, lo ” lus statuendi ” si ampliò e si intensificò, cosicché lo ” statutum ” acquistò valore di legge, facendo derivare dal diritto, che ha ogni organizzazione o ente alla propria difesa ed alla propria conservazione. Di solito erigono considerati elementi costitutivi degli statuti quelli che si considerano come elementi del diritto italiano, e cioè diritto romano, diritto germanico, diritto ecclesiastico e diritto volgare. Ma tra detti elementi si ponevano le consuetudini ed i brevi: quando lo statuto aveva come fine essenziale la difesa del diritto locale, si intendeva facilmente che esso accoglieva anche le redazioni scritte delle consuetudini, le quali, munite di formula statutaria, mutavano il fondamento della loro validità, divenendo leggi.
Per la genesi dello statuto ebbero una maggiore importanza i brevi, che erano la formulazione scritta delle ” promissiones ” e dei ” giuramenti “, che contenevano gli impegni assunti dal magistrati di fronte al popolo e del popolo di fronte ai magistrati; sicché risultavano molto importanti principalmente i brevi riferentisi alle magistrature direttive del Comune. Sovente i brevi fornirono materia allo statuto, fissando la norma senza dare particolare rilievo al dovere sorgente da essa in chi la doveva applicare. Anche altri elementi andarono a confluire nello statuto, per esempio i privilegi concessi al Comune da altre autorità superiori, come imperatori, re, duchi, marchesi, conti, le ” franchigie ” (chartae libertatis, etc.) o ” trattati ” conclusi con altri Comuni o Stati (securitates, pacta), le convenzioni interne tra le diverse fazioni o gruppi politici etc.
Nel Comune gli statuti furono attuati da quegli organi, che intendevano formulare la volontà di tutto il popolo: in origine dall’Arengo, poi dal Consiglio Maggiore stesso, e dai Consigli o dalle Commissioni investiti per la delega dei detti organi. Col tempo la preparazione e la revisione degli statuti vennero affidate di preferenza ad apposite commissioni di statuari Capitularlii Emendatarii, tra cui l’elemento tecnico venne insinuandosi in proporzioni sempre maggiori: nel Comune dipendente, come nell’Università di Avezzano, lo statuto fu immancabilmente sottoposto all’approvazione dell’autorità superiore, con la facoltà di correggere, aggiungere o sopprimere voci e norme.
Col trascorrere dei secoli, divenendo più attiva la legislazione centrale, gli statuti vennero riducendosi, ad ordinamenti di polizia, e prima ancora che la rivoluzione francese realizzasse la codificazione, l’unificazione legislativa in rapporto al diritto civile ed alle procedure era già progredita.
Con l’estensione poi delle leggi francesi, molti, statuti cessarono di avere efficacia, e qualcuno che la recuperò in seguito alla restaurazione, specialmente in Piemonte fu eliminato dalla più recente codificazione, perché l’autonomía comunale non aveva più ragion d’essere, se non entro limiti ristretti. Nei periodi della rivoluzione francese, napoleonico e della restaurazione si perdettero migliaia di statuti, ma un certo numero è riuscito a salvarsi principalmente in Italia, che ha potuto così conservare memorie preziose del passato di molte città, fra le quali può annoverarsi Avezzano.
Questo breve excursus sulla genesi e sullo svolgimento degli statuti in genere va inteso e deve valere come semplice motivo, diretto ad illuminare l’esposizione della storia dello statuto di Avezzano, l’origine e la natura del quale possono essere meglio chiarite e comprese, se proiettate per confronto nel grande quadro dei tempi, le cui mutate condizioni permettevano la vita organizzata nelle libertà comunali, in gran parte d’Europa ed in Italia particolarmente, regolata da norme sorte dalla volontà e dal diritto del popolo.
Si deve innanzi tutto tenere presente che lo statuto di Avezzano aveva carattere essenzialmente amministrativo, rispondendo ai bisogni locali dell’Universitas; le sue norme riguardavano la polizia urbana e rurale, l’igiene, l’edilizia e le attribuzioni di un giudice, e comminavano contro i trasgressori multe varie e gravi, il cui importo andava parte alla curia baronale e parte al popolo.
Significativa in modo speciale appare la conquista del popolo avezzanese, che, nel riconoscimento del diritto ad una parte dell’importo della multa riscossa, aveva raggiunto un grado di dignità vicina e non inferiore a quella del signorie era definitivamente scomparso il servo della gleba e le franchigie e le immunità popolari costituivano ormai una realtà acquisita e non più sopprimibile, essendo penetrate nel dominio della società umana ed avendo scosso l’antico giogo feudale con l’eliminazione di molti privilegi primitivi e di molti diritti baronali. Lo statuto dell’Universitas di Avezzano è di un certo valore specialmente locale, perché ricorda gli usi, i costumi, le tradizioni e le consuetudini, che senza dubbio furono parte integrante delle sue fonti, sollecitandone la redazione, e ricorda altresì luoghi, contrade, voci e parole dell’antico paese. Si distingue, anche sotto questo aspetto, dagli statuti dei grandi Comuni, che costituivano uno Stato con ogni sovrana prerogativa: ma da essi attinse soprattutto le ardenti aspirazioni alla libertà ed alla indipendenza, che il popolo non mancò di dimostrare al momento giusto, come nella lotta contro gli Orsini prepotenti.
Nell’archivio comunale di Avezzano, anteriormente al terremoto del 1915 era conservato il suo originale in pergamena, andato smarrito: ma per buona fortuna l’illustre storico avezzanese Tommaso Brogi, avendolo trascritto e tradotto dal latino in italiano ed illustrato, ne fece una chiara pubblicazione, di cui esistono esemplari presso il Comune di Avezzano e presso varie biblioteche private e pubbliche, compresa quella locale (2). Purtroppo l’originale era privo dell’intestazione e di qualche altra pagina all’inizio, perdute attraverso gli anni, sicché non e stato possibile conoscere la data precisa della sua concessione: soltanto la scrittura ha potuto fornire la prova dell’epoca della redazione, che doveva risalire alla seconda metà del secolo XIV. Altri articoli vi si -aggiunsero in tempo posteriore, come risultava dalla grafia differente, ed inoltre era facile rilevare che alcune norme erano abrase, e sopra vi erano state scritte delle nuove. La pergamena altresì appariva in più punti del tutto corrosa dal tempo e nei capitoli 50, 52, 103, 123 erano rimaste soltanto nove o dieci parole, che né il Brogi né altri prima e dopo di lui avevano potuto decifrare, e nei capitoli 1, 2 e 15 cinque vocaboli si presentavano di significato ignoto, perciò nella traduzione sono riportate nella loro originaria stesura (3).
Il Brogi pose somma cura nel trascrivere il testo con fedeltà assoluta, nulla tralasciando o modificando, sicché non poche imperfezioni ed errori vi si potevano notare; nondimeno la traduzione da lui fatta è riuscita corretta e limpida nella forma e nel contenuto. Prima del Brogi, la trascrizione dello statuto fu eseguita, nell’anno 1880, da Girolamo Amati, che il Brogi stesso qualifica “valente letterato”; risulta però che ad essa mancò il pregio di uno studio serio, tanto che l’eccellente Brogi dovette apportarvi varianti ed aggiunte di ben cinquecento vocaboli. Seguendo le note del nostro illustre storico si può rilevare che lo statuto di Avezzano era distinto in titoli e captoli: sotto il termine di titoli vanno comprese le intestazioni delle varie materie trattate, e di capitoli le ordinanze e le disposizioni, secondo quanto indicano il testo e le conferme dei diversi rappresentanti del signore: diciassette sono i titoli e cinquanta i capitoli, oltre i quattro aggiunti in tempo posteriore, distribuiti senza un ordine rigoroso di materia. I magistrati civici, costituiti nell’università e nominati nello statuto, risultano i seguenti nell’ordine di autorità i Massari, i Baiuli i Giurati, i Confidenti, i Catapani; vi era anche un Giudice con funzioni particolari i massari, da massarius usato nella bassa latinità con il significato di administrator, dispensator, erano gli amministratori veri e propri dell’Universitas e ne rappresentavano l’ufficio più alto.
Lo statuto non dice da chi erano eletti, ma si ritiene per certo che dovevano essere eletti dai cittadini, dato il diritto loro riconosciuto di costituirsi in ente pubblico, e venivano confermati dalla curia, come le cariche di giudice e di baiulo. Essi godevano di tanta autorità, che a volte si dava loro il titolo di “nobili” e di “magnifici”. Era loro compito eleggere i baiuli e gli altri minori funzionari, cioè i giurati, i confidenti, i catapanì; emettevano le ordinanze, provvedevano alla loro esecuzione, ed avevano la tutela dei diritti del popolo. Fra le attribuzioni dei massari vi era anche quella di avvertire e rimediare ad inconvenienti ed abusi.
I baiuli dal latino baiulus, che significa portatore, in tal senso usato da Dante (4), e che venne trasformato anche in bailo e balio col significato di governatore o amministratore – erano scelti dai massari fra gli uomini probi ed onesti del paese e venivano confermati dalla Curia: essi avevano l’incarico di far eseguire le ordinanze dello statuto e di esigere le multe. Erano coadiuvati all’occorrenza dai giurati e dai confidenti. I giurati . erano persone incaricate dell’esecuzione degli ordini del Comune, come oggi i messi comunali: dal giuramento, che dovevano prestare, di adempiere bene la funzione affidata, era derivata la loro denominazione.
Nel medioevo ogni ente aveva giurati, incaricati della vigìlanza del rispetto di statuti e privilegi. I giurati dell’Universitas di Avezzano avevano le stesse funzioni; erano scelti dal massari e dovevano prestare giuramento nelle mani del signore. I confidenti avevano l’ufficio di cooperare ed aiutare con ì loro rapporti i baiuli ed i giurati. I catapani da catapanus, catepanus o capitaneus – presso i Bizantini erano i prefetti di una provincia o di una città; ma nel regno napoletano erano così chiamati gli impiegati dell’annona e dei pesi e misure, come precisamente presso l’Universitas di Avezzano. Il giudice era dignità giudiziaria aveva la durata di un anno, perciò era detto ” iudex annalis “. Era eletto dal popolo e la sua elezione veniva approvata dalla curia; custodiva i tipi delle misure di confronto, ne rilasciava esemplari, contrassegnandoli con la marca approvata, esaminava ed autenticava contratti. Forse aveva anche una giurisdizione volontaria e contenziosa in materia civile soltanto e di competenza inferiore, come quella dei Conciliatori attuali, mentre la giurisdizione penale risiedeva esclusivamente presso la curia domini, di cui era considerata una prerogativa fondamentale.
Come si è visto i massari ed i giudici venivano eletti dal popolo; erano quindi le cariche più elevate e più importanti dell’Universitas, mentre gli altri funzionari venivano scelti dal massari. Tutte le elezioni erano soggette all’approvazione della curia baronale, presso la quale i giurati dovevano prestare giuramento. In Avezzano la curia domini, o come si era soliti dire-curia baronis, denominata volgarmente la corte, era il tribunale di giustizia, che il signore o barone esercitava nel feudo. Per quanto riguarda lo statuto, la curia aveva il diritto di approvarlo e l’obbligo di osservarlo e farlo osservare, di applicare le pene corporali e di percepire parte delle multe. In calce allo statuto figuravano tutte le conferme, in numero di quarantasette, che visconti, luogotenenti, capitani e governatori o commissari fecero nel prendere possesso della contea: sono di grande interesse storico, per il sicuro contributo da esse fornito sulla conoscenza dei fatti, che per un certo periodo di tempo si verificarono in ordine all’amministrazione dei rappresentanti del signore e della loro successione nel contado di Albe nonché in quello di Tagliacozzo; ed inoltre sgombrano di ogni incertezza il terreno della ricerca, riaffermano la validità di notizie già note, e ne rivelano altre insospettate, chiarendo punti confusi o non del tutto precisati.
Sulla pergamena dello statuto tali conferme non risultavano scritte secondo l’ordine cronologico, relativo alla suddetta successione, come sarebbe naturale attendersi, ma senza alcun riguardo al tempo e col semplice intento di riempire lo spazio vuoto più comodo e più adatto. Tre conferme erano sprovviste di qualsiasi indicazione circa la data, ma certamente dovevano essere le prime, come dimostrava con chiarezza la maniera più antica delle grafie variamente usate in ciascuna conferma: erano firmate una da Giovanni Montegranari, visconte della contea di Albe, un’altra da De Pisis e un’altra ancora da Greco-Cuto, governatori della terra di Avezzano, le cui funzioni senza dubbio dovevano riferirsi, secondo l’attendibile giudizio del Brogi (5), al periodo compreso entro gli anni 1309 e 1414, durante i quali la contea era tenuta dal demanio regio o dalla casa reale dei d’Angiò. Non poteva risultare sulla pergamena originale dello statuto la conferma dei Colonna, i quali erano stati investiti della contea di Albe dalla regina Giovanna Il per la politica di amicizia col papa Martino V della detta famiglia, perché le molteplici tristi vicende della guerra dinastica vi frapposero sempre involontario ed occasionale impedimento.
A causa di detta guerra poi il contado di Albe, dopo la morte di Giovanna, come è stato già detto, fu concesso dalla regina Isabella al condottiero Giacomo Caldora, a nome del quale, la conferma venne fatta nell’anno 1437 da Antonuccio da Albe, quale commissario generale per tutti i possedimenti del Caldora stesso. La quinta conferma porta la data del 1441 e fu sottoscritta dal notaio Giovanni da Scurcola, che si qualificò governatore della terra di Avezzano per conto di Giovanni Antonio Orsini, conte di Albe e di Tagliacozzo, il quale mantenne l’investitura fino alla sua morte, avvenuta nel 1456. Non avendo lasciato figli maschi, il re Alfonso nelle suddette contee nominò quale commissario regio, Francesco Pagani, in rappresentanza del quale in data 26 marzo 1458 Giacomo Petri di Veroli provvide a redigere la conferma dello statuto dell’Universitas di Avezzano, qualificandosi ” Luogotenente del magnifico signore Francesco Pagani, regio commissario (6).
Sull’originale dello statuto furono scritte varie altre conferme, che giunsero fino all’anno 1568; anche da tali atti si è potuto dedurre che le due contee di Albe e di Tagliacozzo erano state riunite in un solo dominio di pertinenza ora degli Orsini ed ora dei Colonna, subendone le alterne vicende non sempre pacifiche. L’ultima conferma quindi fu del suddetto anno 1568: questo fatto dimostra in maniera evidente che gli amministratori dell’Universitas di Avezzano, non ravvisandone alcuna urgenza, si astennero dal sollecitare il signore a dichiarare la sua approvazione dello statuto cittadino. In verità i tempi erano mutati ancora in meglio per il popolo, che non avvertiva più alcuna preoccupazione circa la sorte delle franchigie, divenute ormai intangibili, di sicura conquista, ed alle quali anzi erano state aggiunte delle nuove in rispondenza alle condizioni favorevoli, che venivano sorgendo. Inoltre in Avezzano ed in Tagliacozzo erano riusciti a stabilire il loro potere, consolidandolo definitivamente, i principi Colonna, bene accetti a tutti per lo spirito di libertà, che animava ogni loro azione nel governo del popolo, verso il quale, diversamente da ogni altro dominatore, avevano sempre mostrato spontanea e naturale magnanimità e comprensione dei bisogni.
Giovanni Pagani
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