Quando Giovanni Antonio Orsini, persona diversa dal suo omonimo principe di Taranto, divenne nel 1441 signore di Avezzano, quindi conte di Albe, come risulta dalla conferma dello statuto fatta a suo nome dal notalo Giovanni da Scurcola, la contea di Tagliacozzo era già in suo possesso: sicché per la prima volta i due contadi furono riuniti nel potere di un solo principe, assumendo il titolo di ducato di Tagliacozzo o o dei Marsi, che si mantenne per lungo tempo. Si era verso il periodo della guerra dinastica, e Giovanni Antonio Orsini, barone assai superbo e tirannico, schierato dalla parte di Renato, ebbe compagno in questa impresa il cardinale di Taranto, Giovanni De Ponte della famiglia marsa già feudataria di Tagliacozzo al tempo degli Svevi, ed insieme penetrarono nella Marsica con diccimila uomini, ed occupata la contea di Albe, conquistarono Trasacco, incendiando varie case ed altri beni della chiesa di San Cesidio (1).
La violenta conquista della contea fece sorgere nell’animo dei Colonna, già investiti del feudo da Giovanna II, il fermo proposito di, riconquistare questa terra, appena le circostanze si fossero presentate propizie, tanto più che Capistrello era in loro saldo potere: donde le lotte che ne seguirono con accanimento. Intanto la guerra dinastica era per il momento cessata, e con la investitura concessagli dal papa, il re Alfonso aveva conseguito la consacrazione solenne della sua vittoria. Rimaneva tuttavia aperto dalla detta guerra il solco di rovine, fra le quali non trascurabile il disordine politico, economico ed amministrativo dei vari feudi, intorno al possesso dei quali erano sorte fra i sudditi molteplici liti; per la qual cosa Alfonso, con un editto generale, emanato il 2 ottobre 1443 dal campo di Corfinio, ordinò che i baroni non venissero turbati nei loro possessi e che fossero lasciati come si trovavano, che i giudici non accettassero a tal proposito commissioni di cause senza consultare il Re, né procedesse a giudizi senza essere da lui autorizzati. Successivamente con altra legge del 1446 chiari ed ampliò le precedenti disposizioni (2). In altri termini, il re Alfonso riconobbe al baroni del regno il possesso dei feudi, non tenendo conto della loro diversa partecipazione alla guerra dinastica. ,In tal modo Giovanni Antonio Orsini poté mantenere le due contee.
Il Di Costanzo nella sua Storia del regno di Napoli narra che, avendo il re Alfonso convocato il parlamento in San Lorenzo di Napoli nel febbraio del 1443, Giovanni Antonio Orsini, presente insieme agli altri baroni d’Abruzzo, inginocchiatosi dinanzi al re, gli presentò una supplica, perché gli venisse affidato l’incarico regio di trattare col papa una pace duratura per il bene della Chiesa e del regno. La sommessa istanza venne accolta, sicché l’Orsini ed altri baroni furono deputati dell’ambasceria presso il pontefice. Tale fatto dimostra chiaramente che Giovanni Antonio era tornato nella piena grazia del re Alfonso, di cui prima era stato aperto nemico. Ma non tardò molto a rilevare la sua ingratitudine, fornendo a suo fratello Rainaldo Orsini, signore di Piombino ‘ aiuti segreti ai danni del re Alfonso, il quale, sdegnato, venne nella Marsica con un esercito, nell’anno 1450, per punirlo, privandolo di ogni potere.
Ma la benevola tempestiva intercessione del papa, mosse il Re a perdonare Giovanni Antonio, il quale però dovette pagare la somma di 30 mila ducati, come ammenda della sua infedeltà (3). Le contee di Albe e di Tagliacozzo allora comprendevano gran parte della Marsica e precisamente il territorio degli attuali mandamenti di Avezzano, Tagliacozzo, Civitella Roveto, Carsoli, ed inoltre di Borgorose, tranne alcuni paesi dei mandamenti medesimi, come risulta dall’elenco dei feudi del regno, fatto compilare dal re Alfonso nell’anno 1445 ” ad recolligendam terram a baronibus ” (4). Giovanni Antonio Orsini mori nell’anno 1456, senza lasciare figli maschi, come già ricordato, e le due contee passarono al demanio regio, alle cui immediate dipendenze rimasero per il periodo di cinque anni circa, durante il quale l’amministrazione dei detti feudi fu sotto il diretto controllo del re mediante sui fidi rappresentanti. Il primo commissario regio, nominato da Alfonso d’Aragona fu Francesco Pagani, come è dimostrato dalla conferma dello statuto di Avezzano, fatta a suo nome da Giacomo Petri da Veroli.
Testimoniano altresi tale speciale incarico due importanti documenti, dal quali risulta il nome e la qualifica del Pagani; il primo, in data 30 aprile 1457, è una sentenza emessa dal detto commissario regio in nome del re, con la quale si disponeva la restituzione alla chiesa di S. Cesidio di Trasacco di alcuni beni di sua pertinenza, ed il Febonio così riporta il fatto: ” … Et cum Abbas, et Capitulum Regi Alphonso a possessione deijci quererentur ex illius rescripto Franciscus Paganus sententiam pro Ecclesia tulit, et turbantes lata poena composult… ” (5); il secondo, è un diploma che il re Alfonso sottoscrisse, in data 11 settembre del medesimo anno, riconoscendo alla popolazione di Tagliacozzo alcuni benefici o esenzioni con il possesso di fonti di acqua e di molini, ed il Corsignani in propostio scrive: ” Molti sono i Privilegi da’ Re di Napoli a questa Terra conceduti, e fra gli altri ne osservammo uno sottoscritto da Alfonso colla data de’ Il Settembre 1457, serbato nell’Archivio della Comunità, dove ancora si esprimono alcune esenzioni de’ paesani col dominio de’ Fonti e Molini, e colla special qualità sovraccennata della nobiltà de’ Cittadini: Alphonsus…. revolventes fidem… vestrae, Nobillum, et egregiorum Virorum Universitatis… Talleacotil … oltreaché tal pregio si ricava dagli Uomini Insigni che la Terra ha vantati, come similmente scrisse il Porcacchi nella Vita del Sannazzaro. Costa pur nel Diploma, che allora Tagliacozzo era in Regio Dominio, e suo Commessario era il Consiglier Francesco Pagani, il quale nella sentenza che a favor della Chiesa di Trasacco pubblicar si vide, cosi disse: In Regia Terra Talleacotii…. e ciò accadde negli anni suddetti 1457″ (6).
L’istituto del commissario regio sorgeva in forza di un provvedimento straordinario, che il re adottava in determinate speciali circostanze in quel feudi, dove il disordine amministrativo e politico richiedeva un pronto intervento della corona, per garantire il migliore riassetto, dopo di che la confisca rappresentava quasi sempre la conclusione inappellabile, quale extrema ratio per il ritorno del sovrano al tranquillo possesso ed alla sicura disposizione dei feudi. Avendo infatti il commissario regio Pagani esaurito il suo compito, il re Ferdinando 1 succeduto a suo padre Alfonso, procedette alla confisca dei beni delle contee di Albe e di Tagliacozzo e vi nominò un ” Capitaneo ” con l’incarico del governo militare, civile, penale e politico.
L’avvenimento fu accolto dai Colonna con rinnovata speranza dì tornare nel possesso della contea di Albe, ed Odoardo Colonna non ne faceva un mistero presso la Corte di Napoli, ove agiva a tal fine, con diplomatica accortezza; ma gli Orsini, nelle persone dei fratelli Napoleone e Roberto, figli di Carlo Orsini, del ramo di Bracciano, non dimostravano insistenza ed arte politica minori per il riacquisto sia del contado di Albe che di quello di Tagliacozzo. La corte reale da parte sua tirava a destreggiarsi nel miglior modo fra le due forti famiglie romane, fino al punto da servirsi di esse per tenere a bada la potenza papale, sempre nell’attesa di poter risolvere la situazione secondo i propri interessi ed in dipendenza degli eventi.
Era scoppiata intanto la guerra di ribellione dei baroni, provocata dall’ambizioso principe di Taranto, che si chiamava anche Giovanni Antonio Orsini, il quale invocò l’aiuto del pretendente al trono di Napoli Giovanni d’Angiò, figlio di Renato. I fratelli Napoleone e Roberto Orsini senza indugio si schierarono dalla parte del re di Napoli, mentre i Colonna si mantennero fuori della lotta. Ferdinando I era succeduto ad Alfonso d’Aragona, suo padre, il quale era morto il 27 giugno 1458, lasciando buon ricordo di sé, tanto da essere soprannominato ” il Magnanimo “. Le popolazioni del regno ricevettero dal re Alfonso benefici considerevoli per quell’epoca. Si ricorda, per esempio, il grande favore, che egli accordò all’industria armentizia, tanto diffusa nel Mezzogiorno ed in particolare nell’Abruzzo e nella Marsica, facendo costruire larghe vie, chiamate tratturi, lungo i quali gli armenti potevano effettuare all’inizio della primavera e nel settembre la transumanza, che il D’Annunzio volle immortalare in un suo nostalgico canto.
Il tratturo dal tenimento di Avezzano, attraversando l’Abruzzo da un capo all’altro, portava all’Adriatico le greggi, che continuavano il cammino lungo il litorale verso le campagne di Foggia; esso funzionò pienamente fin verso il tempo della prima guerra mondiale, ed un tratto è ancora visibile nei pressi di Cerchio. Il re Alfonso attuò anche una legislazione speciale, diretta a proteggere la pastorizia, prescrivendo che la trasmigrazione del bestiame non fosse eseguita, senza la protezione del governo, ed istituendo il tribunale della dogana di Foggia per le questioni relative all’industria armentizia, sottraendola cosi alle vessazioni ed agli ostacoli, introdotti da signori e baroni prepotenti in quei luoghi, dove essi esercitavano la pastorizia. Tale organo giudiziario, senza lungaggini procedurali, spediva giudizi ed emetteva sentenze inappellabili, e fu di grandissimo ausilio per questa attività importantissima specialmente nell’economia di quei tempi, finché poi il cattivo governo ed il malcostume del viceregno spagnolo non lo trasformò in una istituzione venale. Il re Alfonso inoltre, seguendo l’esempio di Traiano, Adriano e Federico II, provvide a far espurgare l’emissario di Claudio, che si era di nuovo ostruito nei secoli che seguirono i lavori di restauro e di sgombro, eseguiti per ordine del detto imperatore svevo (7).
Ma la tranquillità lasciata da Alfonso fu di breve durata; infatti la congiura dei baroni, di cui si è fatto cenno, contro Ferdinando 1, venne a turbare la pace del regno. A ciò si devono aggiungere le pretese del papa Callisto 111 circa la devoluzione del regno di Napoli alla Chiesa, romana, il carattere crudele e simulatore di Ferdinando I, la discesa di Giovanni d’Angiò con il condottiero lacopo Piccinino, figlio di Nicolò, il quale con il suo esercito si spinse verso la Marsica, costringendo Celano ad innalzare la bandiera angioina, ed occupando quasi tutto il territorio. Rimaneva libera Tagliacozzo, che era difesa da Napoleone Orsini, generale pontificio, e da suo fratello Roberto, generale del re Ferdinando, entrambi condottieri esperti e valorosi; erano i legittimi credi dell’ultimo conte di Tagliacozzo. la cui contea difesero strenuamente prima ancora di riceverne l’investitura, che fu loro concessa durante la detta guerra e precisamente nell’anno 1461, assieme alla contea di Albe, come si rileva dalla conferma dello statuto di Avezzano, eseguita il 23 settembre dal loro visconte Antonio da Montopoli; l’investitura venne poi convalidata con diploma dell’anno 1464 a guerra conclusa.
Intanto il papa Pio Il e Francesco Sforza, duca di Milano, nell’anno 1460 si erano alleati con il re di Napoli e le truppe pontificie, comandate da Napoleone Orsini, con i rinforzi di quelle regie, assalirono i luoghi, dove gli Angioini si erano fortificati, riconquistando Trasacco, occupata da Mariano da Camerino, e le rocche di Albe e di Scurcola, presidiate e difese da Carlo Baglioni, Giovanni Mutto e Luca Schiavo. Sicché la guerra ebbe come centro, per un certo periodo di tempo, la Marsica, ove avvenivano continui combattimenti, la cui sorte appariva alterna e non definitiva, fino a quando non giunsero in questa regione Federico da Montefeltro, duca di Urbino, quale comandante dell’esercito alleato, ed il cardinale di Teano, legato del papa. – Costoro, con un migliaio di fanti e cavalieri si erano portati prima presso l’Aquila, schierata con gli Angioini, per cercare di ridurla all’obbedienza del re Ferdinando. Avevano posto il campo presso San Vittorino, e ricevuti ambasciatori dall’Aquila per la tregua, che non fu convenuta, il conte ed il cardinale si avviarono verso la Marsica, marciando tra pericoli di ogni genere con le armi in pugno. Quivi giunti conquistarono Paterno, e quindi Avezzano in seguito ad accordi (8).
Poi il 14 agosto 1461 furono raggiunti in Albe da una seconda ambasceria ed il 22 dello stesso mese ed anno, da una terza composta da Lallo Camponeschi, conte di Montorio, e dal giuristi Antonio da Cagnano e Nicolò da Lucoli, e si convenne la tregua delle ostilità, per un anno sotto la pena di ducati 50 mila, ratificata dagli alleati (9). L’anno seguente Roberto Orsini presso Troia di Puglia riportò una straordinaria vittoria, in seguito alla quale gli Angioini furono sgominati ed ogni loro resistenza fu abbattuta. Giovanni d’Angiò ed il Piccinino, ridotti nella più grande penuria di danaro, si ritirarono presso Sulmona, dove furono raggiunti da Roggerotto Acclozamora, il quale, essendosi ribellato alla madre Covella contessa di Celano, invocava il loro aiuto. A Iacopo Piccinino non poteva essere offerta una occasione migliore, per provvedere ai suoi urgenti bisogni; accolse pertanto la richiesta dello sconsiderato adolescente Roggerotto e mosse verso Gagliano Aterno, dove trovavasi la contessa Covella, e dove accorsero anche gli Aquilani, malgrado la tregua pattuita poco tempo prima nel campo di Albe.
Dopo un assedio serrato e ripetuti assalti con l’uso dell’artiglieria, cui non potè resistere la coraggiosa difesa, il 25 novembre 1462 la rocca capitolò e la contessa ed il figlio minore furono condotti prigionieri nel castello di Ortucchio.
In questa impresa il Piccinino potè ricavare un bottino, che fu valutato in ducati ottantamila tra danaro, vasi d’oro e d’argento, pietre preziose, grandi quantità di grano, di armenti e di lana, somma ragguardevolissima per quel tempi. Dopo alcuni giorni lacopo si diresse verso la Marsica, che invase nuovamente, impossessandosi di Trasacco mediante accordo (10). Ma ben presto giunsero Roberto Orsini, Matteo da Capua ed Alessandro Sforza da Cotignola con l’esercito del re, e, dalla parte di Sora, stavano marciando verso il Fucino Napoleone Orsini e Federico da Urbino con le truppe pontificie, sicché il Piccinino ed il duczk Giovanni d’Angiò furono costretti ad abbandonare il campo, allontanandosi definitivamente (11).
Il Piccinino poi, con la fede dei capitani di ventura dell’epoca, non fu sordo all’invito di abbandonare al suo destino il duca Giovanni e di seguire invece il re Ferdinando con lo stipendio di novemila ducati d’oro. Il contado di Celano fu concesso con somma ingiustizia ad Antonio Piccolomini, nipote del papa Pio Il e genero del re di Napoli, mentre alla contessa Covella furono lasciati i beni, che il padre ed il marito avevano posseduti in Puglia; Napoleone e Roberto Orsini furono incaricati di cacciare dal territorio di Celano lo sciagurato Roggerotto, che seguì il duca angioino nel suo ritorno verso la Francia.
La guerra di ribellione dei baroni era finalmente conclusa, e le due contee di Albe e Tagliacozzo poterono riprendere la loro vita serena di lavoro sotto il governo dei fratelli Orsini; però mentre Napoleone era occupato soprattutto negli affari dello Stato della Chiesa, Roberto si curava direttamente dei due contadi, ponendo la sua dimora in Tagliacozzo.
La loro signoria fu saggia e fattiva, tanto che le popolazioni dei due contadi ne trassero un certo vantaggio: Napoleone mori in anno incerto tra il 1476 ed il 1479, rimanendo il solo Roberto nei due feudi fino al 1480, anno della sua morte. Entrambi i fratelli erano stati preceduti nella tomba da Odoardo Colonna, che si spense nel 1465, nel quale anno il re Ferdinando I riconobbe ai suoi credi il possesso del feudo di Capistrello ed il titolo di duca dei Marsi, che i Colonna ebbero quando erano signori di Albe e di Celano, e che ora poteva significare riconoscimento del loro diritto, almeno in apparenza, desiderando la corte di Napoli mantenere sempre buoni rapporti con i Colonna.
In questa famiglia, alla morte di Roberto Orsini che non lasciò figli maschi, si rinverdirono le speranze di riottenere la contea di Albe, tanto più che il re, tornando nel possesso di essa, vi nominò come esattore delle rendite tale Grimaldo Spicola, e confermò, nel contempo, nel feudo di Tagliacozzo il figlio di Napoleone, Virginio Orsini. Costui però nutriva fondati sospetti circa l’intenzione del re di cedere ai Colonna la terra di Albe, lamentandosene con aperte parole; e le ostilità tra le due famiglie divennero roventi, al punto che ogni possibilità di conciliazione non era nemmeno pensabile; le offese e gli scontri sanguinosi tra le parti fecero dilagare paurosamente i termini della contesa, che si tramutò in una lotta feroce anche per il possesso del contado di Tagliacozzo, lotta che venne combattuta con odio estremo: i capi delle rispettive famiglie erano Fabrizio Colonna, figlio di Odoardo, e Virginio Orsini; entrambi gli avversari godevano di grande prestigio e rinomanza per le loro non comuni virtù di uomini d’armi e di governo, ma Fabrizio Colonna principalmente spiccava per il suo ingegno e per le sue elette qualità di cavaliere prode e gentile, sì da meritare l’elogio di scrittori e poeti, come l’Arlosto, il Machiavelli, Agostino Ninfo.
In quel tempo il re Ferdinando doveva sostenere una guerra contro i Turchi, per la difesa delle coste e per la riconquista di Otranto, espugnata e saccheggiata con inaudite atrocità; l’impresa richiedeva molto danaro ed il re era costretto a procurarlo ad ogni costo ed in ogni modo. Fu cosi che, con diploma in data 15 novembre 1480, Ferdinando concesse la contea di Albe a Fabrizio Colonna, ricevendo la somma di ducati quattordicimila, con il patto di ottenerne altri seimila e di non effettuare subito l’investitura del feudo, perché le condizioni politiche del momento erano assai delicate e per giunta era prudente provocare l’ira di Virginio Orsini, assai caro al papa Sisto IV, il quale, con altri re cristiani, doveva apportare il suo valido aiuto nella guerra contro i Turchi. Ma improvvisamente morì Maometto 11, 1 suoi figli si dilaniarono in una lotta feroce per la successione, gli occupanti di Otranto si arresero ad Alfonso duca di Calabria, e quindi da questo lato il re Ferdinando 1 si potè ritenere fortunato, essendo ormai scongiurato ogni pericolo da parte dei Turchi. Intanto tra il duca di Ferrara e la repubblica di Venezia era sorta una contesa, nella quale il re di Napoli intervenne in difesa del duca Ercole d’Este, suo genero, in favore del quale accorsero anche il duca di Milano, suo cognato, ed i Fiorentini.
Il papa Slsto IV si alleò con i Veneziani, e gli Orsini, schierati col pontefice, furono dichiarati ribelli dal re Ferdmando ed in conseguenza furono spogliati di tutti i feudi esistenti nel regno di Napoli. Allora cessò il motivo di tenere ulteriormente segreta la vendita della contea di Albe ai Colonna, i quali, essendosi fra l’altro posti al servizio del re di Napoli, entrarono in possesso della detta contea non solo, ma anche di quella di Tagliacozzo, in quel periodo confiscata dal re agli Orsini ribelli (12). Nella Marsica era stato organizzato un esercito costituito di forze di fanteria e di cavalleria, sotto il comando del figlio del re, Alfonso duca di Calabria, il quale per la via di Carsoli penetrò nel territorio dello Stato della Chiesa, senza incontrare resistenza, facendo preda dovunque fin quasi sotto le porte di Roma, occupando Terracina, Trevi in Umbria ed altri luoghi. Dopo varie ed alterne vicende la guerra ebbe termine per l’iniziativa presa da Ferdinando I e da Firenze, che riuscirono a separare il papa da Venezia, si sottoscrisse per il bene di tutti gli Stati italiani, il giorno 8 dicembre 1482 un trattato, che riuniva in una lega per cinque anni i regni di Napoli e della Chiesa, il ducato di Milano e la signoria di Firenze, e si espresse il desiderio che vi aderisse anche la repubblica di Venezia.
Fra le condizioni del suddetto trattato venne inclusa la restituzione agli Orsini di tutti i loro feudi. Ma i Colonna si opposero decisamente per quanto riguardava la contea di Albe, ed il re Ferdinando inviò pertanto a Roma il suo segretario Giovanni Albini, per trattare con Lorenzo e Prospero, ritenuti i capi della famiglia Colonna. Fu convenuto infine che i Colonna si sarebbero ritirati dal feudo in questione, appena Ferdinando avesse restituito loro il danaro ed il papa i feudi di Castel Monte, di Rossano, di Saleto ed altri possedimenti. Sebbene Giovanni Colonna, che si trovava in Avezzano, avesse indirizzato a Lorenzo una lettera in cui dichiarava che mai avrebbe abbandonato il feudo a costo di morire, la convenzione venne regolarmente approvata e sottoscritta dalle parti. Il pontefice approvò, adempiendo subito quanto di sua attinenza, ma Ferdinando traccheggiò a lungo, senza decidersi a restituire il danaro ai Colonna, tanto che Virginio Orsini offri i quattordicimila ducati, affidando i negoziati al papa Sisto IV.
I Colonna però fecero chiaramente comprendere che non avevano alcuna intenzione di restituire il feudo: per la qual cosa il papa adiratosi seriamente, li minacciò e, non avendo potuto concludere nulla, unite le sue forze con quelle degli Orsini, pose mano ad una spietata vendetta, saccheggiando le case dei Colonna in Roma ed uccidendo tutti quelli che le difendevano, ed inoltre li spogliò della maggior parte dei loro castelli (13). La lotta poi fra i Colonna e gli Orsini in Roma, che fu messa sossopra in un turbolento e pauroso disordine, fu terribile oltre ogni dire a causa della contea di Albe, e si giunse persino al crimine più sanguinosamente crudele. Assalito e sacheggiato il palazzo del protonotario Lorenzo Colonna, ed uccisi o feriti tutti i difensori, il detto Lorenzo si arrese a Virginio Orsini, ma fu portato a Castel Sant’Angelo, dove venne processato, sottoposto a tortura e condannato a morte con un procedimento, privo finanche di ogni parvenza di giustizia e denso di fazioso furore, portato a termine con incredibile celerità, usata pure nell’esecuzione, che avvenne il 30 giugno 1484.
All’infelice Lorenzo venne tagliata la testa con la mannaia, ed il cadavere, in cui erano palesi i segni raccapriccianti dei tormenti subiti, fu portato e lasciato nella chiesa di S. Maria in Traspontina, donde poi i parenti provvidero alla sua traslazione con un corteo di frati a lume di torce nella chiesa dei SS. Apostoli, ove venne sepolto nella cappella di famiglia. 1 Colonna ritennero che il momento esigeva l’abbandono della contea di Albe, e Virginio Orsinì vi tornò nello stesso anno 1484 (14). Era morto ‘ frattanto, il 12 agosto, il papa Sisto IV, di cui il Muratori non potè trattenere, scrivendo di lui e delle sue imprese, il seguente severo giudizio: ” Di gravi conti avrà Avuto questo pontefice nel tribunale di Dio “. Gli era succeduto Giambattista Cibo di Genova, il quale assunse il nome di Innocenzo VIII. L’anno seguente 1485 la lotta tra i Colonna e gli Orsini ebbe di nuovo inizio con la conquista di alcuni castelli nel pressi di Roma, ma il nuovo papa intervenne subito con l’intento di portare la quiete tra i contendenti, ed ordinò che gli fosse fatta consegna dei castelli occupati. I Colonna obbedirono, ma gli Orsini si rifiutarono: tale fatto colpi indubbiamente il papa in senso favorevole al Colonna, che entrarono nelle sue simpatie, e si schierarono con lui in occasione della seconda ribellione dei baroni, nel 1485 contro Ferdinando 1, che ebbe dalla sua parte l’Orsini con alcuni baroni suoi seguaci.
La Marsica naturalmente fu subito presa di mira per gli interessi riguardanti le due famiglie rivali, ed il prefetto di Roma, comandante dell’armata pontificia, Giovanni Ruero, per la via Valerla penetrò nei feudi di Albe e di Tagliacozzo, sprovvisti di difesa, e, all’avvicinarsi dell’inverno, si trasferi in Puglia: solo Celano allora era ben fortificata dal conte Piccolomini, che stava dalla parte del re di Napoli. Virginio Orsini sopraggiunse con il suo esercito, quando già il Ruero si era allontanato, e potè cosi provvedere a sistemare le difese dei due contadi: richiesto dal re di riunire tutte le sue forze, onde portare con maggiore sicurezza la guerra nel territorio papale, rispose che era ben pronto, ma che la contea di Albe era favorevole ai Colonna, in modo particolare Avezzano, città irrequieta, vivace, la quale certamente si sarebbe sollevata alla prima occasione in favore dei nemici; era necessario quindi presidiare i due feudi con sufficienti forze, e richiedere l’aiuto di Firenze e del duca di Milano. Ma Alfonso, che si trovava in Abruzzo e che dal re suo padre fu comandato di invadere lo Stato della Chiesa dalla parte di Carsoli, si mosse ed attraverso strade impervie e coperte di neve, pervenne a Paterno, dove fece sosta pernottando; il giorno seguente alle prime ore continuò la marcia, appena sfiorando Avezzano, e nel tardo pomeriggio, passati i confini, raggiunse in Vicovaro Virginio Orsini, con il quale continuò l’invasione ed ogni altro atto di guerra nelle terre pontificie.
Poco dopo il passaggio del principe Alfonso, come aveva previsto l’Orsini, Avezzano ed altri paesi si ribellarono, inalberando le insegne dei Colonna e nel gennaio del 1486, con grande giubilo accolsero il condottiero Fabrizio Colonna, che non incontrò nessun intralcio nel prendere possesso dell’intero contado. Nel frattempo intercorsero trattative di pace tra Ferdinando ed Innocenzo VIII, e quando Virginio Orsini venne nella Marsica per combattere Fabrizio, il principe Alfonso ed il uca Piccolomini impedirono l’o scontro, interponendosi ed inducendo le parti, in un convegno che si tenne in Celano, a restituire la contea di Albe all’Orsini, e Genzano, Civita Lavinia e Nemi al Colonna.
La seconda guerra di ribellione dei baroni era dunque cessata e, con gli accordi raggiunti, la quiete ormai sembrava rivivere; il re volle allora ricompensare Virginio Orsini per l’opera da lui compiuta in suo sostegno con fedeltà e solerzia, nominandolo gran contestabile del regno, e lo ebbe in tanta grazia che il figlio Alfonso, dall’ottobre del 1487, soggiornò in grande familiarità quale suo ospite in Tagliacozzo fin verso la fine di novembre (15). Veniva cosi a consolidarsi maggiormente la posizione dell’Orsini presso il trono di Napoli non solo, ma anche in Roma ed in tutti quei territori, che intendeva tenere in pugno solidamente contro ogni rivendicazione degli avversari giurati, i Colonna, e contro le aspirazioni di quei paesi, che mal sopportavano il suo gioco.
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