Consultare i fondi della moderna sede dell’Archivio Centrale dello Stato a Roma può essere per tutti una piacevole avventura, specie quando si rintracciano notizie su luoghi di cui resta solo un flebile ricordo. Grazie ad un carteggio di inizio Novecento ivi depositato (fondo Ministero Pubblica Istruzione, Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti, III versamento, seconda parte, busta 532), integrato da un altro custodito presso l’Archivio di Stato di L’Aquila (Prefettura, I serie, cat. XIV, b. 11) ho potuto ricostruire l’aspetto dell’antica chiesa della Madonna del Carmine a Carsoli, oggi scomparsa, che diede il nome ad uno dei ponti sul fiume Turano (1), vicino all’area oggi detta la Fonte Vecchia.
Carsoli primi del ‘900, il campanile della chiesa é indicato con la freccia (foto Ministero per i Beni Culturali e Ambientali)
Anche la fotografia di inizio Novecento che pubblichiamo sotto ci aiuta a localizzare l’edificio fuori le mura, lungo la via Romana, cioè lungo la TiburtinaValeria diretta all’Urbe (2). Il nome invece deriva dall’annesso piccolo convento, abitato dallo scorcio del Cinquecento dai padri Carmelitani della Provincia Romana, non di quella d’Abruzzo, perché da sempre la nostra zona ha gravitato su Roma. I Carmelitani in particolare occuparono la sede dopo il plausibile abbandono dei Francescani Riformati, che sostennero una spinosa controversia (alimentata dagli abitanti di Carsoli e di Poggio Cinolfo) con i Minori Conventuali residenti nel noto convento di San Francesco nella vicina Poggio. In quell’epoca però la nostra chiesa, annessa al convento di Carsoli era titolata a san Nicola (3).
Anche i Carmelitani dovettero presto abbandonare la sede, obbedendo a disposizioni emanate da papa Innocenzo X Pamphili a metà Seicento riguardanti la soppressione dei piccoli conventi religiosi ritenuti incapaci di vita e osservanza regolare (termini da intendersi nello spirito giuridico del tempo e per nulla relativi ai cattivi costumi dei religiosi). Le sedi colpite dal provvedimento dovettero presentare nel 1650 una relazione, che segnalava, oltre una breve storia dell’edificio, i tempi in cui si era costituita la comunità religiosa, la sua attuale composizione, la descrizione dei locali e della chiesa, compresa l’indicazione dello stato patrimoniale e finanziario negli ultimi sei anni (4). Trascurando quest’ultimo aspetto, il nostro convento risultava pigliato circa 50 anni prima dalla Bona memoria del Pr(ior)e R(everendissi)mo Sante Fantini, con il consenso dei canonici dell’allora collegiata di Santa Vittoria, come raccontavano i vecchi; era abitato da un numero vario ed esiguo di religiosi, sacerdoti e serventi, e aveva un ingresso a piano terra, con la cucina, il refettorio e la cantina, mentre sei stanze erano al piano superiore; il corpo della chiesa poi risultava all’antica per essere già Parrocchia vecchia di detto loco (5).
La chiesa, passata da allora in gestione di solerti chierici secolari, era per Zazza, in origine, di pianta a croce greca, ma fu rimaneggiata a metà Cinquecento, quando sembra fosse anche fondato il conventino con il contributo della Societas Misericordiae (6). G. De Vecchi Pieralice, noto studioso del Carseolano, nel dare a fine Ottocento brevi notizie sull’edificio, accompagnava lo scritto con un disegno della chiesa allora diruta (7), la cui esattezza è comprovata dalla descrizione che ne fece nell’estate dell’anno 1900 il Regio ispettore onorario per gli scavi e i monumenti del circondario di Avezzano, avv. Francesco Lolli, persona di vasta cultura, che trascrisse anche l’iscrizione in latino sull’architrave della porta d’ing resso: DIVI SEBASTIANI SODALITAS EX ELEMOSYNIS / A FUNDAMENTIS / EREXIT. ANN. D. 1422. KAL. APR. Era dunque il primo giorno di quel mese e le elemosine erano dei confratelli di san Sebastiano (8).
Il Lolli tuttavia nella relazione che inviò al Prefetto dell’Aquila (presidente Commissione consultiva provinciale per la conservazione dei monumenti d’arte e di antichità), segnalava in particolare la presenza di affreschi nei pilastri dell’arcone e nelle pareti del coro che si apre a for ma di abside dietro l’altare mag giore che è unico. Non di gran pregio, li datava variamente dall’inizio del XV al XVII secolo inoltrato, epoca ultima cui credeva assegnare la composizione nel pilastro sinistro che raffigura un gruppo con un santo vescovo (forse Agostino) al centro (9), mentre Lucia e Anatolia sono ai lati. Ha disegno [n.d.r.: stile] corretto e colorito bene intonato che si conserva tuttora vivace. Del principio del secolo XV, ma probabilmente lavoro di artista già vecchio a tal epoca, perché ha tutte le caratteristiche del disegno del secolo precedente, è un gruppo della Pietà nella parete della navata sinistra accosto al coro, molto deperita e pressoché cancellata, e si distinguono appena i contorni delle membra.
Nei riparti della volta sono quattro evangelisti; nella parete di fronte all’altare la Madonna siede in trono entro un altarino con pilastrini e fregi carichi d’ornamenti e aventi a destra san Rocco, figura imberbe giovanile e con lunghi capelli inanellati. Nella parete a sinistra di chi guarda l’altare una composizione con la Morte della Madonna circondata da apostoli, anch’esso in deplorevole stato di conservazione e molto sbiadito. Tutte le suddette pitture vanno riferite al secolo XVI, e non presentano pregi, né per la connettezza del disegno, né per la bontà di espressione e di colorito. Va detto stesso per due dipinti che si vedono nella strombatura di una finestra ad arco a tutto sesto praticata nella parete a destra di chi guarda l’altare, rappresentante l’uno un santo vescovo, l’altro una santa con giglio, opere del secolo XV notevoli per bontà di disegno, vivacità di espressione e colorito, come di stessa epoca e pregevole è il ritratto di un santo inquadrato in una cornice in pittura nella parete della navata destra.
Per questi affreschi il curato della parrocchiale di Santa Vittoria, d. Proino Arcangeli, reclamava un congruo sussidio dallo Stato, utile a integrare le poche lire ricavate dalle elemosine dei privati e dalle offerte volontarie di alcuni enti, utilizzate fino ad allora solo per l’urgente consolidamento dello st abile. Alla Direzione Generale per le antichità e le belle arti di Roma si chiedeva un contributo residuo di £. 6.044 (cfr. la perizia stilata da L. Petrocchi, esatto nell’indicare i lavori ancora da farsi), mentre dopo aver bloccato ogni intervento sui dipinti, furono erogate solo £. 300, versate nel maggio del 1902 all’arciprete, dietro presentazione del certificato di regolare esecuzione dei lavori. Forse autori degli affreschi furono quei pittori recentemente studiati, attivi nel Carseolano tra XV e XVI secolo, come lascia intuire sulla parete d’altare e a fianco della Vergine, pendant forse con un santo perduto (Sebastiano?) (10), la figura del citato s. Rocco imberbe e giovanile, con i lunghi capelli inanellati, che pare simile a quello dipinto dal cosiddetto Maestro di Cori sulla parete destra del tamburo presbiteriale della chiesa di S. Maria delle Grazie a Pietrasecca (11).
Il culto a san Rocco del resto, noto depulsore della peste, fu in auge proprio dal tardo Quattrocento (12), e ciò giustificherebbe la posizione dell’oratorio fuori le mura, lungo un asse di larga frequentazione, come avveniva in tante altre parti d’Italia. La funzione di santuario “di passo” potrebbe anche essere confermata da un affresco esterno, purtroppo appena leggibile al De Vecchi, con un san Cristoforo ritratto insieme a Gesù bambino al guado di un fiume, icona che in genere era di grande formato e che vista a distanza serviva a rincuorare i passanti e a proteggerli dai pericoli spirituali di una morte improvvisa (13). La chiesetta dunque appartiene alla serie dei gioielli perduti, quelli forse più cari di famiglia: fu costruita e decorata con la tenacia, i risparmi e la fede della gente del luogo.
Note
1) Di questo, come degli altri due, ne ebbero cura i Colonna, signori del luogo, cfr. A. ZAZZA, Notizie di Carsoli, manoscritto post 1881, edito a cura di M. Sciò, F. Amici e G. Alessandri, Pietrasecca di Carsoli 1998, cc. 4r, 18v.
2) M. FEBONIO, Historiae Marsorum libri tres, una cum eorundem Episcoporum catalogo, Neapoli 1678, (editio novissima priori emendatior nitidiorque, Lugduni 17231725), ristampa Avezzano 1985, libro III, traduzione italiana del capitolo VI a cura di U. Palanza e V. Crisi, p. 207 (tale sezione del libro, come ha segnalato in recenti studi G. Morelli, fu compilata verso il 1659). D. A. PIERANTONI, in uno dei suoi tomi manoscritti di argomento storico conservati nell’Archivio comunale di Trevi nel Lazio (Le memorie historiche e sagre e profane del Lazio e per li sagri secoli sublacensi, tomo III, c. 330), nel sottendere la vicinanza della chiesa all’antica via consolare, segnalava la recente scoperta, presso la porta dell’oratorio, della colonna di segnalazione delle 41 miglia di distanza da Roma, che F. GORI, Nuova guida storica, artistica, geologica e antiquaria da Roma a Tivoli e Subiaco … e al Lago del Fucino, Roma 1864, parte IV, p. 61, osservava corrosa nelle unità. Altre notizie sono in P. A. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, ovvero Memorie topograficostoriche di varie Colonie e Città antiche e moderne della Provincia de’ i Marsi e di Valeria… , Napoli 1738, ristampa Bologna 1971, libro I, cap. XII, p. 197.
3) Per questa vicenda storica v. da ultimo T. FLAMINI, Profilo storico del convento di San Francesco in Poggio Cinolfo, Gorle 2000, pp. 2023 e 8391.
4) È essenziale consultare E. BOAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Roma 1971, in particolare pp. 5357; per i conventi carmelitani soppressi nella Provincia Romana, ivi, p. 179; per quelli del medesimo ordine nella Provincia di Abruzzo, ivi, pp. 162172.
5) Archivio Segreto Vaticano, Congregazione Stato Regolari I, Relationes, vol. 13, cc. 162r163v. Simile configurazione del convento torna nella sede carmelitana della vicina Petescia/Turania, in diocesi di Sabina, ivi, cc. 152r153v. Ringraziamo p. Boaga, responsabile dell’Archivio Generale dei Carmelitani a Roma, che in una recente comunicazione orale ha indicato la nostra sede negli atti del capitolo provinciale del 1614 e in quelli della visita canonica effettuata dal superiore nel 1627. Anche nella visita pastorale condotta a Carsoli il 22 giugno 1639 dal competente vescovo di Pescina Lorenzo Massimi, è segnalata S. Nicolao quale godono li frati Carmelitani (Avezzano, Archivio storico della diocesi dei Marsi, fondo B, b. 2, c. 44v). Più in genere i vescovi traevano utili dalla capillare diffusione dei conventi nei piccoli centri della penisola per la cura prestata alle anime, per il possibile ritiro spirituale dei religiosi e per il ricovero e il pernotto dei fratelli in viaggio, che evitavano così l’alloggio promiscuo nelle locande e non affrontavano spese; le sedi, anche quelle carmelitane, erano infatti lontane un giorno di viaggio lungo le grandi arterie di comunicazione (BOAGA, op. cit., pp. 6265), e ciò si addice a San Nicola, compreso tra Tivoli e Scurcola Marsicana.
6) ZAZZA, op. cit., cc. 9r/v.
7) G. DE VECCHI PIERALICE, Regione carseolana da Riofreddo a Colli (Bacino del Torano), in Da Roma a Solmona. Guida storico artistica delle regioni attraversate dalla Nuova Ferrovia, a cura di L. Degli Abati, Roma 1888, pp. 8283.
8) Con leggere varianti l’epigrafe è trascritta da P. PICCIRILLI, La Marsica monumentale. Note d’arte, in “L’Arte”, XII (1909), p. 331, che pubblicò anche una foto nella fig. 4, ove indica la chiesa di proprietà del Comune. Da lui deriva I. C. GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, vol. II, Roma 1927, p. 215, preciso nel descrivere l’edificio a tre navate con una sola abside quadrata a volta a crociera, con le finestrine sestiacute nei fianchi, il ricco portale e il campanile vicino la tribuna (foto stampate alle figg. 788 789). Il sodalizio invece, giudicato assai antico da ZAZZA, op. cit., c. 5v, fu una delle tre confraternite laicali di Carsoli, che poi ebbero sede nella chiesa di S. Vittoria.
9) Forse è il s. Nicola descritto da ZAZZA, op. cit., c. 8r, antico titolare della chiesa.
10) PICCIRILLI, op. cit., indicava la presenza di due santi ai lati della Madonna, mentre alle scene che ornavano le pareti laterali della tribuna aggiungeva la Risurrezione di Cristo.
11) Ringrazio don Fulvio Amici per la cortese segnalazione e rinvio al cap. IV del mio libro Pittori di frontiera. L’affresco quattrocinquecentesco tra Lazio e Abruzzo, Casamari 2001, pubblicato dall’Associazione Culturale “Lumen”.
12) GORI, op. cit., p. 61 assegnava le pitture della chiesa a questo secolo; PICCIRILLI, op. cit., pensava al CinqueSeicento. L’edificio non risulta nell’elenco delle chiese soggette nel 1324 al pagamento delle decime al vescovo dei Marsi, cfr. P. SELLA, Rationes decimarum Italiae, Aprutium Molisium. Le decime dei secoli XIII e XIV, Città del Vaticano 1936, pp. 4041, 52.
13) C. FRUGONI, L’iconografia e la vita religiosa nei secoli XIIIXV, in Storia dell’Italia religiosa, vol. I (a cura di A. Vauchez), Torino 1993, pp. 496 499.
Foglio di Lumen
Testi a cura della Prof.ssa Paola Nardecchia
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