Comune di Rocca Di Botte

418) Condividiamo nella sostanza l’intervento di Allegrezza 1999/in stampa, studiosa di casa Orsini.

419) I loro primitivi feudi, ottenuti nel tardo XII secolo a oriente di Tivoli per ostacolare l’ascesa di quel centro, posti nella bassa e media valle dell’Aniene e dei suoi affluenti di destra (tra cui il torrente Licenza) e di sinistra, avevano come base Vicovaro, strategico avamposto dei Lucretili sulla Tiburtina, nastro
commerciale oltre che militare tra Roma e l’allora Regno di Sicilia (Carocci 1993, carta 10, Orsini, tav. I). L’unione con la nostra zona avvenne circa alla metà del Duecento grazie al matrimonio con Risabella di Bartolomeo dei da Ponte di Tagliacozzo. L’influenza Orsini si estese dalla metà del Trecento alla Sabina pontificia tramite la valle del Salto (Allegrezza 1996/2000, fig. 2), territori tra loro coerenti sul piano politico, ottenuti spesso con la complicità dei feudatari. A metà Quattrocento il casato dominava tra Albe e il versante interno dei Simbruini (Tagliacozzo era una tappa essenziale nei commerci lungo l’Appennino) in ben quarantanove terre e castelli compresi nella baronia di Carsoli (snodo tra diverse valli), in quella di Corvaro (tolta ai Mareri, presso le sorgenti del Salto, v. Cortonesi, pp. 216, 232) e nella terra di Paterno, frutti di un accorto piano di radicamento e di un’intelligente politica di acquisti per il controllo della viabilità e del bestiame transumante, consenzienti alterna-tivamente il papa e il re di Napoli. Per i successivi ampliamenti, ricordiamo il settore inferiore del Cicolano, la Marsica settentrionale, la riva ovest del Fucino con le terre vicine, la valle di Nerfa e parte della valle Roveto, cioè l’alto e medio corso del Liri, specie i territori della sua sponda destra, corridoio a ché Napoli, con Sora, toccasse questa punta avanzata del suo sistema difensivo, uno dei ducati più estesi del Regno (ben cinque erano gestiti da diversi rami Orsini). Per le vicende storiche s in qui riferite, cfr. Corsignani 1738, pp. 217, 305-307; Antinori 1782, IV, pp. 4-5, 14-19, 48-51; Pansa 1892, pp. 15-22; Gattinara, p. 66; Brogi, pp. 296-317; Lugini, pp. 302-307; Paoluzi, pp. 24-28; Colonna, pp. 90-101; V. Celletti 1960, pp. 19, 25, 35, 37, 44, 49-50 e Idem 1963, pp. 24-37; Incarnato, pp. 233-235; F. Petrucci, pp. 288-289; Squilla, ediz. 1990, pp. 92-94; Mammarella, pp. 40-
43, 109; gli interventi di Allegrezza (1990-1991, pp. 177-185; 1991, pp. 86-88 e nota 22; 1994; 1996/2000; 1998; 1999/c.s.); Pomponi, pp. 170-187, 256-257.

420) La piccola nobiltà riaccese allora le speranze di controllare le acque montane sorgive e i mulini, e gli abitati di godere di privilegi ed esenzioni, v. Corsignani 1738, libro I, p. 217 e Colapietra 1986, p. 55.

421) La corona premiava la fedeltà da loro mostrata nell’opporsi alla ricorrente minaccia angioina, sostenuta in quegli anni da Giacomo Piccinino, audace capitano di ventura e padrone di gran parte del Regno, scalzato dal castello di Albe, uno della catena di avvistamento sul Fucino, situato dirimpetto
Scurcola e Tagliacozzo, v. Pierantoni IV, c. 1110 e Idem XIII, c. 49v; Corsignani 1738, pp. 310-314.

422) Ferdinando I d’Aragona il 3 marzo 1482 concesse agli abitati alcuni privilegi relativi a fiere, piazze, mercati, con uso della montagna di Carsoli, v. la trascrizione del documento nell’appendice della trascrizione del testo di Zazza, mentre una ristretta copia settecentesca è nell’Archivio Colonna
presso la biblioteca di S. Scolastica a Subiaco, Arc. Perg. XXVI, 25.

423) Suo padre era morto un anno prima, dopo aver riunito un compatto territorio. Roberto era deceduto nel ‘79. Il cardinale Giovanni morì a Farfa nel ‘77 e il suo corpo venne traslato nella chiesa di S. Francesco a Tagliacozzo, sede vicina a palazzo Orsini e preferita dalla nobiltà locale, restaurata da
lui insieme al convento (v. la lapide e il suo galero scolpito pendente sulla volta, citati da Febonio 1678, libro III, cap. VI, p. 223, tolti nei restauri di metà Ottocento, v. De Vecchi Pieralice 1888, p. 104). Sempre nel ‘77 morì il fratello Latino nel palazzo romano di Montegiordano (oggi palazzo Taverna), sua abituale dimora, tumulato come poi altri di famiglia nella vicina S. Salvatore in Lauro, chiesa e convento rimaneggiati e dotati di una preziosa raccolta libraria oggi dispersa.

424) Papa Martino V Colonna, interessato a proteggere lo Stato della Chiesa oppresso dai Caetani verso Napoli, le aveva concesse nel ‘27 ai figli del fratello; nel 1441 subentrarono i Caldora conti di Celano, ma Jacovella, figlia del potente e dinamico Ruggero, sposò in prime nozze Odoardo, uno
dei nipoti del papa, riunendo così le proprietà.

425) Virginio godeva grazie a loro di una lucrosa condotta militare, guadagnata tra le altre offerte dai baroni di Roma; Lorenzo il Magnifico cercava invece un leader nel partito guelfo, capace di fronteggiare Napoli, v. Shaw, pp. 33-34.

426) Cfr. ASC, A.O. II. A. XIX, p. 42. Lo documenta la cavalcata di possesso dipinta con un’altra scena nel castello Orsini, poi Odescalchi, di Bracciano, sul lato destro dell’arco trionfale di ingresso al cortile d’onore (v. Kliemann, pp. 8, 15-18 per l’esaltazione dei fatti contemporanei). Gli affreschi, trasferiti su tela e collocati nella sala detta dei Trofei di Caccia al primo piano nobile, vennero ordinati all’impren-ditore Antoniazzo Romano nei primi mesi del ‘91, ma intervennero suoi collaboratori (v. Cavallaro 1992, cat. 92). L’altra scena illustra la visita fatta allo zio Virginio nell’ ‘87 dal giovane Piero dei Medici,
che seguiva il corteo nuziale della sorella diretto a Roma, circostanza nella quale furono presi accordi anche per le sue nozze, celebrate nel marzo dell’anno successivo con Alfonsina Orsini, figlia del defunto Roberto, sotto l’egida di Virginio (v. Panunzi, p. 33, che riassume Borsari, pp. 37-39; Shaw, p. 38).

427) Questi aveva a sua volta sposato nel ‘32 Caterina Orsini, intrepida figlia illegittima di Francesco, prefetto di Roma e primo duca di Gravina e Conversano.

428) Il re insignirà quell’anno Virginio del massimo titolo di contestabile e di capitano generale dell’esercito. È forse opportuno recuperare la notizia, purtroppo non documentata da Orlandi 1986, p. 181, e nel quadro di un possibile travaso di maestranze, dell’attività svolta da Desiderio da Subiaco nell’isola di Ischia, ove sembra avesse decorato alcuni ambienti del castello, quello presumibilmente abitato da Ferdinando II figlio di Alfonso, nella fase della sua travagliata e temporanea permanenza nell’isola nei primi mesi del ‘95. Per le relative vicende storiche, v. Caravale, Caracciolo, pp. 140-149; per il castello, di origine medievale, poi angioino e riattato dagli Aragonesi con un lungo perimetro fortificato a mare, per il suo progressivo abbandono e la recente ristrutturazione degli interni su iniziativa privata, v. Barbieri, pp. 11-13, 26 e L. Santoro, pp. 73, 134.

429) La cessione è del 6 luglio; venne riconosciuta il 3 febbraio del ‘99 e confermata nel 1504, v. Lugini, pp. 306-308.

430) Virginio, oltre lo spartiacque dei Simbruini, aveva concluso entro il 1490 la ristrutturazione di una catena di castelli, tra cui Avezzano, già torre sul Fucino per controllare e gestire efficacemente l’economia piscaria e agricola delle colline ripuarie, v. Del Bufalo 1977, pp. 15-18 e Idem 1984, p. 181. 431
Già p. Zinanni 1988, p. 236, su indicazione orale di M. Sciò, ipotizzava fossero i Maccafani.

432) Cfr. più in genere Sensi 1980, pp. 87, 95; Idem 1990, p. 139 e nota 30; Vauchez 1993, pp. 470, 472.

433) Dupront 1987/1993, pp. 424-425; Zoff 1991, p. 38 e Eadem 1992.

434) Per analoghi casi, v. Sensi 1989, p. 205 e Vauchez 1993, p. 472.

435) Ci riferiamo al santuario di S. Maria de Monte Dominico, cioè di S. Maria delle Grazie a San Polo dei Cavalieri-Marcellina, degli Orsini dal 1391, v. Fedeli Bernardini 1991c, pp. 270-271.

436) Ricordiamo S. Maria de Runcio a Roccagiovine, degli Orsini dal Trecento, chiesa campestre oggi diruta, anch’essa sui confini di più comunità, v. Fedeli Bernardini 1991c, pp. 268-269.

437) È noto il santuario di S. Maria delle Grazie a Scandriglia-Ponticelli Sabino, appena km. 10 a est di Farfa, ove gli Orsini furono i diretti patroni della fondazione, v. Aloisi, pp. 26-29. La sede era punto di riferimento per gli abitanti di Montelibretti, Montorio Romano, Ponticelli, Scandriglia e Nerola,
di cui l’ultima, residenza del casato, era naturale sbarramento tra i loro possessi. La fondazione risale agli anni centrali del pontificato di Sisto IV (1478-1480) e fu voluta come ex-voto da Raimondo Orsini conte di Nerola e da sua moglie Giustiniana. I baroni già dalla fine del Trecento, su invito dell’abbazia di Farfa minacciata dai Savelli, controllavano il castello e il contado (Schuster 1918/1989, in ASRSP, pp. 44-45), loro confermati nel corso del Quattrocento. Più in genere alcuni rami del casato dominavano in Sabina nel XV secolo, specie nelle terre intorno a Farfa (v. Rosati, cap. IX; Leggio 1995b, sezione storica e Idem 1995c, p. 47), tutte dell’abbazia nel citato bilancio della Camera Apostolica del 1480-‘81.

438) Già sotto gli Svevi aveva un ruolo strategico, indebolitosi con gli Angioini; a fine Trecento fu prigione degli Orsini di Tagliacozzo, che acquistarono l’abitato nel 1375 dopo numerosi atti legali (v. ASC, A.O., II. A.
06.030, II. A. 06.029 e II. A. 05.055). Passato nell’Ottocento ai Maccafani, è dal 1966 dell’avv. Aldo Maria Arena, che lo ha restaurato tra il 1968 e il ‘75 (premio CEE 1983; Gizzi, pp. 81-83 discute la qualità degli interventi; brevi indicazioni sono in Perogalli, p. 52, fig. 51; Moretti, pp. 898-899; Sciò 1993).
439) Il loro palazzo, ristrutturato più volte e oggi in vendita, si presenta nella modesta traduzione seicentesca di un’affie-volita eco barocca, v. Bonfà, Ruggero, Ventrice, p. 640 e Fasolo, p. 200.

Testi tratti dal libro Pittori di frontiera

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