S avvistarono, da lontano, le prime case di S Pietrasecca. “Pare alla fine del mondo” disse il prete scosso da brividi. “È un paese disgraziato” disse Magascià. “Due volte è stato distrutto dalle alluvioni, una volta dal terremoto”. E più avanti, nella stessa pagina 71: Il traino arrivò a Pietrasecca verso l’ora del crepuscolo. Don Paolo vide davanti a sé una sessantina di casette affumicate e screpolate, di cui una parte avevano le porte e le finistrelle chiuse, essendo probabilmente deserte. Il villaggio appariva costruito in una specie d’imbuto, incavato nella chiusura della valle. Così Pietrasecca, villaggio montano tra Tagliacozzo e Carsoli, è presente nella memoria di Ignazio Silone nei primi anni Trenta del secolo scorso.
Lo scrittore, rifugiato in Svizzera, ha già pubblicato Fontamara e prepara il secondo romanzo dell’esilio, Pane e vino (titolo originale nell’edizione del 1936, divenuto Vino e Pane nella prima edizione in Italia, del 1955). Per i passi (in corsivo) e per le pagine (in parentesi) si segue la ristampa del 1996, Oscar Mondadori Classici moderni. La memoria d’un paese che non è quello nativo si nutre si sa dei ricordi di visite occasionali, di impressioni visive a distanza ricevute in viaggio, dei racconti di abitanti del posto, dell’immaginazione aiutata dalla conoscenza di luoghi simili.
E in quell’epoca di fame e di stenti, di arretratezza e di miserie connaturate alla situazione dei luoghi (per i paesi di montagna come Pietrasecca) o cagionate dall’uomo stesso (come, per i paesi della piana del Fucino, il vessatorio regime di relazioni politicoeconomico sociali), tutti i posti dovevano essere quasi simili. Ma, al di là delle condizioni sociali e della componente umana costruita dalla fantasia dello scrittore, e che perciò resta permeata sempre dell’amore o della simpatia dell’autore per le proprie creature, è l’ambiente fisico, naturale, quello che colpisce nella descrizione del posto. Un territorio inaccessibile, aspro (la strada … entrò nella serra di Pietrasecca, dapprima ampia, poi strozzata tra ripide pendici di rocce grigie; p. 70), inospitale (Non capisco come si possono costruire paesi in luoghi così stupidi), opprimente (Quanto tempo era condannato a rimanere ancora in quella Siberia? p. 79). Ma è solo un campionario. Eppure, anche una terra come questa offre, talora, emozioni di pace, di serenità, di raccoglimento quasi religioso, di dolcezza e umiltà francescane.
A sera: Voci perdute si udivano in lontananza, richiami di pecorai, latrati di cani, sommessi belati di greggi. Dalla terra umida si le vava un leggero odore di timo e r osmarino selvatico. Era l’ora in cui i cafoni rientravano gli asini nelle stalle e andavano a dormire. Dai vani delle finestre le madri chiamavano i figli ritardatari. Era un’ora propizia all’umiltà. L’uomo rientrava nell’animale, l’animale nella pianta, la pianta nella terra. Il ruscello in fondo alla valle si gremiva di stelle. Di Pietrasecca sommersa nell’ombra, non si distingueva che la cervice di vacca con le due grandi corna arcuate sulla sommità della locanda (p. 260, fine cap. XXV). Pietro Spina (alter ego di Silone), il protagonista sovversivo, è ritornato nella sua Marsica a cercare i compagni d’un tempo, a tentare l’impresa impossibile di far prendere coscienza ai cafoni per la lotta redentrice. Ma resta deluso, e vive braccato; per di più, è malato.
E allora, per nascondersi e rimettersi in salute (p. 62) si rifugia nella Pietrasecca inaccessibile, che non è un paese, è una trappola, ma proprio per questo è dimenticata dai potenti (“Mancano tutti i comodi” disse Magascià. “L’unico vantaggio è che anche le autorità si occupano poco di noi”; p. 72). Pietro Spina, travestito da prete, qui è don Paolo Spada. Pietrasecca ha vasto spazio nell’architettura del romanzo, giacché le vicende di ben 13 dei 29 capitoli (dal VI al XIV; il XXV, dedicato a Murica; il XXVIXXVII XXIX) sono ambientate nel suo territorio, con ampie descrizioni della topografia, della vita in paese, e anche di certe usanze: il battesimo di un giovane asino (p. 74); la fattura pp 118-120); la preparazione del pane (p. 248); lo strascìno (p. 276); la mostra del lupo ucciso, portato in giro sulla groppa d’un asino (p. 279).
E, ancora, i personaggi innumerevoli, descritti nella loro complessità psicologica o appena tratteggiati con umorismo o ironia: Magascià il carrettiere; Sciatàp, vecchio contadino; Matalena Ricotta, locandiera; don Simone Scaraffia; la razza dei Colamartini: don Pasquale, Cristina, Alberto, le tre vecchie donne di casa; Cassarola la fattucchiera; Luigi Banduccia, cacciatore di lupi; Cesira, una vecchia corrosa dalla fame e dai parti, che si lamentava sempre per strani dolori; Chiarina con la sua capra; Filomena Sapone; Annunziata e Lidovina; Annina; la signorina Patrignani, maestra; Teresa Scaraffa; fra’ Gioacchino, cappuccino; i vecchi Fava, Grascia, Mastrangelo. Vogliono essere, queste, soltanto delle notazioni: per un maggiore approfondimento su luoghi vicende personaggi del romanzo; per uno studio reso più interessante dalle trasformazioni che Pietrasecca oggi presenta rispetto alle risultanze memoriali che avevano sorretto Ignazio Silone nella sua costruzione artistica.
Foglio di Lumen
Pasquale Petricca
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