Comune di Bisegna

Non erano giorni di bilanci. C’era solo il dolore dei sopravvissuti che non avevano più lacrime per piangere chi non c’era più. La gente girava inebetita tra la desolazione delle macerie. La conta di quanto era restato in piedi poteva attendere. In questo clima da Giudizio Universale vien da pensare che il crollo di una chiesa fosse l’ultima cosa che poteva passare per la mente di chi aveva perduto i propri cari e la propria casa. Eppure non fu cosi. Il senso del vuoto lasciato dal devastante terremoto, si fece più profondo quando i sansebastianesi, alzando gli occhi sulla chiesa Parrocchiale, videro che questa si era come ripiegata su se stessa.

Soltanto la facciata e il campanile avevano retto all’urto; il resto si era miseramente sgretolato; il tetto era crollato seppellendo le statue dei santi, i sette altari, il coro, il tabernacolo dorato, i quadri e i paramenti. In un istante la gente capi che non avrebbe mai più riavuto la sua chiesa bella com’era prima. In effetti, guardando l’attuale chiesa Parrocchiale, non si può neppure immaginare alla lontana quanto questa fosse bella prima di quel tragico mattino del 13 gennaio 1915. Una serie di documenti conservati presso l’Archivio Diocesano di Avezzano uniti ai ricordi degli anziani di San Sebastiano, ci hanno permesso di realizzare una ricostruzione storica della chiesa di San Pancrazio e, successivamente, una versione grafica dell’intero fabbricato. 

Ma vediamo come si presentava la chiesa ai fedeli che varcavano l’ampio portale. Iniziamo proprio dal portale che, delimitato ai lati da due colonne poste a sostegno dell’architrave in pietra lavorata, era a sua volta sovrastato da una lunetta affrescata. Il tutto appariva come “protetto” all’interno di un archivolto abbastanza marcato. La chiesa aveva tre navate. Il pavimento, in cotto, era caratterizzato da una croce realizzata con lastroni di pietra bianca che correvano lungo tutta la navata centrale, fino a raggiungere i sette scalini che portavano all’altare maggiore, a sua volta sistemato su un altro rialzo. Le braccia della croce arrivavano alle navate laterali. Una settecentesca balaustra a colonnine, con al centro un cancelletto in ferro battuto, separava la scalea dall’area dell’altare. Sulla colonna che accanto al rialzo dell’altare separava la navata sinistra da quella centrale, era addossato un pulpito in pietra. 

L’altare maggiore, sostenuto da due angeli scolpiti in pietra, aveva una “…custodia dorata dove venivano custodite il Venerabile e alcune Sante Reliquie”. Il tabernacolo era sormontato da una bella croce dorata. Dietro l’altare una grata in legno celava agli sguardi l’area del coro alla quale si accedeva attraverso due porticine che aprivano i battenti ai lati dell’altare. L’antico coro, in legno intagliato, era costituito da una serie di alti scranni dove trovavano posto i “cantori”; in cima ad ogni scranno, una piccola croce. Sotto la navata di destra erano sistemati tre altari, il primo, entrando, era dedicato a Sant’Antonio Abbate, il secondo serviva la Cappella del Suffragio detta anche del Purgatorio, e il terzo era santificato alla Madonna del Rosario. Sotto la navata sinistra, andando verso l’altare maggiore, si trovavano l’altare della Cappella di Santa Maria del Carmine, quello della Cappella di Santa Caterina e, infine, l’altare della Cappella di San Michele Arcangelo. 

Di questi altari troviamo notizie più complete nel quinto capitolo dell’inventario di tutti i beni “mobili, stabili, semoventi, frutti, rendite e raggioni” stilato in San Sebastiano dei Marsi il 19 marzo del 1728. Riguardo all’altare del Santissimo Rosario “…non vi è notizia di fondazione, solo essere stato restaurato da’ fratelli di detta Compagnia fondata nel 1694, ll ottobre di detto anno, col placet dell’Illustrissimo Monsignor Corradini. In oltre in detta Cappella vi è una Messa Cantata ogni prima domenica del mese e cinque Messe Cantate dopo le cinque feste principali della Madonna, cioè dopo la Purificazione, l’Annunciazione, l’Assunzione, la Natività, e dopo la festa del Rosario “. 

La Cappella del Suffragio, o del Purgatorio, fu fondata dall’Università di San Sebastiano “nell’Anno del Signore 16á6”, la stessa comunità provvedeva al mantenimento della Cappella, mentre i sacerdoti avevano l’obbligo di officiarvi una Messa a settimana ed erano tenuti a dotare la Cappella di tutte le suppellettili necessarie. La Cappella di San Michele Arcangelo fu fatta costruire dalla famiglia Filippi nel 1613; gli stessi Filippi dotarono la Cappella di un fondo garantito dalla rendita di alcune terre, con l’obbligo per i sacerdoti di officiarvi una Messa a settimana e, il 24 dicembre, una Messa Cantata. La Cappella di Santa Caterina “fu fondata dalli Ceci di detta Terra di San Sebastiano nell’Anno del Signore 1658” e, neanche a dirlo, anche questa prevedeva l’obbligo di una Messa a settimana come stabilito per decreto dal Vescovo dei Marsi il quale, però, obbligava al mantenimento e ai restauri della stessa, i fondatori e i loro eredi. 

La Cappella del Carmine era stata realizzata nel 1638 da un’altra ricca famiglia di San Sebastiano, quella degli Amicheti, i quali tra i propri ascendenti vantavano diversi sacerdoti che, con i d’Arcadia, i Berardini e i Grassi, di generazione in generazione si alternavano alla guida del clero locale. Tra i beni “mobili” della chiesa di San Pancrazio, oltre a numerose pianete e piviali in seta, figuravano due croci d’argento, una grande e una piccola “… l’altare del Santissimo have due croci, una sopraindorata e l’altra inargentata con Cartagloria Sacrifitio Laude”. Seguivano sei calici con coppe d’argento e piedi di rame di pregio “ciascune di onze sette”. Due Patene d’argento indorate “di onze sei; Patene indorate di rame libre due e due onze; di più un calice con coppa di argento e piede di rame, una libra e tre onze”. 

L’elenco dei beni “mobili” prosegue illustrando tovagliati di seta in vari colori, altri Piviali, Patene e tutta una serie di Coppe d’argento, due delle quali attribuite alla Cappella di Santa Maria di Costantinopoli, che però si trovava nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, l’attuale Santa Gemma. Il capitolo riservato ai beni “mobili” della chiesa termina con la descrizione delle famose campane, benedette nel 1727 da Monsignor Corsignani Vescovo di Venosa. 

Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )

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