Comune di Bisegna

La storia di Santa Gemma si svolge tra San Sebastiano e Goriano Sicoli, che a quei tempi erano terre sottoposte al dominio del conte Ruggiero da Celano. Gemma Spera, così si chiamava la pastorella, era nata a San Sebastiano intorno al 1372 da una povera famiglia che, con un piccolo gregge, si era trasferita a Goriano Sicoli. 

La storia della vita di Santa Gemma venne scritta nella seconda metà del 1600, pubblicata a Napoli nel 1678 dal Febonio nell’Historia Marsorum e ampliata nel 1738 da Monsignor Pietro Antonio Corsignani, Vescovo di Venosa, nella sua “Reggia Marsicana”. “Per alleggiamento della lor povertà scrive il Corsignani i suoi genitori con poche pecorelle, che aveano, e con piccioli altri bestiami anco di lana, dal proprio luogo si partirono per far dimora nel castello di Gordiano Sicolo, diocesi di Sulmona, che oggi in voce più spedita Goriano Sicolo si suol chiamare”. Quindi Gemma per volontà dei suoi genitori da ragazza faceva la pastorella e crescendo mentre mostrava tutta la sua bellezza interiore nello stesso tempo diventava altrettanto graziosa nell’aspetto, cosi, come scrive il Corsignani: “Girando un di per quelle campagne Ruggeri conte di Celano, l’anno 1384, in vedere la graziosa pastorella, se n’infiammò, e non lascio in questo di sfrontatamente manifestarle gl’indegni e licenziosi suoi appetiti”. 

Ma Gemma, dopo un breve imbarazzo, seppe ben difendersi, rimproverò il Conte al punto di farlo vergognare e lo convinse a costruirle una celletta di fronte alla chiesa di San Giovanni, a Goriano, nella quale rimase rinchiusa in solitario ritiro, come eremita, in penitenza e preghiera per il resto dei suoi giorni. La fama della sua santità si propagò in breve tempo e dai paesi vicini tanta gente accorreva a lei per confidarle le proprie pene e per riceverne consigli spirituali… “e ognuno maravigliando se ne ripartiva in vederla tanto e si fattamente nello Spirito addottrinata”. Mori a 54 anni, ridotta allo stremo dalle austere penitenze alle quali si sottoponeva. Fin qui la storia. 

Oggi si festeggia la Santa tramandando un’antica tradizione che vede ogni anno una ragazza di San Sebastiano assumere le sembianze di Santa Gemma con vestito e calzari dell’epoca. La giovane, accompagnata da parenti e paesani, si trasferisce a Goriano dove viene accolta con tutti gli onori e, con sentita religiosità, si fa gran festa. La “Procuratrice”, cosi si chiama la ragazza che impersona Santa Gemma, presiede le funzioni religiose e per tre giorni dimora nell’antica casa della Santa. 

I pellegrini sansebastianesi sono trattati con molto riguardo e, fino a non molto tempo fa, venivano accolti e rifocillati dopo aver fatto il percorso a piedi attraversando la montagna che divide i due paesi. Anticamente, e fino al 1940, la parte di Santa Gemma . poteva essere assegnata anche alle donne sposate. Dal 1940, invece, in omaggio alla purezza della Santa venne deciso che la “Procuratrice” doveva essere una ragazza non maritata. Prima “Santa Gemma” del nuovo corso nel 1940 fu Gemma Spera, figlia di Enrico, la quale per una pura sorte che rafforzava il simbolismo, portava lo stesso nome e cognome della Santa. Ci sono poi intere “dinastie” di Procuratrici, come nei casi di Anna D’Anselmi e delle sue due figlie, Dina e Teresa Di Flauro e di Assunta Grassi, che aveva partecipato da sposata, e delle sue due figlie Enza e Ivana Di Mattia. 

Vogliamo citare, infine, un episodio che molti ancora ricordano: nel 1955 la Procuratrice Loreta Grassi, si recò a Goriano a piedi portando avanti a se un piccolo gregge di pecore. Proprio come Santa Gemma. Ma vediamo quali sono state le “Procuratrici” che dal 1940 hanno sostenuto l’ambito ruolo di Santa Gemma in questa rievocazione che, con il rito delle “Panette”, è restata una delle più genuine manifestazioni della nostra cultura popolare: 

1940 Gemma Spera 
1941 Anna D’Anselmi 
1942 Lucia Conte 
1943 Redenta Checcacci 
1944 Irma Berardini 
1945 Dora Di Bartolomeo 
1946 Giustina Di Silvio 
1947 Matilde Palleschi 
1948 Olga Grassi 
1949 Clara De Dominicis 
1950 Ludovica Grassi 
1951 Wilma Anselmi 
1952 Angela Grassi 
1953 Filomena Conte 
1954 Dora Giocondi 
1955 Loreta Grassi 
1956 Rosaria De Santis 
1957 Dina Ubertini 
1958 Lina Conte 
1959 Lucia Ubertini 
1960 Maria Ubertini fu Angelo 
1961 Elisa Grassi 
1962 Dina Di Flauro 
1963 Fernanda Conte 
1964 Donata Di Bartolomeo 
1965 Enza Di Mattia 
1966 Maria Ubertini di Sebastiano 
1967 Anna Ubertini 
1968 Teresa Di Flauro 
1969 Fernanda Grassi 
1970 Loreta Berardini 
1971 Teresa Grassi 
1972 Virginia Ubertini di Franco 
1973 Virginia Ubertini di Ugo 
1974 Luisa Caranfa 
1975 Ada Giocondi 
1976 Ivana Di Mattia 
1977 Rina D’Eramo 
1978 Giocondi Mirella 
1979 Concetta Fallucchi 
1980 Maria Carmina Di Flauro 
1981 Giovanna Berardini 
1982 Filomena Grassi 
1983 Maria Antonietta Gagliardi 
1984 Donata Giacomantonio 
1985 Bettina Di Bartolomeo 
1986 Concetta Conte 
1987 Elisabetta Gallotti 
1988 Liberata Mercuri 
1989 Sonia Berardini 
1990 Carla Gagliardi 
1991 Angelica Di Flauro 
1992 Alessandra Grassi 
1993 Paola Fallucchi 
1994 Emanuela Scarnicchia 
1995 Wanda Di Bartolomeo 
1996 Donatella Conte 
1997 Nicoletta Ubertini. 
1998 Di Flauro Severina
1999 De Dominicis Rossella
2000 Fallucchi Francesca
2001 Di Bartolomeo Mirella
2002 Sbucafratta Annamaria

Dalla Santa al rito e dal rito alla chiesa che è poi quella della Madonna delle Grazie, riportata agli antichi splendori da un recente restauro, e che per volontà popolare è dedicata anche a Santa Gemma. Le notizie su questa chiesa sono poche ma chiare Una pietra murata alla base della porta della sacrestia accenna ad un restauro avvenuto a cura della contessa di Amalfi nel 1540. Nel 1680 viene citata in occasione di una visita pastorale fatta dal Vescovo della Diocesi di Pescina. 

Dal punto di vista architettonico la chiesa presenta una struttura abbastanza semplice soprattutto all’esterno dove la facciata, molto rimaneggiata, conserva le pietre originali ( una angolare, in alto a destra, porta scolpite le mezzelune dei Piccolomini ). Dell’antico portale e del rosone non vi è rimasta traccia. Alcune pietre lavorate sono state usate nella costruzione del sottostante muraglione, evidentemente dopo il terremoto del 1915. Semplice, ma elegante, è il campanile a vela posato sopra la sacrestia. L’interno a navata unica è coperto da una volta a botte costruita con mattoni inseriti a taglio in maniera da formare un gradevole effetto geometrico; inoltre tre costoloni in pietra, a tutto sesto, viaggiano sulla stessa volta e quello centrale poggia su due colonne squadrate i cui capitelli purtroppo sono molto rovinati. 

Il pavimento originale era in cotto a mattoni ottagonali e tozzetto quadrato, come si puà ancora vedere in sacrestia, e sotto di esso durante i recenti lavori di restauro sono state trovate delle tombe; la qual cosa conferma l’ipotesi che Santa Maria delle Grazie, come San Sebastiano, almeno per un periodo è stata chiesa sepolcrale. Nel resoconto di un’altra visita pastorale, avvenuta nel 1706, si legge: “La chiesa di Santa Maria delle Grazie, fuori del paese, ha due altari; il primo intitolato alla Madonna delle Grazie e l’altro a Santa Maria di Costantinopoli”. 

Le persone più anziane del paese ricordano che il secondo altare, più piccolo ma dello stesso stile del primo, era collocato nella parete destra, a fianco della porta della sacrestia, e che, danneggiato dal terremoto del 1915, venne definitivamente demolito e mai più ricostruito per far posto ai banchi degli uomini, visto che la chiesa non aveva una capienza adeguata alle necessità della popolazione. Ora è rimasto soltanto l’altare maggiore, di fattura barocca, compreso il paliotto che è decorato con figure di angioletti in stucco. Nella parte superiore vi è incastonata una pala d’altare di buona fattura raffigurante la Madonna con il Bambino e, ai lati, San Pancrazio e Santa Gemma. La tela, datata e firmata, è una delle ultime opere di Giuseppe Ranucci, discepolo del grande Sebastiano Conca, realizzata nel 1758. 

Pur non avendo valore venale, il dipinto testimonia l’importanza rivestita a quei tempi da questa chiesa. Valutando le poche notizie che sono giunte fino a noi sulla vita di Giuseppe Ranucci e sulle sue opere datate e firmate, possiamo asserire con certezza che il dipinto conservato nella chiesa di Santa Gemma è l’ultimo di quelli finora conosciuti e, comunque, uno degli ultimi realizzati dal maestro. Titolo, firma e data riportati in basso, al centro del quadro (Aeques Ioseph Ranucci Inuca et pinxit 1758 ), già da soli parlano di un pittore all’apice della sua carriera. Il Ranucci si firma “cavaliere” (Aeques) come il cavalier Carlo Maratta e il suo grande maestro il cavalier Sebastiano Conca il quale, infatti, firma molte sue opere “Aeques Sebastianus Conca”. Cavaliere, dunque, come i grandi maestri del nostro Settecento, che, sempre secondo l’iscrizione, non si limita a dipingere ma idea l’opera in questione e reputa la cosa tanto importante da lasciarne testimonianza scritta sulla stessa tela.

Il critico d’arte Anna Lo Bianco, profonda conoscitrice del Conca e della sua cerchia, parlando del Ranucci afferma: “Tutta la produzione oggi nota dell’artista si iscrive infatti nel periodo che va dal 173á, data per il quadro della chiesa dei Santi Celso e Giuliano, al 1757, anno della pala 

della chiesa di San Lorenzo in Panisperna in Roma”. Il quadro conservato nella chiesa di Santa Gemma, raffigurante la Madonna con il Bambino in Gloria, San Pancrazio con la palma romana e Santa Gemma in preghiera è dunque opera dell’età matura dell’artista che la realizzò nel 1758, un anno dopo della pala d’altare raffigurante la Concezione di Maria Vergine dipinta per i Francescani della chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna. Questa tesi è suffragata, oltre che dalla data, anche dalla qualità del dipinto che, ad un’analisi comparativa, risulta decisamente superiore a tutti quelli conosciuti eseguiti in precedenza. La tela, notevolmente danneggiata dalle ingiurie del tempo e dall’umidità, è stata restaurata nel 1996 grazie all’interessamento dell’attuale Parroco, Don Cesare Agosta Gottardello, e ricollocata sull’altare della chiesa.


Testi tratti dal libro Il Paese della memoria
( Testi del prof. Ermanno Grassi e del prof. Pino Coscetta )

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