Comune di Scurcola Marsicana

Sulla celebre Chiesa e sul Convento di S. Maria della Vittoria hanno riferito numerosi storici italiani e stranieri e ad essi noi attingiamo (Confr. fra i tanti, i nostri Febonio, Corsignani, Di Pietro, V. De Giorgio, C. Grassi, P. Bontempi, M. Fiorani, G. Marini). Interessante e particolarmente documentato lo studio di G. Marini: ” La battaglia di Tagliacozzo e le vicende di tre chiese “, che qui in sintesi riporteremo. L’autore smentisce la tradizione che vuole attribuire a Carlo D’Angiò la costruzione della Chiesa di S. Maria del Soccorso a Tagliacozzo e quella di S. Maria delle grazie a Tufo.

I documenti e la storia parlano solo di un tempio eretto da Carlo d’Angiò ” per l’anima della sua gente morta ” come si esprime il Malespini ed è quello di
S. Maria della Vittoria, sorto nel luogo dove si svolse la fase decisiva della battaglia, presso il Castello di Ponte, secondo il diploma col quale l’angioino il
I’ gennaio 1274 dava incarico all’Abate di Casamari di condursi, con altri suoi fedeli, sul luogo della pugna, per conoscere dove meglio il tempio della Vittoria e l’annesso convento potessero essere innalzati. Dei numerosi documenti che si riferiscono a S. Maria della Vittoria molti sono riprodotti dall’Ughelli, molti dal Manieri-Riccio, dallo Schulz, dal Bindi, dal De Giudice e dall’Egidi.

Il De Giudice pubblicò ed annotò tutti i diplomi di Carlo I ed esaminò quelli di Carlo II, i quali erano conservati nell’Archivio di Napoli. Dei soli documenti che si riferiscono alla concezione, alla nascita ed alla perfezione del tempio dedicato alla Vittoria l’Egidi ne ha rintracciati circa trecento, che vanno dal 1274 al 1285. La chiesa e il monastero, cominciati nel 1274, non furono compiuti tanto presto. Risulta che gli edifici furono abitati verso la fine del 1277, nonostante vi si lavorasse ancora: tanto che quando fu consacrata la chiesa alla presenza del Re, venuto appositamente da Capua, erano finiti il presbiterio, il transetto cui si addossavano la sala capitolare e la sagrestia con sopra i dormitori. Solo nel 1281 fu compiuta l’abitazione dei Cistercensi.
Nel 1282 e nel 1283 vi si lavorava ancora per coprire di volte il monastero e compiere la parte decorativa delle finestre. Il Re provvide che dalla chiesa dei frati minori di Amatrice fosse portata alla Vittoria un’antica campana e fosse fissata sulla torre che certamente si levava ardita sul mezzo della crociera, onde di lassù il suo squillo corresse per le valli e per i monti, a Scurcola, a Tagliacozzo, a Magliano, ad Alba sino al Fucino, sino alle nevi del Velino.

Il Re emise diplomi per la Vittoria anche durante l’assedio di Messina, dopo i Vespri siciliani. Egli anelava di vederlo compiuto e perfetto perché prosperasse e risplendesse, a gloria sua, nei secoli. Chiamò a dirigerne i lavori i più valenti architetti. Era un tempio-monastero ricco di territorio e di feudi. Col diploma di dotazione del 3 agosto 1277 gli furono concessi dal Re i castelli di Ponti e di Scurcola: venti aratri di terra lavorativa nel tenimento di Ascoli Satriano in Capitanata e venti presso Salsiburgo, paese pure della Puglia ora scomparso, altri cinque nei dintorni di Alba; il diritto di pescare con barche nel lago del Fucino; un reddito annuale di 10 migliari di olio, 150 barili di zurra, 150 di tonnina, 500 tomoli di sale, 10 cantari di ferro e 500 libre di mandorle.
L’investitura all’abate Bartolomei dei castelli di Ponti e di Scurcola avvenne nel 1278, ma quello di Scurcola solo per la terza parte che era ricaduta nelle mani reali in seguito alla morte di Rosanna de Ponti. Le altre parti erano infeudate a Odorisio de Ponti, dal quale Carlo I le riscattò nel 1282. Odorisio ebbe in cambio il castello di Pettorano sul Gizio. I castelli di Scurcola e di Ponti rendevano venti once di oro all’anno.

Tutto il patrimonio terriero dell’abbazia era di 45 aratri da quattro buoi, equivalenti a 675 ettari, i quali compreso il bestiame formavano un capitale di circa un milione di lire, secondo gli accurati calcoli dell’Egidi. Il valore complessivo degli immobili (chiesa, monastero, molini) ascendeva ad un altro milione di lire (circa tre o quattro miliardi delle odierne lirette). Dopo la morte di Carlo I, avvenuta nel 1285, i monaci ebbero altri possessi feudali: il castello di S. Donato, il castello di Colle Guidone, i castelli di Poggio Filippo e S. Michele, concessi da Carlo Il nel 1304, la baronia dei Marsi, oggi S. Benedetto dei Marsi, i castelli di Venere, Vico, Lecce dei Marsi e Corcumello con i casali e loro appartenenze, secondo il diploma di Roberto dell’8 gennaio 1313.

Pare che il tempio fosse edificato, come afferma il Febonio, anche con marmi tolti dai superstiti monumenti di Alba Fucense. Si racconta che gli albesi tentarono di riprendersi i marmi e le pietre scolpite, ribellandosi agli ordini del Re, il quale invece aveva voluto punirli, perché alcuni abitanti di Alba durante la battaglia, quando le sorti parevano favorevoli a Corradino, si diedero a predare il campo francese. Il tempio della Vittoria era a croce latina a tre navate con abside rettolineare, come si rileva dalla ricognizione della pianta eseguita nel 1900: la chiesa era lunga 73 metri e larga 22 all’interno. Tutta la chiesa era murata in pietra concia piana, ma gli angoli, le finestre, le crociere, gli archi e i pilastri erano sagomati.

L’Abbazia fu danneggiata dal terremoto del 1456 che ebbe ripercussioni nella Marsica. Nel 1505 era ancora abitata, e fu data in amministrazione ad Alfonso Colonna. Leandro Alberti, visitando la Marsica nel 1525, trovò gli edifici deteriorati ” … a vedere detti edifici ne risulta gran compassione alli riguardanti “. Il Marini, a differenza del Febonio e del Corsignani, che tacciono al riguardo, afferma: ” la verità è che Fabrizio Colonna, avuta l’investitura dei contadi di Albe e di Tagliacozzo, non volle subire che fra il territorio dell’uno e dell’altro, costituenti insieme il Ducato di Tagliacozzo e dei Marsi, rimanessero a rompere l’unità dello stato i possedimenti della Badia.

Nel 1505 fece nominare Commendatario di essa Afonso Colonna suo congiunto, il quale a poco a poco costrinse i monaci ad andarsene e i loro feudi furono annessi al Ducato. L’Aloi che fu in Napoli l’avvocato dei Cistercensi, nella causa per la rivendicazione dei beni badiali intentata ai Colonna nel 1758, conclude la sua dissertazione: ” ridotti i Cistercensi della Vittoria dal Commendatario Alfonso Colonna a chiedere pane fuori di quel ricchissimo monastero, a lui restarono tutti i feudi, i fondi e le rendite tutte, non per effetto di terremoto o di guerra… ma per lo impegno in cui era entrato il nobilissimo personaggio, di procurare alla di lui splendida Casa ricchi possessi nel Regno “.

L’Egidi, riassumendo, aggiunge alle cause che condussero alla rovina della ” sontuosa abbazia innalzata dalla superbia del vincitore ” anche ” le feroci guerre tra Durazzeschi, Angioini e Aragonesi, tra Spagnoli e Francesi, tra Orsini e Colonnesi, che le facevano intorno il deserto, il mal governo dei commendatari che ne dissipavano il pa trimonio “, nonché ” la distruzione fattane a furia di popolo a causa delle galanti imprese dei monaci ” secondo una tradizione conservata oralmente a Scurcola. E’ così riportata dal De Nino (Tradizioni Popolari Abruzzesi): ” Palentinia aveva giurisdizione altresì nei paesi vicini di Magliano e Scùrcola.

Perciò da lei presero nome i Campi Palentini, in cui successe la storica battaglia fra Corradino e Carlo d’Angiò. La battaglia si chiamò di Tagliacozzo, perché questa simpatica cittadina fu già un tempo metro: poli di un omonimo Ducato feudale. Ma, essendo oramai assodato che la battaglia medesima avvenne nel territorio di Scùrcola, alla sinistra dell’Imele, affluente del Salto, più esatto sarebbe denominarla Battaglia della Scùrcola. ” Le cronache ricordano che sul luogo della battaglia, e proprio nella contrada della Cardosa, Carlo d’Angiò fece erigere la chiesa di Santa Maria della Vittoria e un monastero di Cisterciensi. ” Cade qui a proposito un po’ di storia tradizionale sulla scomparsa di questo monastero. Quello che non dicono le cronache, ce lo dice la viva voce dei vecchi marsicani. ” Narrano adunque, questi vecchi, che i Cisterciensi, provveduti di immense ricchezze’ s’erano dati a ogni vizio. Tra l’altro, rapirono una delle più belle giovanette del paese. Di giorno la chiudevano dentro una sepoltura vuota e di notte orgia. Nessun indizio pel rinvenimento. La rapita aveva però sette fratelli, i quali, cupidi di vendetta, avevano percorso tutti i paesi della Marsica; ma sempre invano. Si intende che visitarono anche il Monastero. Ma potevano pensare alla sepoltura? Uno dei fratelli ebbe la felice ispirazione di proporre una visita notturna al Monastero.

La proposta fu accettata, A notte alta, i sette fratelli, armati fino ai denti, scalarono il Monastero, e uccisero quanti monaci incontrarono, fino a che giunsero a una camera, dove trovarono la povera sorella che si era ridotta uno scheletro! Dei monaci non rimase seme. ” La notizia si sparse dappertutto. Non si vollero più frati nel convento; e la stessa chiesa fu abbandonata. D’allora ogni cosa andò in rovina, e tanto che oggi di Santa Maria della Vittoria rimangono pochi ruderi… “.

Nel 1525 tu innalzata nell’alto della Scurcola a fianco della antica Rocca, prima dei De Pontibus e poi degli Orsini e quindi dei Colonna, la nuova Chiesa detta pure della Vittoria. La Rocca era quadrangolare: una delle quattro torri dovette essere abbattuta per far posto alla nuova chiesa. Sull’altare maggiore vi fu collocata la statua della Madonna della Vittoria col bambino, donata da Carlo d’Angiò alla vecchia abbazia. Una leggenda narra che la Madonna apparve in sogno ad una vecchia di Tagliacozzo e le rivelò dove tra le macerie era sepolta.

E’ una scultura francese della fine del XIII secolo, di legno d’ulivo, dorata e dipinta. E’ chiusa in una cassa col fondo azzurro seminato di gigli angioíni e con le facce interne degli sportelli istoriati a tempera su tela, in cui furono dipinte alune scene del nuovo Testamento: l’Annunciazione, Re Magi, la Presentazione al Tempio a sinistra; la Crocifissione, la Sepoltura di Cristo a destra. Fino al 1894 le bellissime pitture erano intatte, ma nella notte del 10 marzo di quell’anno una mano sacrilega asportò vandalicamente buona parte delle tele, lasciando nello sportello di destra, il più danneggiato, il Crocifisso senza le estremità inferiori, il busto della Vergine a piè della Croce e ben poco degli altri due quadretti e nello sportello di sinistra quasi intere le tre scene, specie quella della presentazione al Tempio, la quale meglio mette in evidenza i pregi dell’opera e la valentia dell’artista identificato in Saturnino Gatti, insigne pittore abruzzese del XV secolo. Come narra il Febonio, il Vescovo dei Marsi Matteo Colli restaurò la chiesa e la ornò a sue spese. Nel 1757 la Madonna e il Bambino, furono decorati da corone di oro offerte dal popolo di Scurcola e dal Vescovo Mons. D. A. Brizi. Nel centenario della incoronazione, 1857, i devoti di Scurcola le donarono uno scettro d’oro e dieci anni dopo anche un trono dorato.

Testi tratti dal libro Guida storico-turistica

Testo a cura dell’Avv. Ennio Colucci

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