Arte e cultura della Marsica

Nacque il 21 novenbre 1873 a Magliano dei Marsí, in via Sant’Antonio n. 4, da Vincenzo di anni 53 e da Maria Malgarini di Rosciolo. Gli fu imposto il nome di Dante Oreste Luigi. Il nome Oreste, che è quello col quale viene ricordato, gli fu mutuato dal casato della madre, ove quel nome è comune.Come era Magliano quando Oreste venne alla luce? Non era più quello, certo, ancora feudale, in cui aveva trascorso la sua fanciullezza lo zio Berardo e neppure quello in cui erano nati sia il Cianciarelli che il Di Lorenzo. Si era ormai completata l’Unità d’Italia e anche i nostri centri incominciavano a risentirne gli effetti. Veniva istituita la scuola pubblica anche se a classi ridotte. Nel 1863 a Magliano decisero di abbattere la torre sovrastante la porta principale, simbolo, secondo l’espressione della delibera consiliare, dell’oppressione feudale.

Ma leggiamo che cosa scrive il già citato Nicola Marcone qualche anno dopo. “Il maglianese tiene moltissimo a credere che l’origine della denominazione del proprio paese venga dal maglio, che è l’istrumento indispensabile a tutti i mestieri, ed oggi, dal fondo delle diverse officine, lavora e manda in commercio paste eccellenti, candele steariche e di cera, colle forti ecc. Gli stessi mestieri in quel grazioso paesello s’innalzano all’altezza delle arti, perché vi si fanno le esposizioni e non è raro vedervi uno stivale lavorato a sorpresa, dal quale, calzandolo, scatti lo sprone e qualche volta il coltello e la forchetta o altri gingilli. E’ una gara di lavoro, di operosità, di mutua assistenza. In una parola a Magliano nessuno è in ginocchio, ma tutti in piedi e vivi alla vita dei tempi.
A questo quadro idillico fanno certo contrasto le condizioni in cui erano costretti a vivere i lavoratori dei campi, ma queste diverranno veramente disagevoli alla fine del secolo e agli inizi del novecento. E’ infatti in quest’ultimo periodo che forti ondate migratorie abbandoneranno il paese. nostro Oreste, quando lo zio Berardo moriva nel gennaio del 1878, aveva cinque anni, ma sicuramente i suoi avranno seguitato a parlargli di questo zio, che aveva conosciuto lo Zar di Russia, che era stato ricevuto da Ferdinando Il di Napoli e che grande fama aveva acquistato a Londra persino presso la Corte della regina Vittoria. Aveva intanto iniziato la sua attività Vincenzo Cianciarelli, e Tommaso Di Lorenzo si affermava, vincendo il concorso alla Regia Calcografia.

Anche la musica veniva coltivata da alcuni appassionati. Veniva ricostituito il complesso bandistico, che venne poi premiato in una manifestazione ad Aquila. Il maestro e letterato Gustavo Giusti sarà direttore della “Tribuna” e il medico Vincenzo Giusti comporrà melodie sacre e profane, il poeta satirico Vincenzo Amicucci affinava le sue armi per scherzare con le sue sestine su amministratori comunali e personaggi caratteristici. In questo clima di vivacità culturale, Oreste, insieme ad un altro ragazzo che diverrà uno dei principali antiquari di Firenze, Achille Di Clemente, inizierà lo studio del disegno alla scuola di Vincenzo Cianciarelli. Questo primo apprendistato lo ricorderà sempre con gratitudine e nostalgia. La scuola del Cianciarelli, come spesso ricordava, era stata per lui fondamentale. In omaggio al vecchio maestro, che ormai era scomparso da tempo, ripulì e restaurò con molta diligenza il Martirio dei Santi Giovanni e Paolo. Passò quindi a studiare all’Accademia di San Luca e poté così entrare in contatto col mondo culturale della capitale. Non sappiamo quali fossero i suoi maestri. Certo dalla sua arte, specialmente per quanto riguarda composizioni con figure umane e di decorazione, possiamo dedurre che si trattasse di insegnanti accademici. Diversi invece gli influssi per nature morte e paesaggio. Ma di ciò parleremo fra poco.

Ora possiamo solo affermare che Oreste Amiconi, il cui periodo di formazione coincide con quello umbertino, rimase certo affascinato dalle mode che dominavano allora negli ambienti ufficiali, protese a dare alla capitale un volto degno della Nuova Italia. E a questa Roma egli rimase sempre legato. In una foto dei primi del Novecento, che l’artista gelosamente conservava nel suo studio, è ritratto insieme a Emilio Gallori, continuatore dell’opera iniziata dal Chiaradia e ad altri artisti romani, dentro il ventre del colossale cavallo in bronzo del monumento a Vittorio Emanuele II, prima che la statua, tanto discussa sotto l’aspetto artistico, venisse collocata sul grande piedistallo al centro del Vittoriano. Ciò a riprova che il nostro fu ben addentro alla vita artistica e culturale della capitale.

La sua arte riscosse senz’altro successi se venne chiamato ad insegnare nel celebre Istituto di San Michele. Non conosciamo purtroppo le opere di questo periodo, facendo esse parte di collezioni private, non accessibili al pubblico. Sappiamo però che la sua opera fu molto richiesta anche per la decorazione di case patrizie e di edifici pubblici. Trattò un po’ tutti i generi della pittura, dal paesaggio alla natura morta, dal ritratto alle grandi composizioni sacre e a vasti cicli decorativi. Quando, alla fine degli anni quaranta, io, allora molto giovane, ebbi la fortuna di entrare in contatto con l’anziano artista, egli soleva rammaricarsi di aver disperso energie in più generi. Pensava che avrebbe incontrato maggiori successi se avesse curato un solo genere. In realtà si trattava della insoddisfazione propria di quanti, avanti negli anni, hanno avuto dell’arte un concetto veramente elevato. Forse non ricordava una osservazione di Leonardo secondo la quale non è buono artista colui che è contento della propria opera.

La verità è che, se Oreste Amiconi non è riuscito ad avere un posto nella storia dell’arte contemporanea, è perché non si è voluto adattare alle mode. Il suo carattere schivo, una certa timidezza propria del suo essere, il concetto che l’Arte consistesse nella perfezione e non nello sperimentalismo e nella novità a qualunque costo, lo tennero lontano dal travaglio esistenziale che non è solo dell’arte, ma di tutta una età, che brancola ancora nelle tenebre alla ricerca di nuovi ideali, che appaiono però come miraggi nel deserto per dissolversi al primo contatto con la realtà. Nella prima grande Rassegna d’arte, avutasi in Avezzano nel 1950, che segna l’inizio di quella che verrà definita “Scuola Marsicana”, egli fu chiamato a far parte della giuria che doveva selezionare le opere da esporre. In quella occasione, in omaggio al vecchio Maestro, gli fu riservata una intera sala. Vi furono esposti: paesaggi, ritratti, nature morte, e una serie di acquerelli raffiguranti scorci di Magliano prima del terremoto.

Ad Avezzano, del resto, Amiconi era noto da tempo per aver dipinto nel 1929 una grande pala d’altare, Il Battesimo di Cristo, che si trova nel catino absidale della chiesa di San Giovanni. Nel luglio del 1953 Oreste Amiconi lasciava l’Italia per raggiungere suo figlio in Brasile. Aveva ottanta anni e sapeva che questo viaggio sarebbe stato senza ritorno. Quando andai a salutarlo, ricordo che mi disse di sentirsi rammaricato di due cose: non veder valorizzato il sito del vecchio centro storico, sgombro dalle macerie del terremoto (temeva, anzi, che tutto si sarebbe compromesso con possibili costruzioni antiestetiche), e il disinteresse dei suoi concittadini per la sua arte. Avrebbe desiderato far dono alla cittadinanza di un suo dipinto per ornare la Sala consiliare del Municipio, ma nessuna Amministrazione si era degnata di richiederglielo.

Eppure nei confronti della cittadinanza aveva degli indubbi meriti, primo fra tutti quello di aver decorato con arte e passione il Tempio votivo dedicato ai Caduti in guerra, dotandolo anche di una bella pala d’altare, La Pietà. In Brasile, e precisamente a San Paolo, alla fine del 1953, espose alla Biennale alcuni suoi lavori. Uno di essi fu premiato da quel governo. L’anno successivo una sua personale fu organízzata a Santos nel Salone di Marmo del Parque Balmorio dall’Associazione culturale italo-brasiliana. Venne inaugurata alla presenza del console italiano e di numerose personalità brasiliane. Ebbe il plauso di tutta la stampa del luogo.

Nel 1956, in occasione della mostra collettiva organizzata a Magliano nell’edificio delle Scuole elementari, già ricordata a proposito di Berardo, una sala fu riservata ad una retrospettiva di Oreste Amiconi. L’artista, informato da un suo amico, ringraziò con una lettera gli organizzatori non solo per l’esposizione dei suoi lavori, ma principalmente per aver voluto riportare alla memoria dei cittadini l’arte dello zio Berardo. Qualche tempo dopo, e precisamente nel 1958, l’artista si spegneva lontano dalla patria e dal suo paesello, che aveva tanto amato. Qualche anno prima aveva perduto la consorte, anche lei pittrice.

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