Comune di Balsorano

Sintesi sulle origini delle bande musicali

Le bande musicali, almeno a giudicare da quanto è stato scritto negli ultimi due secoli, non sono di origine molto remota. Tralasciando l’epoca medioevale, durante la quale gli strumenti a fiato – in prevalenza trombe – venivano usati per manifestazioni coreografiche e spettacolari, anche nell’era rinascimentale, caratterizzata da una straordinaria fioritura artistica e letteraria nonché da un più libero sviluppo del pensiero, non si riscontrano accenni a complessi bandistici veri e propri, né ai musicanti.

Di estrazione di musici municipali (Stadtmusiker) in servizio presso i comuni germanici alla fine del 1700, la banda, inizialmente, fu in uso negli eserciti europei e venne particolarmente curata in Francia durante il secolo XIX e in Inghilterra e in Belgio in epoche più recenti. A monte, quindi, delle bande musicali civili sviluppatesi in Europa, quali immediati precedenti stavano le bande municipali e militari sorte per esaltare le grande manifestazioni politico-amministrative e le spettacolari parate militari. In Italia e più diffusamente nelle regioni centrali e meridionali si ebbe un notevole sviluppo di esse nella metà dell’Ottocento, in seguito al congedamento di musicanti delle bande militari e della trasformazione di piccoli nuclei di pifferai, trombettieri e tamburini i quali, già da tempo, si esibivano all’aperto in occasione di fiere, feste e ricorrenze. Agli inizi del secolo XX le bande musicali sono in pieno sviluppo e si ha un notevole moltiplicarsi di compositori.

Alessandro Vessella, autore di meravigliose marce melodiche che ancora oggi sono nel repertorio di molti complessi bandistici, svolse una preziosa opera di divulgazione della cultura musicale quale direttore della banda municipale di Roma. Pietro Mascagni era direttore della banda musicale di Cerignola prima che la Cavalleria Rusticana lo lanciasse nell’olimpo della gloria e dell’immortalità. Lo stesso Verdi, negli anni giovanili, diresse la banda di Busseto, sua paese natale. I complessi bandistici erano, come lo sono attualmente, musica popolare eseguita da uomini del popolo per rallegrare le gente comune. Portavano nelle vie e sulle piazze dei paesi allegria, spensieratezza e godimento spirituale.

In una buona banda, per essere riconosciuta tale, dovevano figurare ottavini, flauti, oboe, clarinetti, saxofoni, corni, cornette, trombe, tromboni, tromboni bassi, flicorni, timpani, tamburi, cassa, piatti e triangolo. Ignorate dagli intellettuali, soltanto nel secondo ventennio del 1800, tra i letterati italiani si incomincia a far cenno, anche se con termini non del tutto lusinghieri, di questa nuova realtà. Costantino Arlia, filologo siciliano (1829-1915) afferma:”Bandista si dice di ciascuno di coloro che sonano qualche strumento nei corpi musicali. Alcuni lo biasimano, e debb’essere cosa proprio pestilenziale, quando la nuova Crusca non lo accetta nemmeno lei. Eppure guardate! A noi par voce comportabile, si perché è di uso quasi comune, e si ancora perché viene naturalmente da banda, che è dell’uso scritto e parlato”. Il Carducci dimostra più tolleranza verso la banda allorché racconta: “A ogni stazione, per giunta, c’era la musica, la banda in uniforme; e sonavano, sonavano, ti so dire io!”. Spesso le bande musicali e i bandisti sono argomento di ironia se non addirittura di commiserazione.

Per Massimo D’Azeglio: “il diavolo lo tentò di condurre a notte avanzata la banda, che aveva strombettato tutta la giornata nel paese, a conciliare il sonno dell’amato bene”. Il Fogazzaro appare più indulgente quando afferma che “…si udivano dall’orto ondate di musica ora più ora meno sonora. Certo, la banda s’era fermata in piazza a far ballare le ragazze e i giovanotti”. C. E. Gadda è addirittura spietato: “Dei razzi, a un tratto schioppano con un tono d’inferno e fanno un fracasso ancora meglio che i timpani e i piatti della ferocissima banda”. I più realisti e obiettivi: D’Annunzio, il quale cosi si esprime: “Verso le sette la banda comunale prese a sonare in piazza e sonando fece il giro del paese” e Giovanni Verga che aggiunge anche un po’ di folklore: “Pennacchi sul cappello, in mezzo ad una folla di berrette bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti nel casino”.

La scarsa considerazione di Ignazio Silone verso questi benemeriti della cultura musicale, un poco rustica, ma sincera ed appassionata va oltre ogni limite quando scrive: “I bandisti traevano monture da domatori di circhi e da portieri di grandi alberghi con alamari sontuosi e bottoni metallici in doppia fila sul petto!”. Questi severi ed assorti letterati, con l’intelletto gravido di pensieri, certamente non tolleravano i motivi forti e risonanti delle bande quando, al mattino, facendo il giro per le vie dei paesi, li distoglievano dalle loro ponderazioni.

Testi tratti dal libro La Banda musicale
Testi a cura di Giovanni Tordone

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